Approda finalmente al cinema uno dei film italiani più attesi dell’anno, la seconda pellicola ad alto budget dopo il recente e bellissimo Freaks Out di Gabriele Mainetti. I Manetti Bros, dopo il successo di pubblico e critica della loro opera Ammore e malavita (2017), continuano il loro percorso artistico volto a realizzare e incentivare – insieme alla loro casa di produzione Mompracem – il cinema di genere in Italia, realizzandolo in maniera personale e senza compromessi. In questa occasione accettano la sfida di adattare il fumetto Diabolik, creato dalle sorelle Giussani e già portato sul grande schermo in versione pop dal grande Mario Bava, in particolare il terzo albo della serie originale, L’arresto di Diabolik.
Il film è ambientato nello stato immaginario di Clearville, alla fine anni degli ’60. Dopo aver messo a segno un altro colpo, Diabolik riesce a sfuggire alla polizia dopo un inseguimento. L’ispettore Ginko, con la sua squadra, sta facendo di tutto per prenderlo ma fino a questo momento i suoi tentativi sono andati a vuoto. Intanto in città è arrivata Eva Kant, una ricca ereditiera che ha con sé un diamante rosa, un gioiello dal valore inestimabile.
Il prologo si apre con l’inseguimento di Diabolik da parte di Ginko, messo in scena in maniera efficace, a tratti come uno spot pubblicitario dedicato alla mitica Jaguar del criminale, sulle note della canzone La profondità degli abissi scritta appositamente per il film da Manuel Agnelli. Dopo questo dinamico inizio il film adotta un ritmo decisamente più pacato, in cui ci vengono introdotti i vari personaggi. Al Diabolik di Luca Marinelli e al Ginko del bravo Valerio Mastandrea si unisce un parterre di attori feticci dei Manetti, da un non troppo convincente Alessandro Roia a un’ottima e disperata Serena Rossi fino a uno spassoso cameo di Claudia Gerini, oltre alla gemma dell’intera pellicola nonché vera protagonista del film, la Eva Kant di Miriam Leone. Il film ruota interamente attorno all’incontro tra il super criminale e la ricca ereditiera, ed è quest’ultima che, oltre ad avere in totale un maggiore screen time, ha una vera evoluzione durante l’intera pellicola. I Manetti in ogni inquadratura cercano di risaltare la bellezza del personaggio e il suo fascino, nonché la sua intelligenza e intraprendenza, doti che la rendono la perfetta partner del supercriminale.
I Manetti Bros nell’approcciarsi a questo film adottano un’estetica molto precisa e decisamente anticommerciale, decidendo di catapultare lo spettatore direttamente in un fumetto degli anni ‘60 ambientato in città perfette e sospese nel tempo. La recitazione a tratti teatrale dei personaggi, i dialoghi irrealistici, i silenzi, tutto è realizzato in funzione di questa precisa estetica retrò, un vintage che è estremamente raro vedere in un film di oggi e che difficilmente verrà apprezzato dalle giovani masse di spettatori. Questa scelta estremamente coraggiosa simboleggia la volontà di essere il più possibile fedeli al materiale originale, di creare un noir puro senza compromessi, e se a primo impatto lo spettatore può trovare il tutto respingente, i Manetti hanno la bravura di farci immergere con delicatezza in questo mondo facendoci superare le nostre diffidenze.
Dal punto di vista tecnico è necessario segnalare un ampio uso di long take e di panoramiche di 180° gradi, sfruttati in maniera intelligente per costruire i movimenti fuori campo di Diabolik, oltre a un grande impiego del montaggio parallelo e alternato, che raggiunge picchi notevoli: il primo durante la scoperta dell’identità di Diabolik da parte di Eva Kant e del personaggio di Serena Rossi; e il secondo durante la sequenza finale, che viene realizzata anche con un sapiente uso di split screen e di transizioni tra le varie sequenze andando a creare un perfetto crescendo. Molto apprezzabile anche la fotografia che sposa l’estetica anni ‘60, con la composizione di inquadrature iconiche caratterizzate da ombre proiettate sul volto di Luca Marinelli per far intuire l’alter ego del suo personaggio.
Passando ai lati negativi, al netto di qualche calo di ritmo eccessivo nella prima metà, il problema principale del film è il personaggio stesso di Diabolik, portato in scena da un Luca Marinelli. Il personaggio viene infatti diretto in totale sottrazione, in modo da rispettare il carattere del protagonista dei fumetti, ma le sue caratteristiche di impassibilità, freddezza e mistero sono estremizzate, e risultano essere poco compatibili con il grande schermo, rendendolo di conseguenza estremamente piatto. Grazie tuttavia alla scelta di rendere Eva Kant la vera protagonista, l’equilibrio del tutto viene salvato.
In conclusione i Manetti Bros ci regalano un film atipico, lontanissimo dai parametri a cui ci hanno abituato gli attuali cinecomic, creando un film coraggioso e un universo in cui potremo nuovamente immergerci grazie ai due seguiti che stanno realizzando al momento, indipendentemente dagli incassi di questa prima pellicola che, anche a causa di un rilascio suicida in un periodo ingolfato di blockbuster, temiamo possano essere estremamente bassi.
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