L’omonimo spettacolo teatrale di Trevor Griffiths è alla base di Comedians, nuovo film scritto e diretto da Gabriele Salvatores.

La voce rauca di Tom Waits con le canzoni Rain Dogs e Downtown Train apre e chiude il sipario su un non-luogo, una non specificata e piovosa città del Nord Italia. L’azione è quasi tutta contenuta in due sole stanze, l’aula di una scuola dove sei aspiranti comici (Ale e Franz, Marco Bonadei, Walter Leonardi, Giulio Pranno, Vincenzo Zampa) preparano il loro numero, e la sala in cui si  esibiscono: nell’aula i sei comici ripassano le lezioni del loro insegnante, l’ex
comico Eddie Barni (Natalino Balasso), consapevoli che il loro numero verrà valutato dall’agente teatrale Bernardo Celli (Christian de Sica), per decidere chi di loro verrà assunto nella sua agenzia. Tutti i sei comici sono persone insoddisfatte e frustrate, che vedono nell’ingaggio di Celli la possibilità di evadere dalle loro vite; Barni, d’altra parte, nell’insegnare loro una forma costruttiva di comicità, spera di riscattare le loro esistenze e, in parte, anche la propria.

Più che la storia o i personaggi, quel che conta in Comedians è l’umore che pervade tutto il film: Gabriele Salvatores immerge infatti lo spettatore in un mood rabbioso e acido, dove la comicità dei sei attori e i rapporti l’uno con l’altro scaturiscono da rancori, ostilità, aperto disprezzo, ed esplodono nei furiosi litigi dietro le quinte e qualche volta anche sul palcoscenico, come i due fratelli interpretati da Ale e Franz divisi da differenze inconciliabili ma costretti a esibirsi assieme, oppure il giovane ribelle e insofferente di Giulio Pranno il cui male di vivere si esprime in una comicità scioccante e urlata. Questa atmosfera plumbea viene resa anche grazie ai colori spenti (fotografia di Italo Petriccione) e allo squallore delle ambientazioni (production design di Rita Rabassini).

In questa rabbia si gioca la differenza abissale tra due opposti modi di intendere la comicità, incarnati da Barni e Celli: il primo insegna una comicità che prenda atto del male nel mondo e lo incanali in un’energia positiva che arricchisca il pubblico, il secondo professa una comicità più immediata, meno filosofica. Il conflitto del film, quindi, riguarda l’annoso dilemma se l’arte debba limitarsi a descrivere la realtà o se debba provare anche a migliorarla.

Le caratterizzazioni dei personaggi funzionano, anche se gli attori sono incastrati in dialoghi così smaccatamente teatrali da essere per la maggior parte forzati, poco naturali. L’intenzione di Salvatores era probabilmente di rendere i personaggi più simili a caratteri teatrali che a persone credibili e verosimili, ma questa idea riesce solo in parte a causa delle differenze tra linguaggio del cinema e linguaggio del teatro. Questo scarto tra intenzione di Salvatores e resa su schermo influenza anche la riuscita dello stesso umorismo di Comedians, un po’ a causa dei dialoghi di cui sopra, un po’ per la natura di molte gag, in cui le battute fondate su stereotipi sessisti si sprecano. Se questo da una parte può servire a sottolineare la sgradevolezza misantropica dei protagonisti, dall’altra fossilizza la comicità di Comedians in un repertorio fuori tempo massimo, non efficace: nel 2021 ci si aspetterebbe un umorismo un po’ diverso da battute su “donne facili” e persone sovrappeso. Anche perché sembra contraddire l’intenzione del film di mostrare come vincitore morale Eddie Barni, quello che teorizza una comicità universale e costruttiva.

Comedians è un film interessante, che conferma la capacità di Gabriele Salvatores di raccontare storie dal sapore diverso rispetto al solito cinema italiano. Tuttavia, conferma anche la sua attitudine a raccontarle più con furbizia che con profondità: introduce alcune ottime idee e sfrutta un buon cast di attori, conferisce al film un’atmosfera molto riuscita, ma la tesi che porta avanti si sovrappone alla storia e ai personaggi in un modo non così  approfondito come lo stesso Salvatores crede.

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Valentino Feltrin, Redattore