Era stato programmato nelle giornate conclusive della 75ma edizione del Festival di Cannes. Subito è stato osannato dalla critica come uno dei migliori lungometraggi presentati durante la rassegna francese e si sentiva già profumo di Palma d’Oro: alla fine, Close, il nuovo film di Lukas Dhont, si è guadagnato il Gran Prix Speciale della Giuria. Già reduce dal successo del suo esordio, Girl (2018), il regista belga ha nuovamente convinto il pubblico raccontando la fine dell’amicizia tra i tredicenni Léo (Eden Dambrine) e Rémi (Gustav de Waele). 

Coming of age piccolo piccolo, Close narra le difficoltà dell’età prepuberale, in particolare il condizionamento sociale riguardante l’identità di genere e l’orientamento sessuale. Attualmente è candidato ai Golden Globes 2023 nella categoria miglior film straniero e in corsa ai Premi Oscar.  

«Ma voi state insieme?»

Può un’amicizia naufragare a causa di una frase? Per Dhont è possibile. Léo e Rémi condividono tutto: gli stessi giochi, le corse nei campi fioriti, perfino lo stesso letto durante le vacanze estive; i due tredicenni non hanno segreti fra loro, com’è normale che sia alla loro età. Eppure durante il primo giorno di scuola, qualcosa di spezza. «Ma voi state insieme?» gli viene domandato dalle compagne di classe, tra risate sommesse. E allora qualcosa, in particolare in Léo, si spezza. Forse perché lo stigma dell’omosessuale lo terrorizza: lui che vorrebbe inserirsi in un gruppo e che fa di tutto per riuscirci; prende parte alla squadra di hockey nonostante non ami quello sport; parla di calcio con i ragazzi più duri. E, soprattutto, inizia a evitare Rémi. Quegli atteggiamenti di natura innocente che aveva con l’amico fraterno iniziano ad assumere una connotazione diversa; Rémi, invece, non comprende il graduale distaccamento di Léo. «Ma voi state insieme?» «Léo ha le sue cose!» «Siete troppo appiccicati per essere solo amici!» Il seme del dubbio inizia a sedimentare nel giovane protagonista. 

In contrasto con le sequenze iniziali, caratterizzate da un’atmosfera giocosa e solare, a poco a poco Close assume tinte più scure. I silenzi, allora, prendono il posto della narrazione, e si quantificano negli studiati primi e primissimi piani dei due bambini. Lo sguardo quasi apatico di Léo entra in contrasto con il volto crucciato di Rémi, che mal sopporta il cambiamento dell’amico. Ora anche la condivisione del letto pare inaccettabile, la quale comporta un violento litigio tra i due. Tutti gli atteggiamenti, prima assolutamente naturali, vengono ora visti da Léo come sintomo di un’attrazione fisica.

Léo e Rémi

Leo e Remi

Il problema del condizionamento sociale afferente all’identità di genere e all’orientamento sessuale è uno dei fulcri principali intorno a cui si costruisce la narrazione di Close. Allo spettatore non è dato sapere se Léo ripudi «l’etichetta dell’omosessuale» a causa della sua educazione: la reazione del bambino, in questo senso, non pare derivata dall’ambiente domestico, bensì dalla sua natura come individuo. 

Le parole feriscono, così come i silenzi: Léo inizia ad allontanarsi da Rémi, senza pensare alle tragiche conseguenze che questo gesto potrebbe comportare, in virtù della sua natura di preadolescente.

La solitudine 

Dopo lo strappo, il regista belga si concentra sul graduale e doloroso distanziamento di Léo da Rémi, distacco che si fa sempre più evidente con l’avanzare dell’autunno e del freddo inverno. La narrazione perde il colore vivace delle battute iniziali e i toni si fanno sempre più cupi. La perdita dell’innocenza dei due bambini viene esemplificata dal processo di raccolta dei fiori appartenenti all’azienda della famiglia di Léo; il terreno diventa aspro, in attesa dello spargimento dei semi e della prossima fioritura. La desolazione della campagna coincide con la solitudine che inizia a interporsi fra Léo e Rémi. In questo senso, Dhont si sofferma a più riprese sui volti dei bambini, in particolare su quello del protagonista, interpretato dall’enfant prodige Eden Dambrine. Il suo viso angelico entra in contrasto con la sua assenza di emozioni, in contrapposizione con Rémi che non riesce a trattenere la sua disperazione. I bellissimi primi piani, incorniciati dai silenzi e dal non-detto, giungono come una pugnalata nel cuore dello spettatore, che vorrebbe scuotere Léo dalla sua apparente apatia. 

La solitudine investe bambini e adulti, questi ultimi incapaci di decifrare il dramma dei figli (per disinteresse o per timore). Tuttavia, il fardello dell’isolamento è la macchina che mette in moto la narrazione, dallo strappo in poi. Il regista segue la quotidianità di Léo, tra gli allenamenti di hockey e gli incontri in cortile con i compagni di classe. In questo modo, Dhont esplicita la necessità di mettersi nei panni di un bambino, tentando di comprenderne i meccanismi psicologici: in primis, la necessità di entrare a far parte di un gruppo, altro tema fondamentale nel film. Dhont mette in scena la fatica provata da Léo per riuscire nel suo intento: nelle sue rovinose cadute sul ghiaccio, durante gli allenamenti, lo spettatore prova sulla sua pelle il dolore di doversi adattare a un gruppo che ha già deciso per lui. 

In questa forma, la riflessione operata in Close si coniuga con il meccanismo empatico che entra in gioco fin dalle prime battute del film. Tale operazione si acuisce nei numerosi momenti drammatici del film, dettati, ancora una volta, dalle marche di silenzio e sguardi. Tuttavia questi momenti diventano forse fin troppo presenti, soprattutto nella seconda parte: la ricerca della commozione nel pubblico si fa sempre più morbosa, man mano che i minuti scorrono, a scapito della sceneggiatura. La ricerca della lacrima è lecita, ma fin troppo evidente in certi momenti, specie nei venti minuti finali. 

Fiori nuovi

Léo in una scena del film

Così come l’opera prima di Lukas Dhont, Close si inserisce perfettamente in un clima socio-culturale in cui è importante discutere dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere. Comprendere i meccanismi sociali che possono compromettere la stabilità emotiva dei bambini e dei preadolescenti è necessario affinché non si verifichino risvolti drammatici, come accade in Close – e su cui chi scrive ha deciso di tacere, per stimolare la visione nelle sale. 

Tuttavia, la pressione sulle due questioni si fa palese solo nella prima parte del film, mentre nella seconda viene dato spazio solo al tema della solitudine vissuta dal protagonista, con la relativa insistenza sui momenti drammatici volti a scaturire il pianto. Ciononostante, l’opera di Dhont non può lasciare indifferenti, sia per le tematiche, sia per lo stile registico raffinato, nonché per la dolcezza con cui vengono narrati i sentimenti dei giovanissimi protagonisti.

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Shannon Magri, Redattrice