La fuoriserie italiana torna con 8 episodi revival su Disney Plus. Un sincero saluto da parte del cast a chi ha creato e a chi ha amato la serie.
Non è assolutamente un delitto considerare Boris il miglior prodotto di fiction mai apparso sulla tv italiana. Con buona pace di tutti i romanzi criminali (siano essi romani, napoletani o montalbani) e degli intrighi politici di 1992-1993-1994, le tre stagioni scritte da Giacomo Ciarrapico, Luca Vendruscolo e dal compianto Mattia Torre, andate in onda tra il 2007 e il 2010, restano lo specchio perfetto di ciò che significa realizzare fiction televisiva in Italia, che sia immondizia (per non utilizzare i termini cari al nostro eroe René Ferretti) o che sia qualità vera o presunta (come quella di qualche serie crime realizzata a Napoli o Roma uscite negli ultimi anni).
L’atmosfera assolutamente lasciva e imperfezionista dei set di Cinecittà, riprese e fotografia un tanto al chilo, sotto la tv c’è il cinema, sotto il cinema la radio e poi la morte, messaggi sociali che più postdemocristiani di così si muore (ma tanto si sa che non si può morire da democristiani), eroi che sembrano colpevoli (non si sa di cosa), poi dimostrano di essere innocenti per poi rivelarsi colpevoli, sì, colpevoli di amarti. Sembra una barzelletta ma è solamente la tv italiana. E Boris era riuscita a restituire al grande pubblico la verità di un set, con una ricetta che funzionava a meraviglia.
Un cast di attori che con le fiction e i film sotto la soglia dell’accettabile ci hanno pagato il mutuo e l’università (o le scuole di cinema) dei figli, che finalmente avevano colto l’occasione per sfogarsi e fare qualcosa di buono (quel “Mamma mia la monnezza che ho fatto” detta da René/Pannofino non poteva essere più sincero).
Un gruppo di personaggi che non si può non amare, una lista infinita di scene cult e battute citate e nuovamente citate spesso a sproposito (se esiste un Dio sta a lui stabilire se la devastazione di questo paese è attribuibile ai toscani). Dopo la fine della sua messa in onda su Fox (palinsesto sciaguratissimo) Boris entra nei cuori di una seconda generazione di spettatori dalla porta di servizio (lo streaming) e nulla sarà più come prima. Gli attori diventano beniamini del pubblico (“come fanno a darmi fastidio le domande su Duccio e Boris? Mi hanno alzato il 740” disse Ninni Bruschetta al sottoscritto dopo una sua esibizione)
Il finale non era un finale, il film del 2011 non lo hanno visto e amato proprio tutti tutti (però quanto è bello), e dopo la fine della serie sembrava non esserci niente come Boris. In realtà c’è stato Ogni Maledetto Natale, versione borisiana del cinepanettone con una prima metà per cui lo spettatore si deve tenere la pancia a due mani dalle risate. C’è stata la bella trilogia di Smetto Quando Voglio di Sydney Sibilia con buona parte del cast. Ciarrapico e Vendruscolo avevano creato la serie Liberi Tutti, Torre aveva raccontato la sua malattia con La Linea Verticale e ci ha dato il suo addio con Figli, dedicandolo a chi ha dovuto salutare troppo presto.
Il fermento c’era, l’attesa anche. Non si escludeva il ritorno. Non c’è più Itala, la segretaria di edizione alcolista interpretata da Roberta Fiorentini, non c’è più Arnaldo Ninchi ovvero il Dottor Cane, capo indiscusso della fiction italiana, non c’è più uno dei tre cuori pulsanti della scrittura. Ma ci sono tutti gli altri, e hanno davvero voglia di tornare.
Disney Plus finalmente ci mette i soldi, la quarta stagione si fa. Dopo un anno esce. Ed è bellissima.
Forse la partenza è un po’ scialba, ma serve solo il tempo di rivedere i nostri vecchi amici. Duccio, Biascica, Corinna, Stanis. Sono tutti invecchiati, cresciuti, stagionati. Ad alcuni la vita ha sorriso ad altri no. Il mondo è cambiato e quasi tutti loro appartengono ad un’altra epoca. Dove prima la rete chiedeva di schierarsi contro l’aborto ora le piattaforme chiedono diversità nel cast e nella troupe (“l’algoritmo preferisce i coreani ma sul cinese mi posso battere”) . Gli atteggiamenti traffichini dei produttori non possono nulla di fronte ai database. E se si fallisce, non resta che aprire bar.
Poco importano sottotrame lasciate nel vuoto, colpi di scena che non portano a nulla e cose del genere. Si ride, c’è voglia di dare un ultimo saluto ai nostri personaggi, anche da parte di chi ci ha lavorato, e il desiderio di fare qualcosa di sincero.
E le risate poi sfumano, sfumano nei ricordi e nella nostalgia. I nostri protagonisti dovranno lasciarsi alle spalle tutto ciò che conoscevano e chiamavano “lavorare”. Però stavolta, al contrario delle altre, c’è più speranza.
Boris è tornato a salutarci un’ultima volta, probabilmente l’ultima ed è giusto così. Grazie di tutto, e dai dai dai.
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