Nel panorama artistico contemporaneo sono pochissimi i registi in grado di fondere perfettamente il Cinema con la narrazione teatrale. Uno di questi è senza dubbio Kenneth Branagh, il quale ha fatto del riarrangiamento della grande tragedia – soprattutto shakespeariana – una cifra stilistica unica e riconoscibile. 

Oltre ai famosissimi adattamenti diretti, come ad esempio Enrico V (1989) o Hamlet (1996), l’importanza dell’approccio teatrale all’interno dell’opera dell’attore-regista nord-irlandese è innegabile e centrale anche in film non tratti da pièces: basti pensare al complesso rapporto Padre-Figlio presente in Thor (2011), oppure ai personaggi da lui stesso interpretati, come il detective Hercule Poirot in Assassinio sull’Orient Express (2017). 

Tornato nei panni dell’investigatore nato dal genio di Agatha Christie, Kenneth Branagh presenta qui una nuova trasposizione cinematografica di Poirot sul Nilo (1937), portando tutta la sua impronta stilistica marcatamente teatrale, sia nella forma, che nella sostanza

La storia, infatti, racconta di una compagnia che si ritrova riunita su un battello per festeggiare le nozze di Mr. e Mrs. Doyle, due giovani innamorati sposatisi dopo una brevissima conoscenza. Il loro viaggio di nozze, però, sarà stravolto da un caso di omicidio avvenuto a bordo, un mistero su cui il detective più acuto del mondo, il grande Hercule Poirot, dovrà indagare.

Ciò che colpisce in positivo è, sicuramente, la messa in scena di Branagh, il quale riesce a sfruttare in maniera efficace la location principale della storia – ovvero il Karnak, la grande nave che solca le acque placide del Nilo – per creare un ambiente claustrofobico e minaccioso: la macchina da presa del regista spinge lo spettatore in ogni angolo, in ogni fessura, in ogni corridoio dell’imbarcazione, la quale diventa a tutti gli effetti un personaggio centrale del racconto, capace di nascondere nell’ombra pericolosi segreti, in un dedalo di stanze, cabine e ponti. 

La cura scenografica degli interni, in questo senso, è ineccepibile e, grazie ad una spiccata raffinatezza geometrica degli ambienti, rende tutte le sequenze a bordo del Karnak la porzione sicuramente più riuscita del film, al contrario dei numerosi paesaggi esterni ricreati in digitale che, purtroppo, peccano di verosimiglianza, risultando poco credibili e soprattutto fastidiosamente innaturali e plastici. 

Per quanto riguarda la regia di Branagh, essa è nel complesso buona e ispirata, mai ingombrante e capace di regalare più di qualche guizzo interessante, su tutti il meraviglioso prologo bellico in bianco e nero – chicca totalmente inaspettata – oltre a diverse scene di interrogatori sempre diverse e sempre gestite in maniera intelligente. Su un buon livello, soprattutto per le scene in notturna, anche la fotografia di Haris Zambarloukos, la quale si fa progressivamente più cupa man mano che il racconto procede e aumenta la tensione, con elementi che spiccano come le torce rosse o le buie stanze in cui Poirot cerca le risposte per risolvere il delitto. 

Se da un lato, quindi, lo spettatore si trova di fronte a un comparto tecnico sicuramente interessante e convincente – fatta eccezione per la terrbile CGI di cui sopra – va riconosciuto necessariamente al film qualche problema in fase di scrittura e di casting, i quali presentano alcuni ottimi spunti, ma altrettanti elementi più deboli. 

Per quanto riguarda la sceneggiatura – chiaramente bipartita tra prima e dopo – la pellicola dedica, come da tradizione del genere giallo, molto tempo alla caratterizzazione dei personaggi, alla presentazione dei rapporti tra di essi e alla scoperta delle ambiguità di ognuno per alimentare il dubbio sull’identità dell’assassino. Nonostante questa prima metà debba essere necessariamente corposa, la sensazione è che sia comunque troppo diluita e poco incisiva, con dialoghi a volte fuori luogo o semplicistici, al contrario della seconda che si rivela essere ben gestita nei tempi, con i colpi di scena giusti nei momenti giusti e con un sapiente utilizzo della tensione cinematografica, oltre che ad un’ottima costruzione dell’intrigo e dell’enigma

Altro elemento bipolare del film è il cast, il quale ha un impianto necessariamente corale – si torna qui nuovamente al teatro – e che quindi, per definizione, non favorisce la prova del singolo, quanto più il corpo attoriale nella sua totalità. Nonostante ciò, le interpretazioni di un Armi Hammer in grande spolvero, di una giovane Emma McKay in rampa di lancio dopo il successo di Sex Education e di un Tom Bateman ormai rodato nella collaborazione con il regista, risultano di gran lunga le più convincenti tra i comprimari, tra i quali sfigura in modo particolare Gal Gadot, che delude in un ruolo chiave del film con una prova abbastanza piatta e anonima.

Discorso a parte, ovviamente, per il protagonista, il grande mattatore della pellicola, ovvero Branagh stesso nei panni di un personaggio che ormai ha fatto suo e in cui si sente a proprio agio, riuscendo in questo Assassinio sul Nilo a mostrare anche il lato più umano dell’inflessibile detective con un’interpretazione fatta di intensità emotiva, ma anche di humor e savoir faire

Pregi e difetti, dunque, di un film che intende mettere in scena una storia d’amore tragica nel senso letterale del termine, ovvero da tragedia: il sentimento amoroso in questa pellicola è totalizzante e distruttivo, è un istinto che uccide e che fa uccidere, è il fine ultimo per il quale tutti i personaggi si muovono e compiono le peggiori azioni, dall’uccidere al rubare, dal tradire fino all’ingannare. 

In questo senso i protagonisti del racconto sono a tutti gli effetti scritti come fossero caratteri classici del teatro shakespeariano (con le dovute proporzioni, ovviamente), colpiti da un destino avverso o forse veri fautori della propria rovina, caduti un momento prima della grandezza. 

In conclusione questo Assassinio sul Nilo si rivela un film d’intrattenimento interessante in primis per un impianto tecnico-registico capace di colpire lo spettatore anche meno abituato al mezzo, oltre che per una trama sapientemente intricata che affascina e appassiona. Un prodotto, dunque, godibilissimo nonostante manchi di profondità concettuale, ma che ricorda ancora una volta a tutti l’obiettivo principe del cinema  (e della letteratura): intrattenere un pubblico narrando una storia. 

Lo sapeva bene Agatha Christie, eccome se lo sapeva….

Questo articolo è stato scritto da:

Alessandro Catana, Caporedattore