Presentato fuori concorso durante la 75esima edizione del Festival di Cannes e vincitore di 9 Premi Goya (i David di Donatello spagnoli), il sesto film del grande regista spagnolo Rodrigo Sorogoyen arriva finalmente anche in Italia, distribuito da Lucky Red. Sorogoyen, che vanta anche una candidatura all’oscar per il miglior cortometraggio con Madre, opera da lui stesso ampliata con l’omonimo lungometraggio uscito due anni più tardi, torna al cinema con una storia di tensione e violenza sociale all’interno di un piccolo borgo galiziano, scritta a quattro mani insieme alla storica collaboratrice Isabel Peña.
Il film si apre con il soggiogamento di un cavallo da parte di due aloitadores, ovvero dei domatori di cavalli, figure famose nella Rapa das Bestas. Questa tradizione fortemente sentita in Galizia consiste nel cercare di bloccare a mani nude dei cavalli con l’obiettivo di fermare e isolare ogni soggetto per rasargli la criniera. Un’operazione con cui gli uomini stringono in una morsa il muso dell’animale, creando una composizione tra braccia e testa del cavallo che sembra quasi un abbraccio. Dopo questa sequenza la narrazione si sposta nel bar del borgo in cui avrà luogo l’intera pellicola, uno scenario che risulta essere un vero protagonista insieme agli altri personaggi. Qui un gruppo di spagnoli, capitanati da Xan, interpretato da un inquietante e bravissimo Luis Zahera, è occupato a giocare e a discutere sulla propria vita, mettendo in mostra le paranoie della piccola comunità riguardo al mondo che li circonda. Una comunità disastrata, apparentemente senza futuro, costituita da case fatiscenti e da una povertà economica dilagante. Di spalle si staglia una figura silenziosa, un francese di nome Antoine, uno dei protagonisti del film, interpretato da Denis Ménochet, attore di caratura internazionale che a breve vedremo anche nel nuovo film di Ari Aster Beau is afraid.
Lo scontro che si sviluppa tra Xan e Antoine è il nucleo principale di buona parte della pellicola, messo in scena con un crescendo di grande tensione. Sebbene il soggetto dell’opera, ovvero il tentativo di un francese non visto di buon occhio di costruire un progetto di vita in una comunità straniera, non può che ricordare il grandissimo film nostrano Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti, scritto a quattro mani insieme all’amico sceneggiatore Fredo Valla, la pellicola di Sorogoyen prende una direzione completamente diversa. Il film è un connubio tra thriller e dramma famigliare, raccontato dal punto di vista di Antoine e sua moglie Olga, interpretata da Marina Foïs. Lui, ex professore e viaggiatore, porta avanti l’idea di una natura pura, incontaminata, un luogo dove poter assaporare l’idea di una slow life, lontana dalla caoticità della città. Il borgo è un luogo in cui poter coltivare un orto biologico, lento, non intensivo, una bandiera ecologista contro l’industria.
Per quanto venga spesso chiamato con l’appellativo di “francesino” da Xan, lo scontro con i compaesani nasce principalmente da una divergenza di visioni sul futuro, in quanto Antoine si oppone all’installazione di pale eoliche che dal suo punto di vista andrebbero a deturpare l’ambiente circostante, ma che tuttavia porterebbero grande giovamento economico alla gente del posto.
La sua battaglia contro questi i mulini a vento, e il fatto che siano proprio le pale eoliche il motivo della discordia nel paese di Cervantes non può essere casuale, vengono visti da Xan e suo fratello minore Lorenzo come l’imposizione di un borghese, un conquistatore francese di napoleonica memoria, che impedisce loro un riscatto sociale. Le ragioni della coppia di fratelli vengono espresse con dialoghi di grande raffinatezza, nonostante siano due personaggi dai modi spesso infantili, in particolare la figura di Lorenzo, affetto anche da un lieve ritardo dovuto a un incidente con un cavallo accaduto tempo prima. Entrambi hanno vissuto un’esistenza infelice, senza scopo, in una realtà priva di futuro, repressi sessualmente in un luogo quasi privo di donne e pronti a scoppiare in atti di violenza da un momento all’altro. Due veri e propri aloitadores pronti a sopraffare Antoine, tra imboscate notturne, apparizioni spettrali nei boschi e minacce, riprese dalla telecamera di Antoine che sottolinea l’importanza dell’immagine, della testimonianza, soprattutto nel clima di omertà condiviso dalla polizia locale.
Sorogoyen con questo film coniuga lo stile thriller tipico delle sue prime opere, mantenendo in maniera trattenuta alcuni virtuosismi che hanno reso celebri film come Che Dio ci perdoni, Il regno (entrambi disponibili su Prime Video) e la serie Antidisturbios (disponibile su Disney+), con quello del dramma intimo sviluppato nello splendido e sovversivo Madre, trasformando la onnipresente tensione in una vicenda famigliare, realizzata con atmosfere sospese, case distrutte, sogni infranti. La forza di As Bestas sta nel mettere in scena l’idea di un’umanità capace di adattarsi alla brutalità animalesca mostrata nella prima metà del film. Una brutalità primordiale insita nel luogo, che risulta essere sovversiva proprio perché accettata. Un adattamento che vivono le figure femminili del film, con un processo che sfugge alla razionalità, perché “per comprendere qualcosa forse è necessario viverlo”. Un microcosmo brutale, senza dio e senza speranza, in cui l’uomo scopre tuttavia di potersi ambientare e con cui è in grado di convivere. Sfruttando un comparto attoriale in grande spolvero, il cinema di Rodrigo Sorogoyen cambia nuovamente forma, regalandoci l’ennesima grande opera da parte del regista spagnolo.
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