Catherine Breillat torna al cinema con un dramma romantico e tormentato, ambientato durante una luminosissima estate nella campagna francese. Ancora un’estate (L’Été dernier)   è stato presentato in concorso al 76esimo Festival di Cannes ed è attualmente candidato in quattro categorie ai Lumière del 2024: miglior film, miglior regia, miglior attrice a Léa Drucker e miglior promessa maschile a Samuel Kircher. 

Il soggetto non è originale, si tratta infatti di un remake della pellicola danese Dronningen (2019). Anne (Léa Drucker) è un’avvocata di successo che fin dalla prima scena viene presentata come una donna razionale e determinata, tanto sul lavoro quanto nella vita domestica. Vive in una villa di campagna con il marito Pierre (Olivier Rabourdin) e le due bambine che la coppia ha adottato. All’inizio dell’estate Pierre chiede di poter accogliere in casa Théo, suo figlio adolescente avuto da un precedente matrimonio. Il ragazzo ha avuto grossi problemi di condotta a scuola e Pierre, mosso dai sensi di colpa, spera di poterlo aiutare ricucendo il loro rapporto. 

In verità i suoi tentativi di essere più presente si rivelano ancora deboli, è spesso assorbito dal lavoro e così Theo trascorre le giornate con Anne e le sue nuove sorelline. Il rapporto con Anne prende una piega singolare ma lo fa poco per volta: inizialmente la complicità tra i due è quella di un’adulta che cerca di stabilire un legame con il figlio adolescente per il bene della famiglia, finché i momenti di condivisione non diventano sempre di più un’amicizia tra pari e lei smette del tutto di comportarsi come una figura genitoriale, salvo poi tornare ad essere fredda e severa quando si tratterà di salvare le apparenze. Da questo punto di vista è notevole l’ironia del lavoro di Anne, che si occupa proprio di protezione legale dei minori, si comporta in maniera impeccabile verso i suoi giovani clienti, ma non riesce ad avere lo stesso riguardo per l’età del suo figliastro. 

Breillat esplora dilemmi etici complessi quali il consenso in caso di disparità, sia anagrafica che di ruoli, tra due amanti, i rapporti familiari, la necessità o meno che ci sia un legame di sangue a legittimare l’esistenza della dinamica genitore – figlio adottivo. 

L’altro grande tema del film è la profonda ambivalenza che può attraversare la psiche umana. Ci troviamo davanti un personaggio che appare in grado di manipolare chiunque, senza dare segni di rimorso: questo è evidente sia nella dinamica tra lei e il marito, sia nei cambi repentini di atteggiamento verso Théo. Allo stesso tempo però perde il controllo delle proprie azioni quando si trova sola con lui: in più di un’occasione sembra che sia il ragazzo ad aver sedotto lei, che appare quasi indifesa, come se lui fosse l’unica persona nella sua vita che non solo non si lascia controllare, ma riesce addirittura ad imporsi, nonostante l’età. La sessualità in tutto il film è uno strumento e un gioco di potere, durante il quale Anne rivela tutta l’ambiguità della sua posizione, l’egoismo di cui diventa capace una persona quando ha dei bisogni da soddisfare. L’interpretazione di Léa Drucker è notevole nel trasmettere la freddezza di fondo che caratterizza quasi ogni espressione della protagonista. 

Si potrebbe dire che questa relazione segreta, così estremamente in contraddizione con il ruolo di Anne nella società, costituisca un’ombra sulla vita agiata e apparentemente perfetta della famiglia. L’azione di Théo nella storia è in realtà l’esatto opposto: insiste nel voler illuminare i fatti, portare alla luce del sole la natura di Anne, dalle scene in cui gioca a intervistare i membri della famiglia con un registratore fino a quando farà di tutto per spingerla a confessare al marito. Lei dal canto suo difende l’ombra in cui vive, non è disposta a uscire allo scoperto perché significherebbe perdere tutto quello che ha, e preferisce vendicarsi di Théo per essere un elemento di disturbo nella vita che si era costruita con tanta cura. I ruoli di vittima e carnefice non sono ben definiti, Anne e Théo sembrano scambiarsi di posto continuamente, lasciando lo spettatore con più domande che risposte sulla responsabilità e la colpa di ciascuno dei personaggi

Federica Rossi,
Redattrice.