L’attesa è finalmente finita.
Dopo quattro anni dal primo annuncio e dalla rivelazione dei nomi di regista e attori principali, una campagna pubblicitaria dai toni rosa che ha imperversato soprattutto sui social e la nascita della scherzosa “rivalità” con Oppenheimer di Nolan, col quale è uscito in contemporanea (almeno negli States), Barbie è finalmente sbarcato nelle sale di gran parte del mondo e a pochi giorni dalla sua uscita sta già infrangendo record: in Italia è stato infatti il miglior debutto dell’anno.
Diretto da Greta Gerwig (Lady Bird, Piccole donne) e co-sceneggiato da Noah Baumbach (Storia di un matrimonio, Rumore bianco), il film ha per protagonisti Margot Robbie e Ryan Gosling nelle parti delle due iconiche bambole di casa Mattel, Barbie e Ken. I due personaggi vivono in un luogo distaccato dal Mondo Reale, chiamato “Barbie Land”, (falsa) utopia in cui abitano tutte le Barbie e i Ken prodotti nel corso dei decenni. Tuttavia, la pace della protagonista viene interrotta quando comincia a sperimentare strani mutamenti nella sua routine. La protagonista, accompagnata dal “suo” Ken, si recherà nel Mondo Reale per scoprire cosa non va, causando inavvertitamente un conflitto a Barbie Land.
Also sprach Greta Gerwig: citazionismo ed ironia
Basterebbe la prima scena di Barbie, resa già nota in uno dei teaser, per cogliere la direzione di questa operazione solo apparentemente commerciale: una ricreazione estremamente fedele ma parodistica di alcune scene nella prima parte di 2001: Odissea nello spazio. L’apparizione di una Barbie gigante, come il monolito del film di Kubrick, e la distruzione di un vecchio bambolotto, rappresentano ironicamente l’evoluzione del genere umano verso una nuova era dell’intrattenimento per bambine.
Un’evoluzione che è in verità solo apparente. Nelle intenzioni della sua creatrice, Ruth Handler, Barbie doveva essere un giocattolo alquanto rivoluzionario, che mostrasse alle bambine, in un’epoca in cui ancora ciò non era la norma, come potessero fare qualsiasi lavoro volessero ed essere economicamente indipendenti. Purtuttavia, l’esistenza di Barbie non ha certamente annullato tutte le differenze di genere che ancora imperversano nel Mondo Reale, come ci ricorda immediatamente la narratrice (in originale Helen Mirren).
Già da questo incipit possiamo farci un’idea di quello che sarà il tono dell’intero film. Il citazionismo permea tutta Barbie Land, ricca non solo di camei di personaggi famosi (Dua Lipa e John Cena per fare degli esempi), ma soprattutto di omaggi a prodotti Mattel, compresi quelli la cui produzione è stata interrotta.
Ugualmente importante è anche il debito dichiarato della regista ad una certa produzione musical (Gerwig ha citato tra gli altri Un americano a Parigi e Les Parapluies de Cherbourg), caratterizzata da set design e soluzioni grafiche alquanto “plastiche” e visibilmente artificiali, oltre che tonalità sgargianti e colori intensi. È attraverso questi stratagemmi e l’utilizzo prevalente di effetti pratici che Barbie riesce a ricreare nella realtà la “consistenza” dei giocattoli a cui fa riferimento.
Il diavolo, come nel caso della scena iniziale, è nei dettagli riservati non solo alla ricostruzione di Barbie Land ma anche alle meccaniche di gioco: nello stendersi a terra, Barbie si mette prima a sedere e poi caracolla col busto per terra; nei bicchieri non ci sono bevande; la protagonista non ha bisogno di scendere dal tetto della propria casa alla macchina, ma semplicemente vi “vola” dentro perché è così che le bambole vengono spostate da un punto all’altro.
L’assurdità di queste situazioni viene trattata con un’abbondante dose di scanzonata ironia, sconfinante in alcuni casi nel meta cinematografico. Questa ironia proviene non solo dall’irrazionalità di tali circostanze una volta trasferite nel mondo reale, ma anche dalle incongruenze logiche che si producono (se le Barbie vivono nelle Case dei Sogni, dove vivono i Ken?). L’esasperazione dell’assurdo, col supporto delle performance di tutti gli attori (Robbie e Gosling su tutti) e le soluzioni visive di cui sopra, fanno sconfinare più e più volte il film nel camp.
Se Barbie risplende nelle sezioni ambientate a Barbie Land per cura dei dettagli (scenografie e costumi in particolare) e assurdità dei personaggi, quelle dedicate al Mondo Reale, specialmente ai personaggi di Gloria (America Ferrera) e Sasha (Ariana Greenblatt), pur dotate di una loro evidente funzione logica nella loro esistenza e costruzione, risultano forse le più spente e meno interessanti, proprio per l’attenuazione di tali elementi. Ciò va ad influire anche sulla risoluzione finale del film, che pur essendo dotata di grande significato risulta più inaspettata per lo sviluppo della protagonista di quanto probabilmente fosse voluto.
“Lei può essere tutto ciò che vuole. Lui è solo Ken”
L’esagerazione macchiettistica lascia spazio, o diventa canale privilegiato, per affrontare anche questioni legate al femminismo.
Barbie “riabilita” la fama della bambola, troppo spesso incompresa: lungi dall’essere una bionda svampita solo interessata allo shopping, (le) Barbie sono personaggi femminili che ricoprono, all’interno della gerarchia di Barbie Land, tutti i ruoli di prestigio solitamente assegnati agli uomini, creando tra loro un rapporto di supporto reciproco e sisterhood che gli è sufficiente. Ciò non gli impedisce di essere definite anche dal loro aspetto fisico e dalla loro bellezza, oltre che da un’estetica pink che col tempo è stata sempre più demonizzata (si pensi a villain dei primi anni 2000 come Regina George o Sharpay Evans), e di non essere mal giudicate o sminuite per questo. Allo stesso tempo, non vengono ignorate le critiche che nel corso dei decenni la bambola si è vista rivolgere (come ad esempio il fatto che sia un modello fisico inarrivabile), snocciolate da Sasha.
D’altronde, il gioco inscenato da Greta Gerwig vive proprio riconoscendo le proprie contraddizioni interne: la Mattel, pur producendo prodotti rivolti alle bambine, è interamente gestita da uomini.
Ugualmente interessante è il rovescio della medaglia, ovvero il trattamento rivolto ai Ken. Se le Barbie sono idealmente la classe dirigente di Barbie Land, i Ken rappresentano secondo Gerwig la “underclass”. Abituato ad essere dipendente dalla propria fidanzata (sorta di Adamo al contrario, è stato Ken a nascere da una “costola” di Barbie) e dalle attenzioni che gli rivolge, il Ken di Ryan Gosling è più suscettibile alle attenzioni rivolte agli uomini nel Mondo Reale. Il grande pregio della scrittura, accompagnata da una interpretazione esilarante di Gosling (la migliore del film), è quello di rendere chiaro quanto l’atteggiamento di Ken sia errato, ma anche comprensibili le sue motivazioni e le radici sociali della sua insicurezza. Anche in questo caso si evita la demonizzazione, preferendo aprire al dialogo tra i generi per trovare una soluzione che esalti e valorizzi il singolo.
Certo, il film dirige il discorso verso una certa direzione, in maniera affatto sottile, e anzi, a tratti con un didascalismo forse eccessivo che potrebbe essere attribuito alla natura del gioco o all’alto livello di autoconsapevolezza che permea sia il prodotto cinematografico sia tutti i personaggi (basti pensare alla canzone iniziale). Ciononostante, Barbie apre alle ambiguità e al dialogo attorno a questioni topiche ed oggi più discusse che mai.
Conclusioni
Che film nati apparentemente con l’intento di vendere prodotti potessero in realtà essere utilizzati per esplorare questioni più spinose ce l’aveva già dimostrato quasi dieci anni fa The Lego Movie. Barbie, che ha con questo dei tratti in comune (oltre alla trattazione di argomenti più ampi, in entrambi sono fondamentali l’elemento meta e la cura alla ricostruzione del mondo del prodotto pubblicizzato), è la mera conferma che, se affidate a registi dotati di una visione e di un’idea originale, oltre che di un bagaglio di conoscenze del mezzo, anche le idee più apparentemente banali possono dar vita a film tecnicamente brillanti e, pur non perfetti, stimolanti.
In un momento in cui gran parte di Hollywood sta combattendo per l’equa compensazione e per evitare di soggiogare alle intelligenze artificiali, un film del genere, capace di attirare tanta attenzione e presenza nelle sale e dimostrare così l’indispensabilità dell’apporto umano e artistico, è più che importante: è fondamentale.
Che poi sia un film dedicato ad un prodotto iper capitalistico come può essere la bambola di casa Mattel a riuscire nell’intento, è solo l’ennesima contraddizione che Barbie (il film e la bambola) porta con sé.
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