Appare decisamente appropriato considerare le rispettive carriere soliste dei fratelli Joel ed Ethan Coen, come uno scherzo deliziosamente meta che sembra uscito dalla loro filmografia. In temporanea pausa dalla regia in tandem dai tempi di La ballata di Buster Scruggs, si sono dedicati l’uno a un oscuro e puntiglioso adattamento di una delle più tenebrose tragedie shakespeariane, sotto un marchio iper-cinefilo alla moda come A24; l’altro a un divertissement gioiosamente bizzarro come Drive-Away Dolls – e a un documentario su Jerry Lee Lewis nel 2022. Una traiettoria creativa che non sembra voler nascondere a sua volta un certo gusto per l’assurdo e per la presa in giro.
Nella mente di Ethan Coen e della co-sceneggiatrice ed editrice abituale Tricia Cooke già dai primi Duemila col titolo Drive-Away Dykes, Selma Blair e Holly Hunter all’epoca considerate per i ruoli principali – il film ora nelle sale vede Margaret Qualley e Geraldine Viswanathan – il film del minore dei fratelli Coen appare come un oggetto in cui confluiscono i gusti e le estetiche di tante epoche diverse. Fuori tempo, ma nell’accezione più positiva possibile del termine.
L’amore è una gita all’inferno
Acceleratore schiacciato sugli archetipi del road movie, attraversato da una costante vena da commedia romantica passata sotto una secchiata di arcobaleno ed LSD, Drive-Away Dolls attraversa le mille miglia reali tra Philadelphia da Tallahasse e quelle metaforiche che separano Jamie e Marian, amiche queer caratterialmente agli estremi opposti – estroversa la prima, introversa lettrice di Henry James la seconda –, inconsapevoli latrici del tipico MacGuffin nel bagagliaio della loro auto a nolo, sulla strada per raggiungere la zia della seconda. Ma si sa che l’imprevisto è sempre dietro l’angolo: le due si ritrovano alle calcagna un pericoloso boss (Colman Domingo) in cerca di una misteriosa valigia e a sua volta lettore del grande scrittore americano, i suoi due scagnozzi tanto diversi tra loro quanto lo sono le due protagoniste, la poliziotta ex ragazza di Jamie (Beanie Feldstein).
Sembra di osservare lo spaccato di un mondo cartoonesco costruito a parodia della filmografia dei fratelli Coen: un’America anni ‘90 di sarcastiche one-liners, di locali al neon sperduti nella provincia americana, di spietati criminali dalle paradossali buone maniere. Ma l’evasione di Coen e di Cooke, lungi dal scherzare solo sul proprio modo abituale di fare cinema, prende a piene mani anche da certa filmografia d’exploitation degli anni ‘60 e ‘70 (Russ Meyers e John Waters tra le influenze, quest’ultimo citato come personale punto di riferimento queer da Cooke). E così come evade ogni tentativo di facile categorizzazione, si prende gioco pure degli inevitabili tentativi della critica tradizionale – compresa questa – di analizzarlo troppo a lungo e troppo seriamente.
Vivere in un mondo a colori
Questa screwball romantic comedy on the road – ma l’elenco di aggettivazioni in corsivo, com’è tipico da cinema dei Coen, potrebbe proseguire per altre cinque righe della presente recensione – sembra fatta apposta per spiazzare, tanto eccentrica appare nel percorso dei Coen. Un’eccentricità quasi paradossale, se confrontata all’estrema familiarità della sua struttura narrativa – più schematica di così non si potrebbe – e dei suoi personaggi, rimasticature di caratteri e situazioni già viste decine e decine di volte. Ma il suo fascino rarefatto non sta nella pretesa di aprire nuovi orizzonti quanto nella disinibita gioia di vivere senza compromessi, di esplorare le opportunità del viaggio e la propria identità. Anche, perché no, di rileggere il già visto con una lente più colorata.
E poco importa se le protagoniste si reggono su caratterizzazioni abbozzate, o se questa idea di intrattenimento sfrenato, tanto leggera da diventare inevitabilmente vacua, difficilmente sopravvivrà al presente complice anche le magre opportunità offerte dalla distribuzione italiana – ma le vie del cult sono imprescrutabili: non sarebbe strano vedere Drive-Away Dolls trovare una seconda vita solo a posteriori, lasciandogli il tempo di essere scoperto. La forza propulsiva sta nel puro divertimento, nella gioia anarchica di concedersi una scarrozzata a bordo dell’orgoglioso B movie di Ethan Coen e di Tricia Cooke. Vero inno alla leggerezza e alla gioia di assaporare il viaggio, buttando nel cestino la logica, il buon senso, la ritrosia.
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