Un uomo corre in sella al suo cavallo in una notte di tempesta, mentre un bambino -suo figlio- sta venendo alla luce. Quando il cavaliere arriva nella baracca in cui sta avvenendo il parto, viene bloccato da tre misteriose signore anziane e gli viene impedito di prendere il neonato. Il bambino è nato, e le tre mistiche figure promettono di prendersi cura di lui, del Dampyr.
Dopo questi primi minuti di introduzione, scopriamo che il film è ambientato nei Balcani degli anni ’90, durante la guerra realmente avvenuta all’interno dell’ex Jugoslavia (che però non viene mai direttamente menzionata).
Uno dei tre protagonisti, il soldato Emil Kurjak interpretato da Stuart Martin, entra in un paesino spettrale alla guida del suo battaglione, dove scoprirà un’enorme quantità di cadaveri che “sembrano essere stati divorati da una bestia feroce”. In poco tempo i soldati si rendono conto di essere davanti a qualcosa di non umano, a dei vampiri, e di non essere in grado di battersi contro questi mostri, immuni ai proiettili dei fucili e a qualsiasi arma da fuoco convenzionale. Decidono così di cercare il Dampyr, una figura leggendaria nata dall’unione di un vampiro e un essere umano, che si dice riesca ad uccidere queste creature.
Il Dampyr, effettivamente, esiste: il suo nome è Harlan Draka -interpretato da Wade Briggs- ma sembra essere tutto fuorché una creatura mitologica. Harlan è un ragazzo apparentemente normale, che si “guadagna” da vivere imbrogliando creduloni e ignoranti, facendo finta di avere poteri paranormali ed essere in grado di eliminare inesistenti infestazioni demoniache dai loro cimiteri. Costretto a recarsi sul campo di battaglia, scoprirà che quella del Dampyr non è una semplice leggenda.
Poco dopo entrerà in scena anche Tesla, interpretata da Frida Gustavsson, ragazza vampira che cercherà di aiutare (o di tendere una trappola?) i nostri ammazza-vampiri.
Dampyr è il primo film di un progetto -nelle intenzioni- enorme, che anche solo per essere stato concepito rappresenta una vera e propria dimostrazione di coraggio. Stiamo parlando del Bonelli Cinematic Universe (BCU), progetto della Sergio Bonelli Editore che vanta la paternità di personaggi come Tex, Zagor, Dylan Dog, Nathan Never, Martin Mystere (per citarne alcuni, ma la lista sarebbe ben più lunga), il cui scopo sarebbe quello di creare un filone cinematografico e seriale incentrato sugli eroi più famosi del mondo fumettistico made in Italy.
Annunciato ormai alcuni anni fa, il Bonelli Cinematic Universe (BCU) porta al cinema, come prodotto d’esordio, la pellicola Dampyr, un prodotto a dir poco rischioso che, con il senno di poi, si è rivelato un fallimento sotto diversi punti di vista, soprattutto finanziari.
Ma andiamo con ordine. Cosa funziona di questa pellicola?
Poco in realtà, troppo poco per giustificare lo sforzo produttivo di 15 milioni, un’enormità, soprattutto se messa in relazione alle realtà cinematografiche del nostro paese.
Il film porta sullo schermo dei mostri classici del cinema horror, i vampiri, rifacendosi a molti cliché del genere, senza tuttavia pescare dai soggetti ormai vecchi di secoli (l’acqua santa non brucia i vampiri, per capirci) e aggiungendo una componente epica, legata al sangue, sul come e perché i vampiri possano essere uccisi.
La Bonelli ha optato per un cast di attori stranieri e sconosciuti al grande pubblico, probabilmente per evitare ulteriori costi, ma nonostante queste scelte risultino azzeccate da un punto di vista fisionomico (per Kurjak e Tesla sembra di avere davanti delle enormi action figures del fumetto prendere vita), il film in sé ne risente parecchio. Solo i fan della collana si troveranno emozionati nel vedere Emil Kurjak in carne ed ossa, fumare come un dannato e sparare a dei non-morti con la sua nonchalance militarista, ma questo film, anche considerando il budget, non può e non deve rivolgersi solo a chi acquista ogni mese il fumetto in edicola (numeri, tra l’altro, che diminuiscono di anno in anno e che nel 2015 non superavano le 30.000 copie vendute).
Lo stesso comparto tecnico si affida a persone, in gran parte, con poca esperienza. Lo stesso regista, che comunque ha fatto un buon lavoro, è al suo esordio in un lungometraggio.
Riccardo Chemello, dietro la macchina da presa, fa un lavoro diligente, pulito e curato, aiutato anche da una fotografia-di Vittorio Omodei Zorini– che sa sfruttare una massiccia dose di color correction per dare il giusto tono al film e per creare anche dei quadri non banali e di grande impatto visivo.
Purtroppo, da un punto di vista action, il film lascia a desiderare: non c’è pathos né suspense durante i combattimenti, e se si considera che questo dovrebbe essere principalmente cinema d’azione non può che essere un enorme problema. I professionisti che hanno lavorato a Dampyr sono riusciti a portare a casa un buon lavoro, non eccelso ma neanche pessimo, e se consideriamo la loro esperienza, bisogna far loro i complimenti. Tuttavia non possiamo fare a meno di chiederci se non era il caso di rivolgersi a qualcuno di più navigato, anche straniero, per il primo film di quello che dovrebbe essere un progetto dagli investimenti multimilionari.
Tolte le scene d’azione, il film non ha molto altro da offrire. Risulta, infatti, privo di contenuti più profondi, perdendo una facile ma importante occasione per manifestare un messaggio antimilitarista (essendo ambientato in un territorio in guerra), e senza mai enfatizzare la presenza, nel gruppo dei tre protagonisti, di un elemento diverso, ovvero la vampira Tesla, e quindi senza mai mettere l’accento sull’inclusione e sull’unione di fronte alle diversità.
Non spinge il pedale nemmeno sullo splatter o la violenza, e chi legge il fumetto sa che Dampyr è considerato un’opera horror proprio per i fiumi di sangue che scorrono tra le pagine bonelliane ogni mese.
Gli effetti speciali, per concludere, non sono così pessimi come ci si potrebbe aspettare. Certo, non siamo ai livelli di Avengers: Endgame, e a volte risultano troppo artificiali se non grezzi, ma comunque non fanno storcere il naso e non rendono il film inguardabile, cosa di per sé già importante considerata l’enorme quantità di vfx che il film presenta.
Ma il problema più grosso di Dampyr, tuttavia, non sta nelle righe che avete appena letto. Il problema più grosso è che, guardando il film, non si può fare a meno di pensare: “ma dove ho già visto questa cosa?”
E non potrebbe essere altrimenti, perché l’impianto messo in scena risulta vecchio da tutti i punti di vista. Il film è probabilmente troppo derivativo rispetto ad altri film action e vampireschi del passato, un aspetto che se nel mondo fumettistico può funzionare (e da lettore di Dampyr a fumetti confermo: una delle migliori serie Bonelli!) In ambito cinematografico rischia di stonare e di non soddisfare chi va in sala. I dialoghi, i costumi, le scene d’azione, ma anche gli stessi trucchi utilizzati per portare i vampiri sullo schermo sembrano riciclati da altre produzioni televisive di qualche decennio fa, non perché siano mal fatti, ma perché decidono di prendere a piene mani dal fumetto di riferimento senza mai chiedersi se quello che funziona su carta possa funziona anche sul grande schermo. Non sempre è così. Quello che su carta può far apparire un personaggio come un mostro orripilante e pericoloso, visto sul grande schermo nel 2022 può farlo sembrare anche un cattivo dei Power Rangers o di Buffy. È chiaro che innovare esteticamente dei mostri come i vampiri, utilizzati e abusati decine di volte sullo schermo, è un’impresa a dir poco ardua, ma è proprio qui che si inserisce quello che, a parere di chi scrive, è stato il più grande errore della Bonelli: puntare su Dampyr.
La domanda non può che sorgere spontanea: perché? Perché decidere di puntare su un personaggio che, nonostante abbia un suo corposo seguito, non è sicuramente nei primissimi personaggi Bonelli per vendite e fama? Perché puntare su un personaggio che per le tematiche trattate era chiaro che avrebbe richiesto tantissimi effetti speciali? Forse non si voleva rischiare di fare l’ennesimo flop con un personaggio di punta come Dylan Dog? Forse non si aveva il coraggio di portare in scena Tex? O, più probabilmente, si pensava che gli elementi splatter e horror avrebbero portato più gente in sala?
Il film esordio del Bonelli Cinematic Universe ha fallito nel suo intento. Non è stato in grado di portare molto pubblico in sala (anzi, si parla di 19.000€ di incassi durante il primo weekend a fronte di un budget di 15 milioni, un flop gigantesco in Italia, aspettando l’esito all’estero con l’inserimento di Sony nella distruzione), non è riuscito a creare un’opera innovativa né per il panorama italiano né, tantomeno, per quello internazionale. Un’opera che infine non è riuscita neanche a incuriosire coloro che non avevano mai letto il fumetto.
Cosa significano questi risultati -ahimé pessimi- per il futuro di questo progetto? Probabilmente dentro Bonelli rivedranno i loro piani, nessuna azienda può permettersi certe perdite economiche, ma fermarsi adesso sarebbe un errore. L’idea di voler creare un MCU italiano rimane valida e potenzialmente di successo, chi ama i fumetti sa che il patrimonio della casa editrice di Milano è immenso, sa che alcuni personaggi (Tex e Dylan Dog su tutti) sono conosciutissimi e letti da più generazioni in maniera trasversale.
L’esperienza di Dampyr non deve porre fine a questo esperimento, sarebbe un peccato ed uno spreco enorme. Certo è che il flop economico deve portare a ripensare la strategia per gli anni futuri, magari prendendo in considerazione delle co-produzioni con un servizio streaming (qualcuno ha detto Netflix?) e puntare più sulle serie tv che sui film, perché in fondo, la sensazione che si ha dopo aver visto Dampyr, altro non è che quella di aver assistito ad una lunghissima puntata pilota di una serie tv, un pilot che non convince e che deve portare i BCU ad un cambiamento radicale.
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