Che cos’è un cinecomic? Se lo si chiedesse a qualcuno tra la fine degli anni ’70 ed i primi anni ’80 risponderebbe sicuramente i film con protagonista il Superman di Christopher Reeve; se invece si avanzasse agli anni ’90 il protagonista assoluto sarebbe senz’altro il Batman interpretato da Michael Keaton e diretto da Tim Burton (o il Blade di Wesley Snipes a voler andare a ridosso con il nuovo millennio). 

Oggi vedere sul grande schermo un supereroe nato tra le pagine di un fumetto non è certo una grossa novità, in particolare dopo il grande successo del progetto di creare un universo condiviso nato in casa Marvel. Il sogno di vedere due supereroi in costume incontrarsi facendo breccia l’uno nella pellicola dell’altro oggi è pratica ormai comune. Importante risulta comunque sottolineare come il successo o meno di un particolare eroe o delle storie a lui dedicato gioca un ruolo centrale nei grandi piani pluridecennali ora in mano al colosso Disney, portando un eroe in apparenza centrale a riscontrare poco successo e ad essere perciò presto accantonato, mentre altri personaggi su cui si puntava originariamente poco diventano dei veri e propri emblemi del brand.

Nessuno prima del 2008 avrebbe pensato che un personaggio come Iron Man, arrogante, saccente, spregiudicato, sarebbe stato per anni l’emblema dei supereroi sul grande schermo ancora più di Spider-Man (tenendo qui conto della grande fama portata dalla trilogia di Raimi, ma anche del fallimento delle due pellicole dirette da Webb). In maniera simile in pochi si sarebbero aspettati un successo tale nel 2015 per Ant-Man, diretto da Peyton Reed ed incentrato su un personaggio capace di rimpicciolirsi e parlare con le formiche. Ben consci di ciò, il team di sceneggiatori (di cui fece parte anche un grande nome come Edgar Wright) decise di puntare su tonalità meno serie e più ironiche, rimarcate ulteriormente dalla scelta di Paul Rudd come protagonista, fino a quel momento considerato attore prettamente comico. Scelta che si rivelò vincente, soprattutto contestualizzata nella miscela di pellicole molto più dark e seriose ma al tempo stesso di minor successo (basti pensare al sottovalutato Iron Man 3 di Shane Black o al fallimentare Thor: The Dark World di Alan Taylor).

Diciotto film dopo – all’interno della cui lista vediamo il nostro eroe comparire prima nel terzo capitolo dedicato a Captain America, in seguito in un secondo film interamente dedicato a lui e al personaggio di Wasp dalla dubbia qualità, e successivamente nei due “big event” Infinity War ed Endgame – l’eroe formica si aggiudica un terzo capitolo, primo film della nuova Fase 5 e con il dichiarato compito di gettare le basi per la nuova grande minaccia del momento.

Una lunghissima introduzione necessaria per portarci ad una grande domanda: cosa significa fare un film di supereroi nel 2023?

Michelle Pfeiffer nei panni di Janet Van Dyne.

IN UNA GALASSIA LONTANA LONTANA

Ant-Man ha salvato il mondo, l’universo intero a dire il vero, assieme agli Avengers e tutti lo riconosco (o quasi) e scrive romanzi sulla sua vita da eroe. Ma è comunque prima di tutto un padre che, a causa del blip di Thanos, ha perso tutta l’infanzia della figlia Cassie ora adolescente ed impegnata nella scoperta di se stessa e nella ricerca del suo ruolo nel mondo. Nulla di troppo complicato o innovativo, ma una base comunque interessante su cui sviluppare un racconto di crescita e responsabilità. Tuttavia, dopo queste premesse, il film catapulta con un’eccessiva fretta i protagonisti all’interno del regno subatomico definito Regno Quantico, già introdotto nelle pellicole precedenti ma qui approfondito con l’intento di renderlo uno dei protagonisti del film. Operazione che non si può definire riuscita appieno.

Arrivati in questa terra indigena, i pericoli si materializzano nella figura di Kang il Conquistatore, misterioso tiranno proveniente dal futuro che sembra aver soggiogato tutto e tutti, nonché vecchia conoscenza di Janet Van Dyne. Sul villain il film vorrebbe mantenere nella prima parte del racconto un’aura di mistero, senza però contare sul fatto che l’intera campagna marketing fosse basata più sul villain che sull’eroe protagonista, creando così situazioni in cui i personaggi parlano inutilmente in maniera criptica sia a livello diegetico che extradiegetico.

La narrazione sostanzialmente si ferma qui, ad una terra soggiogata, popolata da malvagi aguzzini e da coraggiosi ribelli pronti a combattere e a sacrificarsi per la libertà. Non è stata qui scritta per errore la trama di Star Wars, semplicemente questo Quantumania sembra pescare per tutto il film a piene mani dalla galassia lontana lontana – curiosamente sempre di casa Disney– il che non si rivela essere necessariamente un male, essendo ormai le pellicole di George Lucas storia del cinema, ma facendo trasparire una mancanza di fantasia ed impegno alla base del progetto stesso.

Dal punto visivo la somiglianza viene ulteriormente rimarcata con fondali spaziali dalle colorazioni ultraterrene e scenografie che sembrano strizzare l’occhio a città come Coruscant o alla Morte Nera. Tutto ciò senza andare a scomodare l’uso di simil navicelle spaziali e di una fauna specifica delle varie zone. In questo la CGI utilizzata non aiuta, generando una dicotomia forzata tra attori in costume ed elementi di sfondo generati al computer, che manifesta nel personaggio di M.O.D.O.K. uno dei risultati più brutti mai visti con l’utilizzo di questa tecnica.

Jonathan Majors nella sua futuristica navicella

“UNO, NESSUNO, CENTOMILA” MA NEL MODO SBAGLIATO

Nulla di più lontano dal romanzo che per molti rappresenta il punto più alto della carriera letteraria di Pirandello è in realtà il Kang di Jonathan Majors. L’accostamento viene in realtà piuttosto naturale, esistendo il personaggio già nei fumetti come un villain la cui minaccia non deriva soltanto dalla sua forza e dai gadget futuristici quanto piuttosto dalla sua capacità di sfruttare il Multiverso e le sue varianti per combattere gli eroi dei fumetti e tornare quindi albo dopo albo senza preoccuparsi della sua dipartita in uno dei numeri precedenti – facilitando inoltre così di non poco il lavoro degli stessi sceneggiatori. Per molti versi si potrebbe affermare come ai vertici della Marvel questo film sia nato con lo scopo di raccontare Kang piuttosto che Ant-Man, tanto da vendere il film prima dell’uscita come l’inizio del suo malvagio arco narrativo.

Scott Lang da protagonista diventa quindi uno dei tanti personaggi positivi assieme alla figlia Cassie, alla moglie Hope ed ai suoceri Hank e Janet costretti a condividere lo schermo in maniera equa, non portando però nessuno di loro ad avere un vero arco narrativo o di evoluzione. Tutt, alla fine del film, sono esattamente gli stessi dell’inizio possedendo semplicemente qualche informazione in più sul Regno Quantico e su Kang.

Al tempo stesso, quasi in controsenso, anche lo stesso villain rimane però appena accennato, rilevando pochissime nuove informazioni allo spettatore che già aveva conosciuto una sua variante ben più loquace nell’episodio finale di Loki. L’interpretazione di Majors è inoltre eccessivamente caratterizzata da smorfie e battute recitate con un’enfasi che risulta macchiettistica, rendendo il personaggio molto meno spaventoso di quanto vorrebbe originariamente far trasparire. Kang è quindi in effetti come il titolo del racconto di Pirandello: uno, perché da solo combatte e soccombe contro gli eroi seguendo la narrazione tipica di questi prodotti; nessuno, perché le sue sorti sul finale hanno un impatto quasi nullo sull’economia diretta dei personaggi, senza generare alcun fascino sullo spettatore; e centomila, in quanto l’unico pericolo che genera è la certezza che tornerà sicuramente nelle pellicole successive con le sue numerose varianti, sperando in una caratterizzazione almeno un minimo più approfondita e curata e meno in overacting.

Ant-Man (Paul Rudd) e Cassie Lang (Kathryn Newton) appena arrivati nel Regno Quantico

CONCLUSIONI

Dopo una Fase 4 di sperimentazione accolta non nel migliore dei modi dagli spettatori, Ant-Man and the Wasp: Quantumania apre la Fase 5 in una maniera bizzarra: se da un lato il film risulta a grandi linee godibile, al tempo stesso si dimostra mediocre sotto tutti i punti di vista, sia in ambito narrativo che tecnico. Viene quindi da chiedersi se questo è l’unico futuro per i film dedicati ai supereroi: storie piatte, poco curate, in cui i personaggi non vanno incontro ad una vera e propria evoluzione ed in cui si punta semplicemente a mettere in scena una sequenza di combattimenti ed elementi generati in maniera mediocre al computer, creando un prodotto capace di far passare in spensieratezza un paio d’ore per poi uscire dalla sala – o alzarsi dal divano se si è visto il film su Disney+ –  dimenticandosi subito ciò che si è appena visto. E questo sarebbe senz’altro un peccato.

Questo articolo è stato scritto da:

Mattia Bianconi, Redattore