Prosegue il concorso veneziano con Babygirl di Halina Rejn. La regista olandese, divenuta nota ai più grazie al precedente Bodies Bodies Bodies, porta al lido un film sul desiderio e sulla scoperta dei piaceri carnali in cui Nicole Kidman interpreta Romy, amministratrice delegata di un’importante impresa nel settore della robotica. Sposata e con due figlie adolescenti, Romy è una donna di successo a cui sembra non mancare nulla, tranne, come mostrato nella suggestiva sequenza di apertura, un reale appagamento sessuale. Il film si apre infatti nel mezzo di un rapporto con il marito, interpretato da Antonio Banderas, dove la donna simula un orgasmo per poi spostarsi segretamente nella stanza accanto per masturbarsi guardando del porno amatoriale.

In una routine mai realmente noiosa, ma vissuta con passività poiché totalmente automatizzata e digitalizzata, la quotidianità di Romy viene turbata dall’incontro con Samuel, un Harris Dickinson perfettamente in parte, un giovane stagista che, casualmente, riesce a evitare che un cane rabbioso aggredisca la donna. Reijn non perde tempo e definisce con passo spedito e preciso i temi cardine dell’intero film, repressione del desiderio sessuale, controllo e dinamiche di potere. 

Come il precedente lungometraggio, Babygirl è prodotto da A24, casa di distribuzione che da indipendente è diventata estremamente popolare e rilevante nell’industria riuscendo a tenersi stretta una nicchia cinefila in virtù della propria capacità di mantenere una forte componente arthouse anche nei prodotti tendenti al mainstream. Questa fedeltà si è fatta sentire anche alla proiezione in Palabiennale, dove è bastata la sola apparizione del logo della casa di produzione per far si che qualche spettatore abbia espresso la propria fiducia con applausi e grida. 

Il film della Reijn è complesso e ambizioso e, pur mantenendo fede ai temi principali, non assume mai una forma omogenea, continuando a sperimentare per conoscere i propri limiti con continui cambi di tono, muovendosi tra elementi romantici, drammatici e comico-grotteschi. Allo stesso modo il personaggio di Romy è alla ricerca della propria forma, e lo fa tramite l’esplorazione del proprio corpo, tentando prima di preservarlo tramite botulino e acido ialuronico, e successivamente abbandonandosi ai propri desideri.

Sono diversi i rimandi che il film potrebbe evocare nello spettatore, da Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick, che affrontava la crisi di una coppia generata da una profonda frustrazione sessuale, passando per Belle de jour di Luis Buñuel, in cui il personaggio di Catherine Deneuve tramite esperienze sessuali non convenzionali cerca di destarsi dalla monotonia della vita borghese, fino ad arrivare a Teorema di Pasolini, per il personaggio di un ospite/intruso che scombina gli equilibri familiari di una borghesia in pieno stato di crisi ma ancora non riconosciuto. Babygirl non aspira a entrare in competizione con questi capolavori, ma si inserisce in un discorso in piena continuità con essi. 

Pur non convincendo pienamente, il film è appagante e coinvolgente, cattura lo spettatore e lo porta a riflettere su dinamiche talmente poco raccontate da risultare genuinamente interessanti ma anche inevitabilmente scomode, generando nel pubblico reazioni contrastanti tra sincero coinvolgimento emotivo e risolini di scherno. Sembra però essere non tanto un problema del film quanto piuttosto un generale disorientamento del pubblico nell’approcciarsi a determinate dinamiche. Lontano dalle provocazioni scioccanti del Nymphomaniac di Lars von Trier, il film della Reijn è più vitale, sereno e stimolante, e forse è proprio questo che crea le maggiori difficoltà quando si tenta di decifrarlo, la vera novità che porta il film è l’approccio meno punitivo, con momenti ironici decisamente più efficaci nel momento in cui il fine ultimo è quello di normalizzare l’esistenza di questo tipo di relazioni.

Le difficoltà di Romy, e forse per una parte del pubblico, sono proprio causate dalla convinzione che ciò che essa desidera sia anormale o immorale, talmente fuori dalle convenzioni che non può essere vissuta se non come qualcosa di ridicolo. Non si tratta di farne una questione di spettatori più o meno formati e maturi, ma di riconoscere che il film offre qualcosa in più a chi decide di assecondarlo, cercando di non razionalizzare ad ogni costo e mettendo da parte la propria interpretazione personale nel campo delle perversioni. 

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Riccardo Fincato,
Redattore.