«“Nostalgia” significa letteralmente il dolore proveniente da una vecchia ferita. È uno struggimento del cuore di gran lunga più potente della memoria. Questo aggeggio non è una nave spaziale, è una macchina del tempo. Ti può portare avanti o indietro. Ci porta in un luogo dove moriamo dalla voglia di ritornare. Non si chiama “ruota”, si chiama “giostra”. Ci fa viaggiare nel modo in cui viaggiano i bambini. Gira e rigira, e poi torna a casa. Che è il posto dove sai di essere amato».
Era l’ultima puntata della prima stagione di Mad Men quella in cui Don Draper presentava la campagna pubblicitaria “Il Carosello”, realizzata per il nuovo proiettore di diapositive della Kodak ed incentrata sulla relazione tra nostalgia e memoria. Che la nostalgia sia più potente della memoria stessa sembra essere anche il nucleo centrale dell’ultimo film di Richard Linklater, sbarcato su Netflix il 1 Aprile.
Per dare vita a questo malinconico carosello di ricordi, il regista ricorre all’animazione, tornando alla tecnica del rotoscope digitale, già sperimentata e resa popolare in precedenza con Waking Life e A Scanner Darkly – Un oscuro scrutare. La caratteristica principale di questa tecnica è rappresentata dalla possibilità di restituire sequenze animate particolarmente realistiche, ricalcando immagini girate dal vivo.
Il film parte da una premessa inverosimile che riesce nell’intento di farci credere di stare assistendo ad una storia fantascientifica. Siamo nel 1969, a Houston, quando due ingegneri allontanano il giovane Stan dal cortile della sua scuola elementare per informarlo che la NASA ha commesso un errore: è stata costruita una navicella spaziale troppo piccola per un adulto e, quindi, è stato scelto lui per poter proseguire i test necessari alla riuscita della missione Apollo 11. A soli pochi minuti dall’inizio, quello che doveva essere il motore scatenante del film si rivela invece essere un espediente per introdurre una sentimentale e caleidoscopica disamina del anni ‘60, in particolare dell’esperienza unica di assistere ad un evento epocale come l’allunaggio, da una prospettiva privilegiata.
Apollo 10 ½ si inserisce coerentemente nel percorso di un autore che ha fatto dell’esplorazione della gioventù, già dagli esordi con Slacker, una delle sue cifre stilistiche, un percorso culminato poi nel 2014 con un’impresa mastodontica, durata dodici anni: Boyhood. A contraddistinguere questo suo ultimo lungometraggio è però l’impronta personale ed autobiografica che il regista sceglie di infondere al progetto.
Linklater infatti è cresciuto a Huston ed ha vissuto da vicino la febbricitante corsa allo spazio proprio in quell’età in cui la memoria si mescola ancora al sogno: “Ho capito che ero l’unica persona che poteva fare quel film. Penso di essere l’unico regista che ha vissuto vicino alla NASA. Per quanto riguarda i registi di Houston, Wes Anderson è nato in questo periodo ma penso di essere l’unico che ricorda quel momento”.
Ed è così che il voice over di uno Stan ormai cresciuto, doppiato da Jack Black -figlio a sua volta di due ingegneri aerospaziali- accompagna lo spettatore in una piacevole passeggiata lungo il viale dei ricordi che celebra il quotidiano anche nelle sue forme apparentemente più trascurabili.
La natura intorno a Houston negli anni ‘60 veniva conquistata e piegata alle nuove esigenze degli abitanti, dettate in gran parte dall’ingombrante presenza della NASA, le periferie della città venivano urbanizzate in tempi record e i complessi abitativi comparivano come funghi. Il nuovo stadio Astrodome dotato di erba sintetica era il simbolo perfetto di questa nuova era artificiale. Gli eventi che scuotevano la società americana dell’epoca come la guerra in Vietnam, le ondate di proteste nelle strade delle città e l’assassinio di Kennedy sembravano distanti o comunque reali solo quando apparivano sullo schermo del televisore. A distrarre la popolazione dagli inquietanti scenari fronteggiati dalla nazione era proprio la corsa allo spazio che, grazie alla sua aura di ottimismo e novità, abbagliava ragazzini impressionabili permettendo alle loro fantasie di prendere magicamente vita.
Non è mai stata, tuttavia, la narrazione dei grandi eventi ad affascinare Linklater, al contrario il suo sguardo è sempre stato rivolto verso il fluire della vita nei suoi aspetti più concreti e al tempo stesso sfuggenti. La memoria trova spazio per conservare ciò che è da considerarsi veramente importante, come le ricette preparate dalla madre, la ripartizione dei lavori domestici con i fratelli, gli show trasmessi in televisione, i giochi con i ragazzi del quartiere. I dettagli raccontati con più lucidità sono proprio quelli interni alle dinamiche della numerosa famiglia.
Il tutto è confezionato con immancabili riferimenti alla cultura pop di quegli anni, da 2001: Odissea nello spazio che riempiva i cinema consentendo speculazioni di ogni tipo riguardo il significato del finale -come vediamo in una scena divertente del film- ad una raccolta della musica del momento. Un mese dopo l’uscita di Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson, risulta difficile non accostare le due ricercate colonne sonore che inconsapevolmente creano un punto di incontro tra i due decenni, condividendo una traccia.
Apollo 10 ½ è uscito direttamente su piattaforma e, nonostante non vedrà mai la sala, riesce comunque nell’impresa di farci dimenticare dell’opzione pausa, complice anche un ottimo montaggio che ci trasporta velocemente da un’azione all’altra come se stessimo assistendo ad un energico video musicale. La storia è portata avanti senza una trama e se questo aspetto potrebbe infastidire chi si aspettava un racconto più tradizionale, si rivela essere la forza del film che perde slancio proprio quando cerca di tornare all’intreccio iniziale. Nel punto di incontro delle due missioni, quella reale e quella immaginata, diventa difficile capire a quale stiamo effettivamente assistendo. Se questo aspetto contribuisce a calare il tono in quello che dovrebbe essere l’apice del film dall’altra restituisce la prospettiva di Stan, per il quale una gita al parco divertimenti risulta alla fine essere più importante del primo, reale, passo sulla luna.
“Sai come funziona la memoria” dice la madre del giovane protagonista al padre che lo sta accompagnando a letto, mentre si domanda se il figlio sia riuscito ad assistere al primo passo dell’uomo sulla luna “anche se dormiva un giorno penserà di aver visto tutto”.
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