E così si concluse la Fase 4. Cominciata nel gennaio del 2021, la ripartenza del Marvel Cinematic Universe post-Endgame ha aperto la strada alle serie tv ufficiali – delle quali infatti non fanno parte le produzioni Netflix come Daredevil, Defenders, The Punisher o quell’Agent of Shield prodotto dalla ABC – e al proseguimento dell’arrivo in sala di pellicole dedicate a vecchi e nuovi (super)eroi che popolano il vasto Multiverso Marvel. 

Con Black Panther: Wakanda Forever si arriva a sette pellicole in sala nell’arco di due anni. Sette storie che non sempre sono riuscite a incontrare il favore di critica e pubblico, creando numerosi dibattiti sulla loro qualità e sulla loro impronta all’interno di un franchise che vive – anche se negli ultimi anni sarebbe forse meglio dire “sopravvive” – da più di dieci anni. Dopo ben ventitré film qualcuno cominciava a chiedersi se non fosse il caso di cambiare la formula ed apportare degli effettivi cambiamenti alla base e, dando a Cesare quel che è di Cesare, bisogna ammettere che se c’è un elemento comune a questa Fase 4 è proprio quello di proporre film diversi, non sempre riuscendo però nel creare al tempo stesso pellicole così godibili come le precedenti.

In questo Black Panther: Wakanda Forever non fa eccezione.

ODE A CHADWICK BOSEMAN

Appare innegabile come la dolorosa e improvvisa scomparsa nel 2020 di Chadwick Boseman, interprete di T’Challa aka Black Panther, abbia obbligato la gigantesca macchina di casa Marvel a studiare da zero un nuovo piano d’azione. Tornato dopo essere stato polverizzato dallo schiocco di dita di Thanos, si presentava proprio in Black Panther l’erede del ruolo di Avenger con annesso gravoso compito di ripartire creando un nuovo team – a fianco ovviamente dello Strange di Cumberbatch e dell’Ant Man di Rudd.

Si presentava quindi una decisione tutt’altro che semplice per i piani alti: eseguire un semplice recast del personaggio, assegnando quindi ad un altro attore il personaggio di T’Challa e fare finta che nulla fosse successo, oppure presentare una morte interna al racconto e proseguire con un nuovo personaggio a raccoglierne le redini. Se con un personaggio secondario come il Generale Ross è stata scelta la sostituzione silenziosa del compianto William Hurt con un inedito Harrison Ford, mostrando un profondo rispetto nei confronti dell’attore – ed evitando così anche schiere di fan che, precedentemente alla conferma del non-recast, si mostrarono decisamente agguerrite su questo fronte – si scelse la seconda opzione, dovendone però affrontare così le conseguenze. Conseguenze che hanno portato a questo Wakanda Forever che proprio dell’encomio verso il personaggio/attore fa il suo punto focale, nel bene e nel male.

“RYAN, NON SENTO LA PANTERA”

Un po’ come per Stanis in quella fatidica scena del Fiume N’gube nella seconda stagione di Boris, per lo spettatore l’effetto di vuoto dovuto alla mancanza di Black Panther – che viene brevemente contestualizzata nei primi minuti di film, nei quali si afferma di una malattia tenuta nascosta che ha lentamente consumato il re e che nessuno sembra essere in grado di curare – può sortire un effetto negativo sulla visione complessiva di un film il cui titolo è Black Panther ma in cui il personaggio stesso compare soltanto nei minuti finali della pellicola, con un passaggio di testimone alla sorella Shuri messo in primo piano già dai trailer, dove forse una maggiore segretezza avrebbe potuto giovare ad un effetto sorpresa che la pellicola cerca di costruire – per problemi di marketing – quasi inutilmente.

Sul lutto per la scomparsa di T’Challa, sull’affrontarlo ed il cercare di superarlo a proprio modo ruotano attorno le linee narrative dei vari personaggi del Wakanda, fino a questo momento poco più che personaggi secondari e che qui vengono posti (chi più chi meno) in un ruolo più centrale ma con il costante macigno di un approfondimento che risulta assente e che porta lo spettatore ad empatizzare con i personaggi soltanto a tratti. In questo la scrittura del quadro generale non aiuta di certo, portandosi ulteriormente a chiedersi come un film con un sottotitolo come Wakanda Forever del Wakanda stesso parli ben poco. Molto più presente era infatti nella prima pellicola, dove lo spettatore veniva accompagnato alla scoperta di un luogo con una cultura, delle leggi ed uno stile di vita diverso dal mondo comune con quell’interessante mix di elementi preistorici con una tecnologia da fantascienza; qui vengono mostrati i rapporti internazionali della nazione africana, impegnata ad affrontare le conseguenza dell’essere usciti allo scoperto con il precedente governo, ma questi finiscono per occupare solo la primissima parte di un racconto che si sposta presto su un altro fronte. Se Stanis infatti quando guardava il fiume N’gube vedeva Pomezia, qui il film sembra volerci mostrare il Wakanda ma ponendoci poi davanti agli occhi per la quasi totalità del tempo la sottomarina Tlālōcān ed il suo popolo umanoide sottomarino dalla pelle blu.

QUALCOSA DI NUOVO SUL FRONTE WAKANDIANO

Proprio nel sovrano di Tlālōcān è situato uno dei punti di forza del film: il Namor interpretato da Tenoch Huerta viene qui introdotto come villain riuscendo però a caratterizzarlo in maniera acuta, dotandolo di un interessante background – che, allontanandosi dalla pedissequa copiatura del fumetto, introduce un passato legato alla cultura Maya che si riverbera nel suo abbigliamento e nella lingua da lui parlata – e di una sua morale, che lo spinge a difendere a tutti i costi il suo popolo sottomarino affrontando senza troppe remore proprio i discendenti dei suoi antenati. L’esempio perfetto di un’ottima riscrittura di un personaggio che rimane al tempo stesso fedele al materiale di partenza (le iconiche alette ai piedi e le orecchie a punta sono infatti presenti e sono bellissime), anche se definibile come esempio forse troppo perfetto visto che quello che si presenta come un villain a tutti gli effetti risulta sia più approfondito sia più interessante di quelli che dovrebbero essere i veri protagonisti, su tutti la Shuri di Letitia Wright che, per quanto a livello attoriale porti a casa un ottimo lavoro soprattutto a livello emotivo, presenta una caratterizzazione troppo ancorata al ruolo di spalla che ricopriva nelle pellicole precedenti. Poco altro da dire sul fronte attoriale, con nomi del calibro di Lupita Nyong’o, Wiston Duke, Martin Freeman o Angela Bassett relegati in personaggi che – come accennato sopra – faticano, proprio come Shuri, a scrollarsi di dosso il ruolo secondario con cui sono stati originariamente concepiti, come anche l’appena introdotta Riri Williams interpretata da Dominique Thorne si presenta qui come un personaggio puramente di contorno, complice il suo futuro approfondimento nella serie a lei personalmente dedicata.

Ci si ritrova così davanti ad una pellicola popolata da personaggi non sempre abbastanza interessanti ed una narrazione generale che si presenta con un ritmo decisamente altalenante e con un minutaggio di due ore e quaranta che rischia così di straniare ed annoiare lo spettatore.

Distaccandosi dal lato narrativo verso quello tecnico si incontra invece l’altro punto di forza della pellicola, con una regia affidata nuovamente a Ryan Coogler di ottima fattura e in cui il cineasta statunitense si mostra a suo agio sia nelle sequenze più tranquille e statiche che in quelle più movimentate, accompagnato poi da un’ottima fotografia a cura di Autumn Durald Arkapaw e da un uso della CGI affiancato ad effetti più pratici che permettono allo spettatore in un ambiente visivamente spettacolare. Urge spezzare una lancia poi per le scene d’azione, in cui tutti questi elementi appena citati riescono a creare alcuni tra gli scontri più belli dell’intero universo Marvel il cui punto più alto si presenta nell’assalto al Wakanda, capace di superare per impatto anche le enormi battaglie campali di film come Infinity War o Endgame, mostrando un minimo il fianco soltanto con l’arrivo della nuova Pantera e, con essa, del forte uso di computer grafica.

CONCLUSIONI

Con Wakanda Forever si conclude quindi l’infame fase 4 dell’MCU, composta da serie tv dall’esito altalenante e da pellicole per il cinema (di cui trovate per ognuna le recensioni sul sito) che, con l’obiettivo di cambiare le carte in tavola, non sempre hanno trovato il favore del pubblico e della critica. Anche questo secondo capitolo non fa eccezione, ponendo al centro della narrazione il lutto per T’Challa (e con esso per Chadwick Boseman) e la guerra tra il Wakanda ed il nuovo villain Namor che finisce ben presto, grazie alla sua ottima caratterizzazione, a rubare la scena a quelli che dovrebbero essere i veri protagonisti, ancora troppo ancorati allo status di personaggi secondari. Non bastano quindi l’ottima regia di Ryan Coogler e il ben gestito binomio CGI-effetti pratici a salvare il film dalle criticità narrative e dalla mancanza di un vero e proprio Black Panther.

Un film che non è brutto ma che poteva essere di certo migliore, che verrà apprezzato da alcuni e detestato da altri, ma che con molte probabilità verrà da tutti dimenticato nel giro di un paio di settimane. Un film che conclude in maniera atipica una fase altrettanto peculiare, lasciandoci in attesa di quella successiva con la speranza che le acque si siano finalmente calmate e che la stabilità tra quantità e qualità sia stata ritrovata.

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Mattia Bianconi, Redattore