Quando nel 2016 Scott Derrickson venne scelto per dirigere l’origin story dello stregone supremo di casa Marvel Doctor Strange, non tutti saltarono dalla gioia, vista anche la sua non riuscitissima prova precedente con Ultimatum alla terra nel 2008. Sorprendentemente (ma nemmeno così tanto, visti i successi raggiunti con pellicole come L’esorcismo di Emily Rose, Sinister e Liberaci dal male) Derrickson riuscì a “portare a casa” un più che ottimo risultato, con la pellicola all’undicesimo posto dei maggiori incassi dell’anno, e ritrovandosi quasi istantaneamente tra le mani già il progetto per il sequel. Varie divergenze creative portarono però alla rottura della collaborazione tra il regista originario di Denver e la macchina produttiva di Kevin Feige, così che il caro Scott si ritrovò sulla strada di casa, o più precisamente quella che portava agli studios dell’amico Jason Blum, fondatore della ormai famosa compagnia di produzione di horror a basso budget Blumhouse.

Scavando nella memoria e tra i film pensati ma mai realizzati, i due tirarono fuori dal cilindro la vecchia idea sopita da tempo di adattare per il cinema The Black Phone, racconto breve facente parte della raccolta intitolata Ghosts nata dalla penna di Joe Hill, nientemeno che il figlio del famoso scrittore horror Stephen King. Diversi mesi per aggiustare la sceneggiatura in collaborazione con C. Robert Cargill e girato con un budget di 18,8 milioni di dollari con il titolo di lavorazione “Static”, il 23 Giugno 2022 dopo alcune vicissitudini di distribuzioni finalmente il lavoro di Derrickson riesce ad arrivare in sala e segna il ritorno del regista al genere d’esordio, dimostrando ancora una volta il suo grande talento orrorifico.

CHIAMATA SENZA RISPOSTA

Mentre John Wayne Gacy (soprannominato “Killer Clown” e che secondo numerose teorie sarebbe stato la fonte d’ispirazione principale per il “clown danzante” mangiabambini del racconto di King) veniva finalmente catturato, nel 1978 in una cittadina della periferia in Colorado un altro sadico rapitore di bambini (interpretato da Ethan Hawke) si aggira per le periferie del Colorado. Soprannominato “Il Rapace” (o The Grabber in originale), diviene presto l’incubo di molti ragazzini tra cui anche il protagonista Finney Shaw (Mason Thames), magrolino tredicenne tormentato dai bulli e che viene spesso tratto in salvo dalla sorella Gwen (Madeline McGraw), piccola ma tosta, e che condivide con il fratello uno strettissimo rapporto che permette loro di superare tra le tante cose anche gli abusi del padre alcolizzato (Jeremy Davies). Presto i due si ritroveranno a fronteggiare, anche se in maniera molto diversa, la vicenda dei rapimenti ad opera del Rapace.

Ad un punto di partenza funzionale e ben contestualizzato, messo in scena da Derrickson con grande maestria inquadrando i piccoli e risicati set a disposizione ma sempre in maniera interessante e mai banale, poco dopo l’incipit si inserisce l’elemento del sovrannaturale attraverso inquietanti dialoghi con persone morte e misteriose visioni che si presentano come contraltare alla paura più tangibile raffigurata dalla massiccia e violenta presenza del rapitore. Su quest’ultimo, a differenza di quanto ci si potesse inizialmente aspettare, il film non pone la costante attenzione preferendo soffermarsi più sui ragazzini, ma non per questo il lavoro svolto sulla realizzazione del villain risulta fallimentare. Ci si ritrova infatti davanti ad un personaggio di cui raramente vediamo il volto scoperto, in quanto spesso indossa una maschera (il cui design ricorda per certi versi quella vista in Demoni di Lamberto Bava) composta da vari pezzi interscambiabili e che il personaggio cambia a seconda della situazione: in alcune sequenze si ritrova con gli occhi scoperti e la bocca coperta da un inquietante ghigno, altre volte si presenta il contrario con occhi e fronte coperte da una seconda pelle grigia e corna da diavolo ed altre volte ancora è invece tutto il volto ad essere coperto magari con un’espressione triste o addirittura senza bocca. Se dal lato narrativo il film non si lascia scappare nulla sul passato del personaggio, è la formidabile interpretazione di Ethan Hawke a portare lo spettatore a speculare sulle possibili motivazioni che spingono il suo personaggio, così sopra le righe e teatrale ma mai in maniera banale, dimostrando così ancora una volta l’eccezionale bravura dell’attore.

LA CASA CON IL TELEFONO NERO

Sul lato sovrannaturale, il racconto (e di conseguenza anche la pellicola) pesca a piene mani dalla letteratura di King, presentando poteri simili a quelli presenti in Carrie o in Doctor Sleep e che anche qui generano forti conseguenze sul piano delle relazioni tra i personaggi, o anche nella presenza di bambini come protagonisti similmente a Stand by me o It, per citarne un paio, e questi rimandi vengono anche rimarcati attraverso citazioni sul piano visivo (su tutti basti pensare alla corsa in bici sotto la pioggia con indossa l’impermeabile giallo presente nel trailer).

Registicamente il film si assesta su un ottimo livello, con inquadrature pressoché fisse nei momenti più calmi e che lasciano poi spazio a movimenti di macchina precisi e calcolati nei momenti di maggior tensione, fino ad una scena di colluttazione in cui il regista dimostra tutta l’esperienza acquisita con Doctor Strange. Come ormai da abitudine del regista sono presenti jump scares, anche qui come per i precedenti lavori in numero ridotto e che risultano sempre ben inseriti e originali. Sul piano tecnico presenta un’ottima fotografia, in aggiunta ad una ricostruzione scenografica anni ’70 che viene esasperata in alcune sequenze messe in scena sotto forma di simil filmati d’epoca (richiamando quanto fatto con il precedente lavoro in collaborazione con Hawke Sinister del 2012). Altro elemento sempre presente e funzionale nelle pellicole dell’orrore di Derrickson è il piano sonoro, che accompagna costantemente lo spettatore con suoni rauchi e spaventosi e per l’occasione curato da Mark Korven, autore anche delle musiche di The VVitch e The Lighthouse

Se dell’ottima recitazione di Hawke si è già parlato, non si può certo tralasciare l’estrema bravura di Mason Thames, che riesce nell’impresa di reggere il peso di quasi tutta la pellicola sulle sue spalle alla sua prima vera prova attoriale. Ottima è anche la prova di Madeline McGraw, che riesce a mettere in scena un personaggio femminile forte ma debole allo stesso tempo e che scopre con l’avanzare della pellicola sé stessa e quello che può realmente fare; assieme a loro troviamo poi tra i personaggi secondari Jeremy Davies nei panni di un padre distrutto e abusivo con un’interessante evoluzione nel corso della storia (e che fa sempre piacere rivedere al di fuori di Lost) e James Ransone, ancora una volta al lavoro con Derrickson dopo Sinister e che interpreta nuovamente qui il comic relief, utile a smorzare la tensione dello spettatore.

CONCLUSIONI

Dopo aver lasciato a Sam Raimi il timone del secondo film dedicato a Doctor Strange, Scott Derrickson torna nei già solcati lidi dell’horror, ancora una volta aiutato dall’amico Jason Blum e questa volta alle prese con l’adattamento del racconto breve di Joe Hill The Black Phone. Un ritorno che non può che fare felici e che presenta una storia inquietante, con un interessante villain “terreno” ed elementi che pescano nel sovrannaturale e nelle storie di fantasmi. Tutti gli attori, dai principali come Ethan Hawke e Mason Thames ai secondari, svolgono un eccellente lavoro di caratterizzazione dei personaggi aiutati da una buona sceneggiatura. Forse la pellicola presenta una durata leggermente eccessiva e non è caratterizzata da numerosi momenti di paura, ma riesce comunque ad inquietare in numerose occasioni e a mantenere costante la tensione. Forse non siamo di fronte al miglior lavoro di Derrickson, ma se i film horror fossero tutti come Black Phone di certo saremmo tutti più contenti.

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Mattia Bianconi, Redattore