Le elezioni attirano sempre l’attenzione, e fra tutte le elezioni, il conclave è una delle più intriganti. Quindi un film sull’elezione del papa, a prescindere dalla caratura della produzione, sarà un thriller tesissimo e con un finale a sorpresa comunque vada. Non solo, il film in questione, cioè Conclave di Edward Berger, è anche una produzione internazionale di assoluta qualità e con attori di livello, dove ogni cosa sembra al posto giusto.
Cosa ci si aspetta dunque da un film del 2024 che tratta la designazione più alta di tutte? L’ascesa al soglio pontificio, l’unica elezione ‘per sempre’ del mondo contemporaneo, con tutte le altre condivide l’atmosfera di tensione e le ambizioni dei candidati. Conclave, presentato in anteprima europea alla Festa del Cinema di Roma, è apparentemente un dramma religioso, ma è anche un giallo, e in fondo un esame delle pulsioni politiche opposte nella società globale contemporanea.
Morto un papa se ne fa un altro
Il pontefice in carica è deceduto, e il decano Lawrence (Ralph Fiennes) viene richiamato a organizzare il conclave che insedierà un nuovo papa tra tutti i cardinali del mondo. I contendenti più quotati sono il liberale americano Bellini (Stanley Tucci), il politicante Tremblay (John Lightow), l’ambizioso cardinale africano Adeyemi, e il reazionario estremo Tedesco (Sergio Castellitto). Lawrence, che già da tempo vive un dissidio interiore sulla propria vocazione a far parte dell’organismo religioso, accetta con riluttanza non solo di guidare il conclave, ma anche l’ingrato compito di mediare tra le posizioni e di dissipare i fumi neri delle manovre politiche in seno al Vaticano.
Nella cornice perpetua dei sontuosi interni soffocanti, un susseguirsi di ritualità, primi piani sui dettagli, spalle pensose e solitudini gravi generano il clima di una camera chiusa nella quale si consuma il delitto. Alla fine è un giallo, pur se non ci sono omicidi, quello di cui Lawrence si trova protagonista, a indagare scandali e misfatti. A un certo punto non c’è nemmeno più distinzione tra i “buoni” e i “cattivi” identificati a principio, perché tutti in qualche maniera hanno peccato: «serviamo ideali, ma noi non siamo ideali». E allora chi sarà l’eletto? Che neghino pure, ma ciascuno ha già deciso il nome che porterà se toccherà a lui.
Così tutti quanti, sotto l’abito anacronisticamente sgargiante, sono in verità semplici umani. Il regista Edward Berger si dice soddisfatto di aver girato veramente a Roma, dove passeggiano nelle loro quotidianità preti con la valigetta e suore con il caffè. In fondo, anche il tempio di San Pietro è popolato di uomini e donne qualunque. E le pulsioni che li animano sono le medesime di chiunque, che la sceneggiatura evidenzia benissimo contraddistinguendo ciascun personaggio con tratti caratteristici di ambizione, angoscia, diffidenza, nazionalismo, eros, senso di colpa, e soprattutto dubbio.
Nuntio Vobis
Il tocco europeo di Edward Berger si percepisce anche in una produzione all’americana, come già nel suo precedente All Quiet on the Western Front, che era sostanzialmente un blockbuster hollywodiano ma fatto in Germania (non a caso, targato Netflix; non da meno, ha vinto un bel po’ di Oscar). Oggettivamente Conclave è un’americanata, non solo per la quantità di grandi attori internazionali che vi partecipano, ma anche per la sua visione globale tendenzialmente liberale, molto più fluida rispetto a un’ipotetica produzione alternativa realizzata nella vecchia Europa e vicino ai paesi cattolici. Berger si destreggia bene con una regia molto precisa e composta ma a ritmo di thriller.
È interessante in partenza la sceneggiatura di Peter Straughan, basata su un romanzo di Robert Harris, autore più e più volte saccheggiato dal cinema. Attraverso le vicende singolari dei personaggi, e di Lawrence in particolare, lo script mette in evidenza tante questioni sul significato e sullo spazio che possiede oggi non tanto la religione quanto l’organismo ecumenico della chiesa cattolica. Tra l’altro, benché sia un film che tratta di dottrine e liturgie, riesce ad essere anche divertente in sprazzi d’ironia. E insieme mantiene benissimo la tensione, in particolare nella prima e nell’ultima mezz’ora (dove c’è, a onor del vero, un certo colpo di scena). Soprattutto, Conclave è un film laico, che racconta gli avvenimenti spiegandoli senza retorica e senza pretendere niente dallo spettatore, nemmeno un’imposizione moraleggiante naturalmente in agguato nel soggetto: questo è il bello della produzione all’americana, che tuttalpiù insegna la posizione del dubbio.
Ralph Fiennes è magnetico, detective suo malgrado, fragile e pensoso, offrendo una delle migliori interpretazioni della sua carriera e portandosi sulle spalle la quasi interezza del film. È curioso che alla Festa del Cinema di Roma 2024 Fiennes sia stato presente due volte, sia con Conclave che con The Return, reimmaginazione pseudo-shakespeariana del finale dell’Odissea, che altrettanto gli ha dato occasione di interpretare un personaggio ferito dal tempo e dall’esperienza. Tornando a Conclave, che sarebbe ideale vedere in versione originale per apprezzare il multilinguismo degli interpreti, sono assolutamente bravissimi tutti i comprimari. In particolare diverte Sergio Castellitto interpretando un personaggio che sembra cucito su misura per lui, eccentrico e caciarone, ma pure severo e vagamente inquietante.
Tutta la storia si ambienta dentro le mura del Vaticano: sono rare le immagini a campo lungo e sopratutto gli esterni, e quasi del tutto assenti le banali inquadrature di Piazza San Pietro o di Roma nel suo generale, pur coinvolgendone gli spazi nella vicenda. Questa claustrofobia rende ancora più intrigante il mistero, insieme ad una serie di rumori fuori campo e a tagli di montaggio un poco più lunghi del necessario, o qualche inquadratura brevemente fuori fuoco. Tutto insieme genera una sensazione di angoscia, di isolamento, di un mondo che si muove al di fuori delle mura di questa istituzione millenaria e mai tanto sotto pressione come nel momento corrente. La composizione visiva è straordinaria, tra geometrie e illuminazioni naturali e di candela. Come ogni minimo aspetto del conclave viene dominato e corretto dal decano Lawrence con l’aiuto della madre superiora Agnes (Isabella Rossellini), così ogni dettaglio del film nel suo insieme è curato maniacalmente.
Quel che succede in Vaticano resta in Vaticano
Sotto l’abito dei più austeri pastori del mondo si nascondono umani e peccatori, dietro l’atmosfera irrigidita e fuori tempo delle inflessibili ritualità che scandiscono le giornate di raduno apostolico ci sono i ritmi immutabili di un mondo acceleratissimo. Ben vengano le “tartarughe”, ossia le opinioni divergenti; si comincino ad accettare possibilità prima inimmaginabili. Solo rispondendo alle sfide del mondo questa cultura millenaria potrà sopravvivere.
Con una veduta più ampia, attraverso la ‘guerra’ interna della chiesa, Conclave racconta i conflitti della globalizzazione del mondo intero. Dietro il film religioso, si nascondono le questioni politiche di oggi: le posizioni radicali contro quelle moderate, il conservatorismo contro il progressismo, l’accentramento contro la multiculturalità, l’inesorabile aumento di rilevanza della guerra nel qui ed ora, la capacità di perdonare e il coraggio di avanzare, l’equilibrio, il dubbio come forza motrice. Perché che cos’è il dubbio, in fondo, se non l’essenza stessa della fede?
Fare un film è come fare un conclave: una sequela di passaggi obbligati, riti, dettagli, divergenze e compromessi, sotto la guida di un regista, che alla fine, volente o nolente, ci lascerà un insegnamento. Il personaggio di Ralph Fiennes è il regista di Conclave, sospinto dal dubbio e quindi dalla fede. «Sia fatta la sua volontà»: che cosa significa eseguire la sua volontà a questo punto? Quale e quali volontà vanno perseguite in un luogo tanto affollato, che vale per il refettorio dei cardinali come del mondo intero?
La forza di Conclave è di raccontare cose complesse ma in modo chiaro per tutti, e comunque non scontato. Parla del presente, è sorprendente e insieme rassicurante perché perpetra la narrazione di qualcosa di condiviso. Probabilmente sarà un film su cui ci sarà da discutere anche dopo che sarà uscito e non solo prima (come purtroppo accade con molti altri prodotti odierni). Fosse anche solo per la drastica possibilità concessa dal suo finale, ciò che lascia in fondo è l’insegnamento ad aprire nuove porte, passare attraverso il dubbio, pure accettare qualcosa che non si può capire, e dunque interiorizzare veramente la fede. Sia fatta la sua volontà.

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