Presentata fuori concorso durante la 38esima edizione del Torino Film Festival e disponibile su Disney+, la serie Antidisturbios: Unità antisommossa di Rodrigo Sorogoyen, distribuita a livello internazionale come Riot Police, è caduta nel dimenticatoio degli immensi cataloghi delle piattaforme streaming a cui sono destinati molti prodotti di altissimo livello non valorizzati dall’algoritmo. Il regista spagnolo, di cui abbiamo recensito recentemente la sua nuova opera As Bestas, timbra con questa miniserie un piccolo gioiellino da scoprire.
I protagonisti della vicenda fanno parte di un’unità della polizia antisommossa di Madrid, coinvolta nell’uccisione di un ragazzo africano durante lo sgombero di un edificio avvenuto in maniera non regolamentare. Ad indagare su di loro ci sarà Laia Urquijo interpretata da una brava Vicky Luengo, un’agente degli affari interni ossessionata dalla faccenda e pronta a scavalcare i suoi superiori pur di raggiungere la verità. Partendo da incipit la sceneggiatura, scritta a quattro mani da Sorogoyen e dalla fidata collaboratrice Isabel Peña, ha l’abilità di trasformare un classico esempio di violenza della polizia in un racconto molto più stratificato, umano e capace di unire cinema d’azione a intrighi politici e a tematiche quali razzismo, corruzione della società e lotta di classe. L’inizio della prima puntata mette subito le cose in chiaro, mostrandoci la famiglia di Laia intenta a giocare a carte. Anche in un ambiente apparentemente gioioso e protetto, i sotterfugi e le menzogne sono onnipresenti e capaci di trasformare un’atmosfera pacifica in una situazione di grande tensione.
La forza principale dell’intera serie sta nella scrittura dei personaggi, tutti estremamente realistici e per questa ragione sgradevoli. Invece di cadere nel classico discorso di denuncia delle violenze perpetrate dalla polizia, l’unità antisommossa protagonista della vicenda è composta da una notevole varietà di personaggi che viene mostrata nella sua quotidianità. Si passa dunque da momenti in cui la loro furia, violenza e razzismo la fanno da padrone, con gesti efferati e totalmente ingiustificabili, ad altri di vita di tutti i giorni, in cui sono dei padri di famiglia che cercano un miglioramento economico, o cercano di costruire il futuro proprio e dei figli, o sono messi in scena in momenti di profonda depressione e di sindrome da stress post traumatico. L’uomo alpha, duro e coriaceo, viene lentamente decostruito e mostrato nelle sue insicurezze.
Una varietà di punti di vista, di luci ed ombre, che condivide anche la protagonista Laia, inizialmente dipinta come un’eroina, e che a più riprese mostra invece una totale mancanza di empatia verso chi la circonda. L’ossessione che vive per il raggiungimento della verità la porta a sfruttare lo stato di depressione delle persone per ottenere informazioni, e non si fa scrupoli a manipolare e tradire la fiducia di collaboratori e amici. Infatuata di uno dei poliziotti su cui sta indagando dal punto di vista puramente sessuale, non si fa problemi ad avere un rapporto sessuale con lui, “scopando” il corpo di polizia, ma tradendo di conseguenza il suo ragazzo. Questo realismo insistito porta ad un disorientamento e alla perdita di certezze da parte dello spettatore, che si ritrova a empatizzare con delle persone solo apparentemente buone. Personaggi che sono tuttavia pronti a ribaltare l’opinione e a distruggere ogni convinzione di chi osserva le loro gesta.
I protagonisti sono immersi nel marcio della società, comandata dagli interessi dell’economia capitalista e dei potenti, che non si preoccupano di sacrificare le fasce meno abbienti della popolazione e i poliziotti stessi, considerati come semplice manodopera del corpo di polizia e che nel grande disegno risultano privi di valore. Attraverso questo mondo marcio, omertoso e pieno di nepotismo, in cui sono i soldi a muovere i fili dietro alla realtà, Sorogoyen parla anche di manipolazione e falsificazione dell’opinione pubblica, della distruzione della vita personale a favore di quella lavorativa e della corruzione che prima o poi raggiunge anche chi crede nella vera giustizia, quest’ultimo aspetto sottolineato con l’utilizzo di ribaltamenti dell’inquadratura con cui vengono mostrati alcuni personaggi. Viene dato anche ampio spazio al ruolo della tecnologia, tra video salvati su cloud che risultano essere di fondamentale importanza per le indagini e il largo utilizzo dei social.
Da grande regista di scene d’azione e thriller qual è, Sorogoyen non rinuncia a sequenze spettacolari come la battaglia infernale fuori dallo stadio, girate con virtuosistici piani sequenza, questi adottati anche nei dialoghi di grande tensione, macchina a mano e un ritmo incalzante. Senza lasciare tempo allo spettatore di respirare, anche nei momenti di calma vengono adottati primi piani insistiti che risultano in scene soffocanti, grazie anche alla bravura degli attori.
Al termine di questo lungo viaggio nel marcio della Spagna e dopo aver imparato a comprendere e a empatizzare con personaggi respingenti, Sorogoyen ci ricorda come vincere una battaglia non permette necessariamente di vincere la guerra e che forse il prezzo da pagare è troppo alto, senza di fatto portare a un miglioramento. L’inquadratura finale su una nave da crociera probabilmente piena di migranti e pronta allo sgombero, non può che risultare un triste presagio di un’altra imminente tragedia che sta per compiersi.

Scrivi un commento