Il 7 novembre 2024 è uscito Anora nelle sale italiane. Già vincitore della Palma d’Oro a Cannes e acclamato dalla critica di tutto il mondo, si autoproclama da subito papabile vincitore dell’Oscar come Miglior Film. Andiamo subito a capire perché.

Dietro alla sceneggiatura, al montaggio e alla cinepresa c’è Sean Beaker (Tangerine, The Florida project e Red Rocket). Proprio per questa sua poliedricità nel mettere mano a tutti i dipartimenti principali dei suoi progetti, per comprendere Anora bisogna prima comprendere il genio di Baker. La carriera del regista nasce nel cinema indipendente, dove si dimostra fin da subito una delle principali spinte per il successo di case di produzione minori come A24 o Neon nell’ambito dei cosiddetti film “indie”, in forte sviluppo tra il 2015 e il 2020: indipendenti non solo nelle caratteristiche della produzione, ma anche in quelle stilistiche/artistiche. Comuni alla sua intera filmografia sono infatti ambientazioni del ceto basso americano, lavori solitamente considerati deplorevoli come la prostituzione e personaggi pieni di difetti, oltre che moralmente ambingui.

Anche Anora ha come protagonista una prostituta. Si fa chiamare “Ani” (Mikey Madison) e lavora le notti in un locale di Brooklyn a New York. Anche grazie al sorriso sempre stampato sul volto, una sera incontra Ivan (Mark Eydelshteyn), e tra i due scintilla una chimica più intima e confortevole di qualsiasi cliente con cui ha avuto a che fare. Ani sembra aver incontrato il principe azzurro: un adolescente immaturo, ma figlio di un oligarca russo; a Ivan non mancano i soldi, quindi ad Ani non manca la felicità. Una serie di incontri con la famiglia del ragazzo, però, faranno presto scoppiare la bolla e Ani sarà costretta ad affrontare una realtà piuttosto… turbolenta.

Quello che rende Anora il miglior film di Sean Baker nonché il film dell’anno per eccellenza è il sorprendente ribaltamento di genere che nessuno si aspetta. Il trasformismo del film passa inizialmente attraverso la commedia, prima di potersene rendere conto scivola nel romantico, poi nel film d’azione, ritorna alla commedia e si conclude nel dramma più spietato. Ma è proprio il lato comico che ci prende più alla sprovvista: è qualcosa di chapliniano, isterico a tratti, che ci porta a ridere di una tragedia dell’assurdo. Si genera così una scena, all’interno di una memorabile sequenza di quasi trenta minuti, che lascia esplodere tutto l’estro di Baker, dove la semplicità della scenografia e dei costumi (un soggiorno, una lampada, una sciarpa) assume un valore istantaneamente iconico

Punto di forza di Anora risiede infine nei personaggi, che contribuiscono a una visione di insieme spettacolare. C’è un momento in particolare in cui i quattro personaggi principali, in fuga dagli scagnozzi assunti dal padre di Ivan, camminano in fila indiana su un molo newyorkese. Stampano sulle nostre retine una cartolina che descrive la dissoluzione contemporanea dell’american dream. A metà tra The Breakfast Club di Hughes e Le Iene di Tarantino, ognuno di loro è un’anima in fuga intrappolata da un sistema americano che non gli appartiene. E noi spettatori ci rendiamo conto in quell’esatto momento di aver imparato a voler bene a ciascuno di loro. Si dissolvono i confini tra personaggi buoni e cattivi in quattro scambi di battute davanti a un panino, e Baker descrive così la sua visione di sogno americano: ad accomunarci sono gli ideali e il loro infrangersi, più di qualsiasi cosa desideriamo fingere di essere. “Ani” non è una prostituta, ma una persona che elemosina amore, per quanto si sforzi di farci credere il contrario per l’intera durata della pellicola. Cade la maschera in un ultimo sguardo, brutale, catartico.

L’iniziale favola di una moderna Cenerentola si trasforma dunque in un delirio di generi che inventano un film non categorizzabile: Anora non assomiglia a niente se non a sé stesso, un po’ come la sua protagonista. È il sogno americano di Sean Baker, che ci racconta come le favole non esistono, il lieto fine nemmeno, ma c’è tanta assurdità e isteria da apprezzare in relazioni interpersonali che vengono e spariscono come una bolla. Finché non scoppia, c’è solo riderci sopra.

Lara Ioriatti,
Redattrice.