Andrea Segre ci porta nell’Italia degli anni Settanta con un documentario che ha sí al centro la figura di Enrico Berlinguer, interpretato da un ottimo Elio Germano, ma che raffigura anche e soprattutto un’immagine di insieme dell’Italia di quegli anni. Il film, infatti, segue la vita personale e politica del segretario del PCI dal 1973 al 1978. Inizia con l’attentato in Bulgaria e il viaggio a Mosca, eventi che sancirono l’allontanamento del partito dal blocco sovietico, per poi ripercorrere la parabola del partito dal successo del referendum sull’aborto al governo con la Democrazia Cristiana, fino al ritrovamento del corpo di Aldo Moro.
L’approccio è quasi interamente documentaristico, in alcuni momenti anche didattico, per esempio quando ascoltiamo Berlinguer spiegare il principio di uguaglianza ai figli piccoli. Non mancano tuttavia scene di un certo impatto, dovute sia alla già citata bravura di Germano e del resto del cast (ricordiamo tra gli altri Elena Radonichic, Roberto Citran e Andrea Pennacchi) sia alla cura per i dettagli, dalla fotografia all’esecuzione de L’internazionale cantata in russo nella scena del comizio in URSS. I numerosi materiali di archivio sono perfettamente integrati nel girato moderno.
Una considerazione che viene da fare proprio per via del potenziale di questo film è che si sarebbe potuto approfondire il lato umano del protagonista. Risulta quasi assente, infatti, il lato introspettivo del racconto: seguiamo gli eventi da spettatori che incontrano la figura di Berlinguer solo appena più approfonditamente di come avrebbero potuto fare le persone intorno a lui nel partito. Al centro c’è sempre il discorso politico, persino dentro casa sua dove si trova spesso interrogato dai figli adolescenti: il suo pensiero umano, sia per quanto riguarda il rapporto con loro sia con la moglie è appena accennato, per quanto nei momenti in cui emerge sia trattato con la stessa cura di tutto il resto.
Da una parte questo non deve essere necessariamente un difetto, per due motivi. Il primo è che un film così incentrato sulla parola, sul dibattito e sul valore del discorso pubblico (vediamo spesso Berlinguer che incontra gli operai e i membri del partito per strada e risponde alle loro domande, per poi passare altrettanto tempo nei salotti a rispondere alle domande di compagni e oppositori) è perfettamente coerente con il personaggio storico che vuole raccontare. In secondo luogo, se l’intenzione era produrre un documentario e non un drama, il risultato è indiscutibilmente ben fatto e piacevole da guardare. Dall’altra questo approccio penalizza il ritmo del racconto e il tono, che si percepisce monocorde per la maggior parte del tempo e quindi rende faticoso mantenere l’attenzione per chi conosce già gli eventi trattati. Non essere estremamente celebrativi è sicuramente un bene, ma il troppo equilibrio dei contenuti in questo caso sembra aver in parte soffocato la parte creativa dell’opera.
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