L’industria cinematografica hollywoodiana, si sa, vive di momenti, di mode e di tendenze che, in un attimo, possono catapultare un artista semisconosciuto nel mondo glitterato dello star system, davanti ai flash dei più importanti red carpet del mondo. Allo stesso modo, però, molto spesso la velocità dell’ascesa verso l’Olimpo del jet set è direttamente proporzionale alla rapidità della caduta nell’abisso del dimenticatoio e chi era divo ieri non può mai essere assolutamente sicuro di restare tale anche domani.
Un regista che, invece, ha saputo e sa cavalcare abilmente l’onda del successo, dimostrando di essere in costante ascesa da ormai quasi 7 anni, è Adam McKay, che dopo una serie di pellicole minori di carattere marcatamente comico, si guadagna i riflettori grazie a La Grande Scommessa nel 2015 e nel 2018 conferma la svolta artistica intrapresa con il film precedente con il meraviglioso Vice – L’Uomo nell’Ombra.
Dopo un dittico di questo calibro e ben 6 nomination agli Oscar (tra cui anche un premio per la migliore sceneggiatura non originale per La Grande Scommessa) l’attesa per l’ultimo progetto firmato McKay -ovvero questo Don’t Look Up- che sarebbe dovuto essere la definitiva consacrazione dell’artista, non poteva che essere alle stelle, visto anche il cast eccezionale annunciato mesi prima dell’uscita.
Il film racconta la storia del Dottor Randall Mindy (Leonardo Di Caprio) e della sua dottoranda Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence) che, durante un controllo astronomico di routine, scoprono un’enorme cometa che si dirige verso la Terra. Nel tentativo di salvare il mondo da questa Apocalisse annunciata, scopriranno che il vero scoglio da superare non è la cometa stessa, ma la società nella quale vivono.
Va detto fin da subito che Don’t Look Up appare come la naturale conclusione di un’ideale trilogia tematica: dopo aver trattato l’ambiente dell’alta finanza ne La Grande Scommessa e le sordide macchinazioni politiche in Vice, McKay presenta qui una commedia satirica che vuole essere una critica – nemmeno troppo leggera – al mondo della comunicazione mediatica e dei social network.
Laddove nei due film precedenti, però, la narrazione filmica rimaneva legata ad eventi reali e li utilizzava come solida base sulla quale applicare poi lo stile unico ed irriverente del regista, in questa pellicola il soggetto è totalmente originale e si basa su “Fatti realmente possibili” come da tagline del film. Questa mancanza di concretezza di fondo è, probabilmente, uno dei punti deboli più evidenti dell’opera che, purtroppo, presenta una storia apertamente didascalica nel suo essere grottesca e satirica, creando una narrazione che risulta fin da subito artificiale, finta e costruita.
Nonostante la sceneggiatura sia ben scritta, al netto di qualche problema di ritmo nel primo atto, si nota un cambio di rotta abbastanza importante rispetto ai due film precedenti, con un tono che si muove in un territorio di gran lunga più comedy se confrontato con Vice e La Grande Scommessa. Qui, infatti, i dialoghi appaiono spesso intenzionalmente grotteschi e divertenti e fanno perdere quella gravitas di base che era fondamentale nei progetti antecedenti. In questo Don’t Look Up, dunque, manca quell’equilibrio tra commedia e dramma che aveva caratterizzato gli ultimi due lavori di McKay, nei quali i momenti satirici e comici erano indubbiamente importantissimi, ma venivano meglio bilanciati all’interno della narrazione.
Per quanto riguarda l’aspetto tecnico, va sottolineato come lo stile estremamente peculiare di McKay sia assolutamente riconoscibile e presente, ma venga utilizzato in maniera sicuramente più contenuta e leggera: la regia è, al solito, tecnicamente impeccabile, ma manca forse dei guizzi geniali che avevano caratterizzato e reso unici La Grande Scommessa e Vice, incanalando il film su dei binari largamente più classici rispetto ai precedenti. Mancano, o sono utilizzati molto poco, alcuni degli elementi più distintivi del vocabolario filmico del regista, su tutti l’uso delle didascalie, la rottura sistematica della quarta parete con la quale i personaggi si rivolgevano direttamente allo spettatore.
Allo stesso modo il montaggio – altro grandissimo marchio di fabbrica di McKay – perde parte della sua centralità artistica e, nonostante sia assolutamente un editing di livello, non ha la portata e la potenza geniale che aveva invece nei film precedenti (basti pensare al famosissimo amo da pesca in Vice) e si “limita” a scandire un ritmo tutto sommato ben gestito, soprattutto nella seconda parte della pellicola. Totalmente convincente, invece, la colonna sonora che contribuisce enormemente a creare e mantenere l’atmosfera tipica e incalzante dei film di McKay, regalando anche una canzone già in aria di Oscar come Just Look Up di Ariana Grande.
Uno degli aspetti più positivi del film è, sicuramente, il cast stellare presente e sapientemente diretto da McKay, già ormai largamente abituato ad utilizzare un gruppo di attori corale così vasto ed importante.
Su tutti spiccano in maniera particolare l’eterna e magnifica Meryl Streep, la quale interpreta una presidente degli Stati Uniti totalmente grottesca e folle, caricatura non particolarmente velata del sentimento populista che ormai sembra aver preso piede nella politica contemporanea, e la coppia Leonardo Dicaprio – Jennifer Lawrence, che regalano delle interpretazioni notevoli di personaggi decisamente sopra le righe e stravaganti, ma che sono perfetta rappresentazione della impotenza della persona comune rispetto ai grandi poteri che governano la società.
Molto convincenti anche le prove dei comprimari come Cate Blanchett, che interpreta la bellissima conduttrice di un notiziario TV e attraverso la quale McKay denuncia tutto il mondo dell’informazione mediatica contemporanea, che pure davanti alla certezza di un’Apocalisse imminente preferisce intervistare la cantante Pop del momento per aumentare l’audience, o Mark Rylance nelle vesti di un CEO di una multinazionale tecnologica che fa palesemente il verso a figure della contemporaneità come Elon Musk, criticando pesantemente la narrazione pionieristica-evolutiva con la quale questi individui si presentano e dietro alla quale si nascondono, in realtà, meri interessi economici.
Breve menzione anche per Jonah Hill, capo di gabinetto della presidente, nonché suo figlio, eccezionalmente comico nel suo piccolo ruolo di raccomandato totalmente incapace e non all’altezza della posizione che ricopre.
Per concludere, con questo Don’t Look Up, McKay firma un lavoro sicuramente interessante e che porta avanti in maniera coerente il percorso tematico del regista, ma che forse perde nel tono eccessivamente comico e satirico la forza critica e di denuncia socio-politica che era stata la pietra angolare dei due film precedenti. Per questo, nonostante sia un film estremamente godibile e ben riuscito nelle sue intenzioni, non ha il peso specifico de La Grande Scommessa e di Vice, risultando quindi il capitolo meno convincente di questa ideale trilogia, ma che offre comunque importanti spunti di riflessione su alcune dinamiche tipiche del mondo contemporaneo, che avrebbero meritato, però, più spazio e un focus più approfondito.
Per la definitiva consacrazione di McKay tra i grandissimi della sua generazione, dunque, bisognerà ancora aspettare, nella speranza che continui a portare avanti il proprio stile unico come ha fatto in questi anni, con l’ambizione e l’irriverenza che lo hanno sempre contraddistinto.
Quindi, Adam, Just Look Up: continua a guardare verso l’alto.
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