Finalmente è disponibile nelle sale italiane Amerikatsi (Ամերիկացի, “americano” in armeno) la commedia drammatica di Michael A. Goorjian uscita nel 2022. Nel 2024 il film era stato candidato per rappresentare l’Armenia tra i migliori film stranieri della 96esima edizione degli Oscar. Goorjan è nato a San Francisco ed è armeno da parte di padre: i suoi nonni emigrarono per scampare al genocidio perpretrato nel 1915 dall’allora Impero Ottomano. Dopo aver diretto Entanglement nel 2012 si era dedicato esclusivamente alla recitazione, per poi scegliere di scrivere e dirigere personalmente Amerikatsi per portare al pubblico la storia della propria famiglia e, di conseguenza, del suo paese di origine. Goorjian, che è anche l’interprete principale, immagina che un giovane cittadino americano come era suo nonno avesse deciso di tornare in Armenia durante l’occupazione sovietica.
Charlie, questo il nome del protagonista, arriva a Yerevan con grande entusiasmo ma anche con molto poca conoscenza del contesto: siamo nel 1948 e l’Armenia è ormai una repubblica dell’URSS staliniana. Il nostro eroe si ritrova subito coinvolto nei disordini scoppiati in strada durante la distribuzione delle razioni di pane, salva un bambino dall’essere trascinato via dalla folla e lo riporta alla madre Sona (Nelli Uvarova). La donna si rivela essere la moglie di un comandante russo (Mikhail Trukhin), tuttavia lei è armena ed è quindi entusiasta di conoscere un connazionale rimpatriato. Lo invita a cena, ignara del fatto che il povero Charlie, che non parla né armeno né tantomeno il russo, verrà scambiato per una spia americana, accusato di cosmopolitismo e internato in attesa del trasferimento in una colonia penale siberiana. Inizia così la sua permanenza nella madre patria, e tutta l’esplorazione della cultura locale che si aspettava di fare può avvenire solo attraverso una finestra.
Il problema dell’identità
I rimpatriati sono una vera e propria categoria, abbastanza numerosa, e come tali vengono apostrofati dalle guardie. Non viene esplicitato se siano tutti accusati di spionaggio, o se ci siano altre ragioni per cui debbano essere trattati diversamente dagli altri, e l’impressione che si ha è che questo non abbia importanza: l’essere cresciuto al di fuori è una caratteristica sufficiente a creare un divario apparentemente incolmabile. Charlie e i suoi compagni di prigionia incarnano il limbo identitario che qualunque diaspora produce: nei decenni il paese è cambiato, non conoscere la propria cultura è una colpa, volersene appropriare ora è lo stesso una colpa. In questo caso specifico, inoltre, esploriamo un secondo livello di dualismo: gli americani sono nemici dell’URSS, ma questi americani sono anche armeni e questi soldati dell’URSS sono armeni anche loro.
Charlie osserva la vita quotidiana in casa di Tigran, condividendone a distanza le attività fino a instaurare una bizzarra amicizia silenziosa con il soldato. Assistiamo insieme a lui alle feste in cui si cantano canti popolari, impariamo in quale ordine si dedicano i brindisi e quali sono le ricorrenze più importanti. Il protagonista arriva a scambiare le sue sigarette con fogli di carta per imparare a scrivere in armeno e poter comunicare con Tigran, ma per ogni soldato disposto a chiudere un occhio ne incontriamo un altro inamovibile, e nessuno è disposto ad ammettere che Charlie Chaplin, come l’hanno soprannominato, sia se non innocente almeno una brava persona. Non c’è una morale che alla fine risolva definitivamente questo conflitto, e il film non ci risparmia gli aspetti più violenti della condizione dei rimpatriati, ma la sensazione che emerge attraverso la caparbietà del protagonista è comunque di grande speranza per il futuro del popolo armeno, che continua ad esistere nonostante le frammentazioni storiche e culturali.
L’importanza della commedia
Goorjian racconta il suo paese d’origine con onestà e con una grande sensibilità nei riguardi delle mancanze umane e persino delle ipocrisie di tutti i personaggi coinvolti. Oltre a sviluppare una trama di una certa originalità, ha il grande merito di trasmettere la drammaticità della situazione senza mai scadere nel vittimismo fine a sé stesso. Amerikatsi è un racconto che pretende di restare positivo, e riesce nel difficile compito di spiegare un problema serio senza prendersi troppo sul serio. È alleggerito da momenti comici perfettamente calibrati: si finisce per provare sincera empatia per i personaggi, a volte ridendo anche di gusto davanti ai discorsi folli di un anziano o ai fraintendimenti con i soldati che provano a parlare inglese. Si tratta senza dubbio dell’opera meglio riuscita di Goorjian fino a questo punto, completata per di più da una fotografia estremamente curata.

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