Siamo nel deserto, in un luogo distante da noi nello spazio e nel tempo. Asteroid City è una piccola cittadina per scienziati e giovani prodigi, simile a una sorta di Area 51, o magari anche alla Los Alamos di Robert Oppenheimer. È questo il panorama descritto nel nuovo film di Wes Anderson, presentato a Cannes quest’anno e uscito nelle sale italiane il 28 settembre. La sua nuova opera ha da subito polarizzato gli spettatori, dividendo il pubblico tra chi lo attendeva con ansia e chi, partendo prevenuto, temeva di rivedere sempre lo stesso copione riproposto sul grande schermo. Al festival il film aveva ricevuto infatti non poche critiche, accusato proprio di superficialità e mancanza di contenuti, mera espressione del gusto estetico del regista nella costruzione delle inquadrature (giudizio forse più adatto al suo The French Dispatch del 2021 piuttosto che a quest’ultima opera). 

La pièce teatrale e il non-senso

Ad Asteroid City si tiene un concorso, il Junior Stargazer, occasione per la quale giungono molti ragazzi accompagnati dai loro genitori. Ritroviamo una pluralità di personaggi che compongono il peculiare quadro della cittadina, tra cui il fotografo di guerra Augie Steenback (Jason Schwartzman), arrivato con suo figlio Woodrow e le sue bambine; l’attrice Midge Campbell (Scarlett Johansson), anche lei mamma di una piccola scienziata; l’insegnante June Douglas (Maya Hawke), il suocero di Steenback Stanley Zak (Tom Hanks), la scienziata Hickenlooper (Tilda Swinton), il direttore di un albergo di cui non conosciamo il nome (Steve Carell) e molti altri. 

Situazioni vaghe e disparate si susseguono, come le vicende di Steenback con i vari membri della sua famiglia nella fatidica condizione di accettare il lutto di sua moglie. L’incontro di Steenback con Midge Campbell, caratterizzato da un’attrazione reciproca tra i due. I momenti in cui i ragazzi partecipanti al concorso stringono amicizia e infine lo sbarco di un alieno che lascia i cittadini interdetti. C’è un dettaglio in più: la storia di Asteroid City non esiste davvero nell’universo diegetico del regista, bensì è una pièce teatrale di cui conosciamo gli interpreti, consci dei propri ruoli e talvolta perplessi dal senso del copione, il drammaturgo (Edward Norton) il regista e altri membri del cast (Adrien Brody e Willem Dafoe). Ci viene mostrato perfino il dietro le quinte del teatro, mentre il nostro narratore (Bryan Cranston) cerca di chiarificarci la storia proposta. 

Il significato non va cercato

È lecito esprimere dubbi in merito a un film che sembra voler apparire inutilmente complesso, con un dramma il cui significato non è chiaro nemmeno ai suoi protagonisti e una costante sovrapposizione di piani narrativi. Ma forse addentrarsi in contorte interpretazioni è una via sbagliata di cogliere quello che il regista cerca di esprimere in Asteroid City. In fondo sono i suoi stessi personaggi, dietro le quinte, che ammettono che un senso non c’è e non serve trovarlo, ma basta andare avanti. Un invito forse a non focalizzarsi sulla razionalità in un mondo (quello creato da Wes Anderson) che dimostra coerenza solo nell’impostazione visiva, ma presenta poi situazioni surreali, personaggi inverosimili ai cui assurdi problemi abbiamo libero accesso. Andando inoltre al di là delle apparenze, oltre la facciata dei sempiterni criteri estetici del regista, è possibile cogliere un distacco dai film precedenti, in una direzione lievemente più cupa.

Allo stesso modo del film precedente, i personaggi sono piatti, e la loro compostezza non sembra celare profondi contrasti interiori espressi con sarcasmo, o almeno non quanto accadeva nelle sue prime opere. Anzi, con Asteroid City abbiamo il disvelamento esplicito di questa superficialità, l’ammissione che l’universo narrativo non esiste davvero ma è finzione. I personaggi della pièce sono tutti estremamente caratteristici ma generici, quasi come le Maschere della Commedia dell’Arte: ugualmente, non vanno troppo in profondità e restano sul vago a livello di caratterizzazione.

Wes Anderson e l’arte

La risonanza avuta dal film anche fuori dalle sale cinematografiche è sicuramente degna di nota. Da subito infatti si sono diffuse le bellissime inquadrature che ritraevano il cast d’eccezione del film, composto quasi interamente da attori affermati e amati dal pubblico e dalla critica (e fedeli colleghi di Wes Anderson). La scena in particolare in cui Scarlett Johansson si trova nella vasca da bagno e ricrea la composizione del quadro La morte di Marat (Jacques-Louis David) è sicuramente uno dei fotogrammi divenuti più celebri del film. Questo legame tra le arti nel lavoro di Wes Anderson viene sancito anche dall’attività sporadica di curatore di mostre del regista, e in questo specifico caso il film è protagonista di un’esposizione temporanea alla Fondazione Prada di Milano dal 23 settembre 2023 al 7 gennaio 2024, dal titolo Wes Anderson – Asteroid City: Exhibition.

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Gaia Fanelli,
Redattrice.