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La notte del 30 ottobre 2015 scoppia un incendio nella discoteca Colectiv di Bucarest. 27 persone rimangono uccise e oltre 180 ferite. Le proteste popolari successive all’accaduto portano alle dimissioni del governo di allora. Nei giorni immediatamente successivi alla tragedia altre 37 persone muoiono di infezione negli ospedali romeni, a causa delle condizioni sanitarie inadatte ad ospitare pazienti ustionati. È questa la base storica del documentario Collective di Alexander Nanau, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2019, già vincitore agli European Film Awards e recentemente candidato agli Oscar 2021 come miglior documentario e miglior film straniero.
La narrazione prende il via da una tragedia recente e poco nota, ma compie fin da subito la scelta di concentrarsi poco sulle vittime e sugli eventi effettivamente accaduti al Colectiv e di focalizzarsi invece sulla corruzione sistemica della sanità romena. Nanau segue implacabile prima il giornalista Cătălin Tolontan della Gazeta Sporturilor (l’equivalente romeno della Gazzetta dello Sport), autore degli scoop sulle drammatiche condizioni degli ospedali che portarono alla morte dei 37 feriti (tutti infettati da batteri, dal momento che nelle cliniche venivano utilizzati disinfettanti diluiti fino a dieci volte, incapaci di sterilizzare la strumentazione medica), e in seguito il nuovo Ministro della Salute Vlad Voiculescu, uomo retto che tenta di ristrutturare la sanità del paese.
Il documentario, dunque, non è mai cronachistico (tant’è vero che la tragedia del Colectiv viene sinteticamente raccontata in alcune scritte iniziali), ma assomiglia più ad un teso e ritmato thriller politico d’inchiesta, in cui a poco a poco i protagonisti portano alla luce il marciume di un sistema politico corrotto fino al midollo, in cui ogni aspetto è regolato esclusivamente da rapporti economici, che arricchiscono i potenti e opprimono i più deboli.
Il fatto di cronaca è dunque solo il punto di partenza per un inquietante viaggio nel grande leviatano: lo Stato romeno e il suo sistema sanitario, impegnati a convogliare un’immagine di progresso e sicurezza (tant’è vero che fu impedito il trasferimento di molti feriti per ustione in cliniche estere più moderne e salubri), ma in realtà affetti da corruzione endemica e indicibile arretratezza (non si può non ripensare ai capolavori di Cristian Mungiu: Oltre le colline e soprattutto Un padre, una figlia).
Il ritratto che ne emerge dice di un paese completamente paralizzato che, grazie al coraggio di uomini come Tolontan e Voiculescu, si dibatte nel tentativo di liberarsi dalla stretta della sua Storia e di politiche spesso sciagurate. “Loro [i politici e le istituzioni, ndr] sanno già tutto, ma non fanno nulla per cambiare le cose.”, denuncia una dottoressa. Il finale è da pelle d’oca. Il film, da non perdere, è distribuito in Italia sulla piattaforma streaming IWonderfull.
Questa recensione è apparsa per la prima volta nella nostra pagina Instagram @framescinema_com.
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