Presentato alla scorsa edizione del South by Southwest e dopo aver attraversato un percorso festivaliero con ricezione critica straordinariamente positiva, Bottoms arriva in Italia direttamente su piattaforma caricato di legittime aspettative, montate non solo dalle critiche entusiastiche ma soprattutto dalle menti creative dietro alle folli premesse di questo film, annunciato come la commedia dell’anno.

Si tratta del secondo lungometraggio di Emma Seligman che ritorna dopo il suo fulminante esordio, Shiva Baby, a collaborare con l’attrice feticcio Rachel Sennott – questa volta anche in veste di sceneggiatrice e produttrice esecutiva – a sua volta riunita con Ayo Edebiri, metà del duo comico che aveva già esordito su Comedy Central. Due fuoriclasse dell’improvvisazione, circondate da un cast che si rivela solidissimo – Kaia Gerber libera tutta la sua energia da supermodella e diventa un catalizzatore di attenzione nei pochi minuti di presenza sullo schermo – accompagnate da una colonna sonora che spazia dall’hyperpop di Charlie XCX all’origine del pop punk con Avril Lavigne  per un Fight Club gay che incontra la satira e il gusto per l’assurdo di Heathers.

Non c’è quindi bisogno di sottolineare ulteriormente i motivi per i quali fossi sicura che avrei amato Bottoms. Qualcosa però è andato perso durante la visione e mi sono trovata a chiedermi cosa mi fosse sfuggito quando probabilmente avrei solo dovuto divertirmi di più. Una sceneggiatura a tratti brillante, punchline caustiche già parte dell’iconografia dei migliori teen movie – una tra tutte “Holocaust, It did happen.” pronunciata da un memorabile insegnante di storia interpretato dall’ex star dell’NFL Marshawn Lynch-  non bastano a dare una direzione a un film che vuole essere troppe cose alla volta, vittima di un’indecisione narrativa di fondo. 

Proseguendo una tendenza già inaugurata negli ultimi anni da teen comedy come Booksmart, anche in Bottoms si parte da un gender swap, il capovolgimento dei ruoli di genere come li avevamo conosciuti durante gli anni d’oro del genere. La coppia di amici al fondo della piramide sociale che agli sgoccioli dell’avventura liceale si imbarca nella missione di perdere la verginità con le ragazze più popolari non è più al maschile. Cambia il genere ma non gli stilemi, non c’è alcuna intenzione di adattare i toni che mantengono scorrettezza e  scurrilità anche nelle parole pronunciate da bocche femminili. Qui le liceali sfigate sono PJ e Josie, meglio conosciute come le “ugly, untalented gays”, amiche da sempre che, per far colpo sulle due cheerleader bellissime e inarrivabili per cui hanno una cotta e che puntualmente gravitano intorno ai bicipiti dei giocatori di football, si ritrovano a fondare un club scolastico di autodifesa tutto al femminile. L’emancipazione e il non farsi trovare impreparate alle violenze che il match di football con la squadra rivale porta con sé, chiaramente sono tutte scuse.

Il contesto scolastico è popolato da personaggi maschili volontariamente macchiettistici, da Ken privati di autoconsapevolezza, in balia dei propri muscoli e immolati alla causa dello sport che incarna il male assoluto. In questo clima, l’inclusività e il femminismo sono valori ignorati anche da chi ne dovrebbe beneficiare maggiormente come a sottolineare l’ipocrisia con cui certi temi vengono sbandierati senza alcuna profondità unicamente per raggiungere i propri scopi. Le ragazze nel doposcuola si prendono a pugni, calci, la vena più pulp del film si accentua man mano che il contatto fisico si fa più spinto; la rabbia che passa attraverso il corpo diventa mezzo per l’empowerment, mentre in sottofondo si alternano battute sulle stragi nelle scuole e sulla violenza di genere che certamente sottolineano un acume e una sottigliezza inedite fino ad ora nel genere.

Con il trascorrere dei minuti Bottoms si abbandona all’anarchia, dona ai propri personaggi femminili la libertà di fare scelte assurde, totalmente sopra le righe ma per quanto funzioni tutto in teoria, la pratica non sempre segue. L’equilibrio tra drammaturgia e improvvisazione si sbilancia eccessivamente nei confronti di quest’ultima, manca una caratterizzazione più profonda dei personaggi che espanda anche il contesto extra scolastico in cui si muovono e la virata grottesca sacrifica un ragionamento più approfondito sull’esplosione di violenza finale. Bottoms rimane comunque un film legato a doppio filo con il presente, per il presente, capace di catturare in qualche modo uno zeitgeist, aggiungendo elementi per tracciare il percorso artistico che Emma Seligman sembra voler intraprendere.

Che abbia convinto o no, non si può che rimanere comunque estremamente curiosi.

Silvia Alberti
Silvia Alberti,
Redattrice.