Dopo la polemica all’ultimo Festival di Cannes, causata dall’ambiguità sull’ammissione o meno al concorso principale, arriva anche al Torino Film Festival nella sezione Fuori Concorso la nuova opera del regista spagnolo Víctor Erice, suo primo lungometraggio dopo un’attesa di 30 anni dal suo precedente film.

Il famoso attore spagnolo Julio Arenas scompare mentre sta girando un film. Anche se il suo corpo non viene mai ritrovato, la polizia conclude l’istruttoria sostenendo che è stato vittima di un incidente in mare. Molti anni dopo, il mistero che circonda la sua scomparsa torna alla ribalta grazie a un programma televisivo che ne racconta la vita e la morte, mostrando le immagini esclusive delle ultime scene in cui ha recitato, riprese da un suo caro amico, il regista Miguel Garay (fonte Torino Film Festival).

Il film si apre con il girato in pellicola dell’ultima opera di Julio Arenas prima della scomparsa. Un uomo incarica il personaggio interpretato da Julio di cercare sua figlia per poterla incontrare  ancora  una volta prima della sua imminente dipartita, per poter essere osservato come solo la figlia era capace di fare, con un intenso sguardo di addio. Uno sguardo di addio che anche Julio in seguito volgerà al regista Miguel attraverso la telecamera. Uno dei due personaggi di tale preludio, nel descrivere le componenti della scacchiera, definisce il re degli scacchi come la pedina più triste: Miguel Garay, il regista nonché protagonista del film, è a suo modo un re, un direttore, affetto da una profonda malinconia dopo una vita costellata di lutti e ambizioni non rispettate. Inizialmente disilluso sul ruolo contemporaneo del cinema, in cui si sente un dinosauro, una persona cresciuta nell’analogico e costretto a vivere in un mondo dominato dal digitale, si interroga su quanto la bellezza dell’arte possa diventare una routine se vissuta ogni giorno, come le esperienze vissute da una guida del museo del Prado chiamata a ripetere le stesse cose tutti i giorni ai turisti. 

Miguel e Julio sono collegati da un rapporto di amicizia e sono due facce della stessa medaglia, tra fidanzate condivise e vestiti indossati da entrambi. Sono collegati persino dagli elementi naturali, con epifanie che sopraggiungono in momenti di pioggia. Lo speciale del programma televisivo è l’occasione per Miguel di ritornare a riflettere sul rapporto che aveva con l’amico prima della sua scomparsa. La prima metà del film rimanda in qualche modo a Quarto Potere, alla difficoltà nel tratteggiare, definire e comprendere una persona. Come in uno specchio metacinematografico, Julio passa dall’interpretare un personaggio incaricato di trovare una bambina nella finzione, all’essere cercato dai propri amici e dalla propria famiglia nella realtà. Tutte persone che non lo han dimenticato e che ancora si interrogano sulla sua scomparsa.

Víctor Erice costruisce tutta il film attraverso primi piani insisti sui volti e sugli occhi, sugli intensi sguardi degli iconici personaggi che costellano tutta la pellicola, delineati attraverso raffinati dialoghi di grande genuinità, con il susseguirsi di scene apparentemente fini a sé stesse che sono tuttavia funzionali alla costruzione delle loro psicologie. Il titolo stesso della pellicola significa “chiudi gli occhi” a confermare l’importanza data allo sguardo e all’immagine. 

Il percorso di Miguel, da regista disilluso ad artista che utilizza il cinema per cercare di salvare e ricostruire una persona, risulta dunque coerente e quasi autobiografico di Víctor Erice, tornato dopo più di 30 anni a dirigere un film, come se si fosse reso conto di avere ancora qualcosa da raccontare. Perché l’arte, il cinema e la potenza delle sue immagini possiedono ancora un ruolo salvifico. La nostra vita è rappresentata da una collezione di immagini, foto, riprese e ognuna di esse può essere fondamentale nella definizione di noi stessi. Almeno finché ci sarà il rumore di un proiettore, è lecito credere nei miracoli che solo il cinema è capace di produrre.

Luca Orusa
Luca Orusa,
Caporedattore.