E’ tornato al cinema David O. Russel e come di consuetudine tornano anche i massimi vertici dello star system hollywoodiano: questa volta nel red carpet audiovisivo diretto dal regista statunitense troviamo Christian Bale, Margot Robbie, J. David Washington, Chris Rock, Anya Taylor-Joy, Michael Shannon, Taylor Swift, Robert De Niro e Rami Malek, per citarne alcuni.

O. Russel è al suo decimo film (se conteggiamo anche Accidental Love, ripudiato dal regista per divergenze produttive) e mancava dai grandi schermi da ben sette anni quando con Joy aveva portato Jennifer Lawrence ad ottenere la candidatura come miglior attrice protagonista all’88a edizione dei Premi Oscar (Russel è da sempre ben visto dall’Academy pur non avendo mai portato a casa una statuetta sulle cinque candidature ottenute). Proprio Lawrence era stata presa in considerazione come prima scelta di cast per Amsterdam e non è stata l’unica a rifiutare il ruolo, perché a lei si affiancano altri nomi del calibro di Jamie Foxx e Angelina Jolie. Non solo, inizialmente era stato scelto anche Michael B. Jordan per il ruolo di uno dei tre protagonisti, ma a causa di conflitti di programmazione è stato sostituito da J.David Washington; pare che il regista non volesse proprio dirigere questo film senza una buona fetta di Hollywood al suo interno, ma lo star system sarà bastato per portare a casa il risultato?

IL “BUSINESS PLOT” (DI O. RUSSEL)

Amsterdam parte da un presupposto tutt’altro che deprecabile: fondere il noir alla commedia nera – mescolando pertanto i suoi American Hustle e Il Lato Positivo – per raccontare l’evento storico chiamato “business plot”, ovvero il tentato colpo di Stato fascista che nel 1934 cercò di rovesciare la presidenza Roosevelt, ordito – così si dice – da un gruppo di importanti industriali del tempo.

Nel film ci troviamo infatti nella New York del 1933 dove i reduci della Grande Guerra divenuti amici sul fronte europeo, il dottor Burt Berendsen (Christian Bale) e il “forte e affidabile” Harold Woodman (J.David Washington), sono costretti a guardarsi le spalle dinanzi al cadavere del generale che li fece conoscere, probabilmente morto per avvelenamento appena prima dell’uccisione anche della moglie Liz (Taylor Swift). Assieme alla “sfrontata e luminosa” Valérie (Margot Robbie), ex infermiera di guerra con cui ad Amsterdam si erano promessi reciproca protezione (e con un passato amoroso con Harold), in un alternarsi di flashback e flashforward finiscono per scavare a fondo di una cospirazione nazionale che rischia di minare le basi della solida democrazia americana.

“Business plot”: un termine che nella sua accezione letterale (e non storica) si sposerebbe bene anche con le intenzioni di O. Russel. Purtroppo dietro ai volti noti e al clamore nel leggere così tanti nomi altisonanti in un solo film, non resta molto di cui gioire. Il corposo budget di 150 milioni di dollari – di cui 70 solo per il marketing – è inversamente proporzionale alla qualità del risultato finale: sono così alte le ambizioni del regista che faticano a sposarsi in armonia con la scrittura dei personaggi ridotti a macchiette e stereotipi dell’America del tempo. Si tratta di una scrittura volutamente caricaturale, per l’appunto, ma che non lascia spazio ad alcun approfondimento o ad alcuna sferzata alle classi sociali, culturali e politiche del tempo, perché si corre sempre sul crinale che separa la commedia nera dal noir, ma senza andare a fondo in nessuno dei due generi; la comicità arriva sporadicamente e nelle sue uniche avvisaglie appare goffa e loffia, mentre il noir è totalmente privo di mordente.

MAI SOTTOVALUTARE IL PUBBLICO

Probabilmente il “business plot” del regista sessantaquattrenne non avrà gli esiti sperati, con la controprova che non basta più soltanto il divismo per conquistare il box office mondiale: Deadline stima un incasso globale attorno ai 35 milioni (nel suo primo week end di programmazione negli USA ha sfiorato appena i 10 milioni) e neanche la critica specializzata pare gradire particolarmente l’opera che su Rotten Tomatoes si aggiudica un 34% di recensioni positive. Insomma, un vero e proprio disastro per New Regency, la casa di produzione del film.

D’altronde viene naturale chiedersi come il regista abbia pensato che potesse essere una buona idea trattare la Storia (di cui “molto è successo per davvero” come preannunciato ad inizio film) con una tale superficialità e con sconcertante pressapochismo: O. Russel cerca di inserire la differenza di classe, la ciclicità della guerra che si ripete, il disprezzo del tempo verso l’amore interraziale, i prodromi del fascismo e del nazismo, il genio della creatività incompresa e delle avanguardie artistiche (Valérie che cerca di insegnare a “vivere per ciò che c’è di bello anche se si è a pezzi”, componendo opere d’arte con le ferraglie dei feriti e dei reduci di guerra), creando delle figurine, delle sagome bidimensionali di cui arriva poco o nulla, se non delle interpretazioni perennemente in overacting e artefatte – nel senso negativo del termine; se per certi attori era prevedibile la commedia non è affatto il genere migliore per la monoespressività di J. David Washington -. altri come De Niro o Bale sembrano proprio arrancare svogliatamente all’interno di un progetto che probabilmente non ha coinvolto né convinto nemmeno i suoi interpreti.

Pur partendo da ambizioni meritevoli di rispetto, Amsterdam rimane un mero red carpet hollywoodiano con un piccolo (grande) problema: a questa tournée ad accogliere le star ai lati del tappeto rosso non c’è nemmeno il pubblico.

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Alberto Faggiotto, Redattore