Il nuovo film di Woody Allen, presentato fuori concorso all’80esima Mostra del Cinema di Venezia, è il piccolo gioiello che aspettavamo da tempo: una commedia francese che sembra richiamare i più bei film di François Truffaut, coronata dal delicato umorismo di uno dei migliori registi della nostra epoca.
Il centro del racconto è la storia di Fanny, una donna ormai adulta ma con un passato da adolescente ribelle e sognatrice. Fanny ha un matrimonio fallito alle spalle, ma vive ora una storia all’apparenza perfetta col ricco Jean, il suo nuovo marito. Una vita di coppia immacolata, ineccepibile ed elegante che si svolge tra cene di gala e viaggi in Polinesia. Questa esistenza d’oro viene sconvolta però dal riverbero di un evento, un coup de chance, cioè l’incontro tra Fanny e il suo vecchio compagno di scuola Alain, da sempre innamorato di lei. Alain non è ricco ma è un poeta interessante, affascinante e divertente, e ricorda a Fanny chi fosse lei stessa in passato prima del matrimonio con un uomo tanto facoltoso quanto scialbo. Inizia così un’appassionata tresca, nata dalla sincerità di Alain nel dichiararsi stupefatto da quel colpo di fortuna per cui aveva ritrovato il suo amore giovanile e che gli sembrava dominasse la sua vita.
La pensa diversamente Jean, convinto dell’importanza del duro lavoro e dell’autodeterminazione dell’uomo nella storia. Egli cercherà di intervenire in ogni modo nella relazione segreta di sua moglie, mettendo in atto qualsiasi mezzo per riaverla con sé.
Il tema della mancanza di controllo della vita e il ruolo rilevante della fortuna, leitmotiv della carriera di Allen, torna in questo film come dichiarato protagonista. L’opera esaspera un concetto fondante della filosofia del regista, che egli ha particolarmente a cuore. Viene spontaneo ripensare al famoso monologo di Match Point (Woody Allen, 2005) sulla fortuna, senza trascurare altri capisaldi della carriera del regista che pongono al centro sempre il medesimo tema. Nei suoi lavori più importanti i personaggi si incontrano in maniera fortuita, e sempre fortuitamente i rapporti possono distruggersi. Le emozioni che provano sono forti, impulsive, a volte autodistruttive ma sincere. Perché semplicemente non sono loro ad avere il controllo sulla loro vita, il loro ruolo è anzi interrogarsi sul perché gli eventi si siano svolti in quel modo.
Annie e io abbiamo rotto e io ancora non riesco a farmene una ragione. Io… io continuo a studiare i cocci del nostro rapporto nella mia mente e a esaminare la mia vita cercando di capire da dove è partita la crepa, ecco… Un anno fa eravamo innamorati, sapete. È strano, non sono il tipo tetro, non sono il tipo deprimente.
(Io e Annie, 1977)
Il finale del film è quanto di più legato alla poetica di Allen potesse essere rappresentato, il coup de chance per eccellenza. Nell’ironia che lo contraddistingue suscita anche commozione, rendendo chiaro come nonostante gli anni trascorsi, i cambiamenti stilistici e la fine indiscutibile dell’epoca d’oro delle sue commedie, Allen sia sempre se stesso: continuerà a fare film, conserverà il suo umorismo e non smetterà mai di credere nella fatalità del caso.
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