Come nel west fordiano di Liberty Valance, anche tra le montagne della Georgia e nei boschi del parco nazionale di Chattahoochee-Oconee, tra la verità e la leggenda, sullo schermo, si impone e trionfa la leggenda. Di vero, nel bizzarro e impensabile scontro di specie animali e umane sostanze che presiede alla vicenda del Cocainorso (Cocaine Bear) di Elizabeth Banks (in sala con Universal dal 20 aprile), c’è l’eclatante antefatto che vede protagonista lo spericolato avventuriero e narcotrafficante Andrew C. Thornton II.
La famosa overdose degli orsi in Georgia
Nel 1985, l’uomo, inquieto rampollo di una facoltosa famiglia di Lexington, Kentucky – ex militare di carriera, poliziotto corrotto e audace criminale -, in fuga dalla polizia che lo bracca, getta dal suo aeroplano in volo parte di un corposo carico di cocaina, che sta trasportando in Usa dalla Colombia, prima di precipitare lui stesso e morire schiantato al suolo causa paracadute difettoso (pare con indosso gli scintillanti mocassini Gucci che qui gli vediamo ai piedi). Caso vuole che alcuni dei panetti di droga imbustati, dispersi tra la vegetazione, siano rinvenuti da un’orsa in seguito trovata cadavere, con il sangue e lo stomaco intasati da una discreta dose della purissima polvere bianca (meriti che valgono alle spoglie dell’animale il lusinghiero epiteto di Esco-Bear).
Ed è a questo punto che il cinema si mette in moto e subentra lo spunto creativo della sceneggiatura di Jimmy Warden, a ribaltare le sorti e riscattare la triste fine dell’animale. In quella che, per dichiarazione della stessa Banks, è concepita come una fantasiosa revenge story di risarcimento vista con gli occhi dell’incazzatissimo quadrupede. Riabilitando un orso KO per (presunta) overdose in una rabbiosa e famelica macchina di morte sotto effetto della violenta euforia destabilizzante indotta dalla coca (di cui è all’istante golosamente dipendente, più di Winnie the Pooh col miele). Lanciata all’assalto della folta e bislacca rosa di personaggi che malauguratamente incocciano il suo tragitto, provando a non darsela a gambe (davanti a un orso bruno, meglio reagire che restare fermi, recita con beffarda precisione scientifica (?) l’estratto di Wikipedia in esergo al film).
Orso bruno non avrai il mio carico
In un ingorgo di moventi e destini plurimi, sfilano l’egoismo macchiettistico del boss del Missouri Syd White (il commovente ultimo valzer di un Ray Liotta sopra le righe, a cui il film è dedicato), i suoi goffi lacchè (il figlio Eddie – che ha perso la moglie e non sa come gestire il figlio Gabe -; e il sodale Daveed, maniacalmente attaccato alla sue Air Jordan e alla jersey shirt che via via si insozza di sangue e melma), mandati sulle tracce dei borsoni di coca dispersi, insieme a un giovane teppista dai capelli ossigenati. La rude ranger Margo Martindale (ben nota ai fan di BoJack Horseman) e il bizzarro guardacaccia con cui vuole imboscarsi, che paiono usciti da un surreale episodio in live action di Brickleberry. E per i buoni in quota arrivano i nostri: l’integerrimo detective Bob, che ha appena adottato la buffa cagnolina Rosette, e insegue la rotta dei criminali in parallelo a una giovane madre-infermiera, che cerca la figlia adolescente sperduta con l’amichetto in cima alla Blood Mountain (mai come in questo caso, nomen omen).
Una insospettabile Elizabeth Banks, tornata alla regia dopo il flop del pessimo Charlie’s Angels (2019) – nonché produttrice con la sua company Brownstone -, ci consegna un divertissement avventuroso, sbracato e fracassone, che sa giocare a rimpiattino con lo spettatore disimpegnato e disposto a stare al gioco dell’inverosimile in attesa delle fulminee zannate assassine dell’orso, strafatto e figurativamente dopato come invincibile, soprannaturale villain e babau che sfracella carni e semina caos (creature design in una CGI non certo irresistibile, ma più che accettabile ed efficace nel contesto di una materia filmica da roboante cazzeggio in un vecchio drive-in).
Un ringhioso demone della boscaglia che si aggira nascosto nel fuori campo, annidato negli anfratti e pronto a sbucare fuori dagli angoli bui come un impellicciato Alien plantigrado del centro visitatori, prima che dalla silenziosa suspense scateni la sua carica tritaossa annunciata dal poderoso rugliare, e faccia esplodere a tutto schermo il furore di un parossistico e divertito gusto splatter, nel tripudio di arti smembrati e teste mozzate.
The simple bear necessities
Un film di sana e tumultuosa irruenza a quattro zampe, fiero della sua natura di selvaggio e improbabile monster movie trash, che non si prende sul serio neanche per un secondo e fila via in scioltezza, scorrazzando spedito per un’ora e mezza sulle impronte caustiche e scervellate di una black (bear) comedy incrociata alle orme zannute di uno strambo e sballatissimo survival horror della foresta. Nella fuga dall’orso che diventa una caccia aperta e senza scampo ad un patetico campionario di umanità variamente avida, irresponsabile, intontita e inadeguata che ritrova una qualche riserva di solidarietà, e riscopre la cura e l’accudimento dell’altro solo quando braccata dalla ferocia belluina di un’imprevista minaccia bigger than life.
Il ritmo viaggia agile e sicuro a tappe alterne. Qua e là in botta di adrenalina action e inseguimenti a rotta di collo (una goduria il rovinoso assalto all’ambulanza). Talvolta sgonfiato di energie e stordito in sensi sospesi come un assurdo racconto pulp con i postumi (l’orsa che si accascia fagocitando il corpo di Eddie, nel clou dello scontro tra guardia e ladri). E appena spruzzato di prelibate scorrettezze e graffietti corrosivi alla stucchevole rassicurazione del cinema per famiglie (i ragazzini che trangugiano e sputazzano coca come una cucchiaiata di cereali, l’inebriante nevicata di cocaina come fiocchi natalizi, i teneri cuccioli del Cocaine bear infarinati di polvere bianca come fossero orsi polari). In ogni caso, in completa astinenza da qualunque pretesa di credibilità e giudizio razionale.
Impossibile non cedere al richiamo ancestrale e agli occhi iniettati di rabbia di quest’orso irresistibilmente stupefacente. Mettetevi in salvo e godetevi lo spettacolo.

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