Quando nel 1992 arrivò nelle sale Candyman – Terrore dietro lo specchio  diretto da Bernard Rose e tratto dal romanzo The forbidden  di Clive Baker (sì, il regista di quella perla che è il primo Hellraiser) tutti avevano buone aspettative, dovute soprattutto dai nomi dietro al  progetto. Quello che però gli spettatori visionarono fu un horror denso di retorica e filosofia e che, tra una testa mozzata ed uno schizzo di sangue, raccontava il grido di un popolo sottomesso e costretto a soffrire abusi e violenze.

Se a distanza di circa trent’anni dovessi nominare un regista nel panorama horror che si è preso carico di raccontare questi temi si tratterebbe senza dubbio di Jordan Peele. Nel 2019, l’ex-attore comico ha deciso di ridare nuova linfa al personaggio di Candyman ed alla sua storia, curando la sceneggiatura e la produzione di una nuova pellicola, affidando però la macchina da presa alla regista newyorkese Nia DaCosta, anch’essa coinvolta in fase di scrittura. Causa Covid-19 si è dovuto però aspettare fino all’agosto 2021 per poter finalmente visionare la pellicola in sala. Saranno riusciti a riportare in auge il personaggio o si tratta soltanto di un grosso inciampo? 

UNA VENDETTA DOLCEAMARA

Il protagonista della pellicola è il pittore Anthony McCoy (interpretato da un ottimo Yahya Abdul-Mateen II), il quale viene a conoscenza delle origini del palazzo in cui vive con la fidanzata, che è stato costruito alla fine degli anni ’90 sulle fondamenta del complesso chiamato Cabrini-Green. Indagando sulla storia dell’edificio viene a conoscenza della storia di Helen Lyle (la protagonista della prima pellicola della serie) e di William Burke, scoprendo anche la storia di Candyman. Trovandosi in un blocco d’artista, Anthony decide di prendere questo personaggio leggendario come ispirazione per le sue opere, trascinando numerose persone in un vortice di morte e riportando in auge la leggenda ormai dimenticata dai più. 

Già nella pellicola degli anni ’90 erano presenti diverse problematiche in fase di scrittura, con diverse situazioni poco chiare e molti elementi che, con l’intenzione di lasciare libera interpretazione allo spettatore, mostravano però il fianco a veri e propri buchi di trama. Il tutto però veniva compensato da un ottimo comparto tecnico e attoriale, creando così un film tutt’altro che perfetto ma comunque godibile.

Situazione similare si incontra con questa di pellicola, nella quale la sceneggiatura risulta l’elemento più debole. Sembra quasi che Peele si sia lasciato eccessivamente sopraffare dalla tematica non curando la maniera in cui il tutto sarebbe poi stato messo in scena. Non parliamo di un disastro, però numerose scene richiedono un grosso (ai limiti dell’eccessivo) sforzo da parte dello spettatore di mettere insieme i pezzi. Ulteriori pecche della sceneggiatura sono le varie sottotrame, che risultano solamente abbozzate e concluse malamente e in maniera frettolosa, e l’ormai necessario inserimento del plot twist, favoloso e funzionale nelle sue pellicole precedenti, ma che qui risulta invece un po’ insipido e traballante. Dando a Cesare quel che è di Cesare, bisogna ammettere come il messaggio venga recepito in maniera molto forte dallo spettatore complice anche una riscrittura di alcuni elementi della storia di Candyman che permettono ulteriori spunti di riflessione sulla tematica del “Black Lives Matter” e degli abusi della polizia sulle persone afroamericane negli USA.

UNA MERAVIGLIA TECNICA

Se la scrittura del film risulta essere l’elemento più debole, la regia e la fotografia del film si assestano su livelli eccezionali. Bastano già i titoli di testa per capire come la regista (al suo secondo lungometraggio) avesse ben chiaro in mente lo stile e l’impronta che voleva donare alla pellicola, prendendo ispirazione da altri registi ed altri film, ma creando un suo stile già riconoscibile e caratteristico. Notevole soprattutto il modo in cui vengono messe in scena le sequenze più cruente e splatter, mostrate spesso da un punto di vista esterno alla scena (complice anche la presenza “fisica” di Candyman soltanto all’interno degli specchi) evitando l’utilizzo di cliché visivi e jumpscare inutili. 

Sul versante degli attori, la recitazione si attesta su un ottimo livello per tutti i vari personaggi presenti, in particolar modo per il protagonista, che riesce a portare ottimamente in scena lo sgretolarsi pezzo per pezzo delle sue convinzioni e la sua continua trasformazione in mostro. Menzione d’onore per Tony Todd che ritorna nei panni di Candyman e riesce, a distanza di 29 anni, a mostrare lo stesso carisma e a mettere in scena il personaggio nella sua interezza, aiutato anche dalle scelte di regia e fotografia.

Piccola nota a margine va fatta per l’utilizzo della CGI, che purtroppo si attesta su un livello mediocre, mostrando quindi il fianco in alcune sequenze (in primis quella dell’alter ego nello specchio). L’utilizzo è stato comunque relativamente poco, non trattandosi dunque di un elemento che rischia di rovinare l’intera visione del film.

CONCLUSIONI

A distanza di 29 anni, Jordan Peele e Nia DaCosta si sono imbarcati nella tutt’altro che semplice impresa di riportare al cinema il personaggio di Candyman. Nonostante una sceneggiatura problematica, la pellicola riesce a trasmettere un forte messaggio e ad innovare intelligentemente il personaggio e la sua storia. Registicamente e fotograficamente il film si attesta poi su alti livelli, con una messa in scena delle sequenze più concitate che riesce ad esulare dai classici cliché e che riesce a fare a meno di jumpscare. Una pellicola quindi non perfetta, ma comunque da recuperare possibilmente finché si trova ancora in sala, così da godere della bravura della DaCosta, che senza troppe remore sento di definire uno degli astri nascenti del panorama horror contemporaneo.

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Mattia Bianconi, Redattore