Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, anche noti come i Radio Silence, probabilmente li avete conosciuti con il requel Scream uscito nel 2022 ed il seguito con cui hanno rilanciato la saga creata da Wes Craven convincendo sia critica che pubblico. Il loro nuovo film intitolato Abigail, uscito in Italia con un mese di ritardo rispetto agli States, risulta però ben più vicino alla loro pellicola d’esordio del 2019 Ready Or Not (arrivata da noi come Finché morte non ci separi) in cui una Samara Weaving novella sposa affrontava una prima notte di nozze a dir poco violenta e sanguinosa. Una gigantesca magione con porte e finestre sigillate, protagonisti ignari del pericolo e disarmati costretti a superare la notte, un pericoloso nemico il quale unico scopo è quello di uccidere i protagonisti: tutti elementi che erano già presenti nella pellicola del 2019 e che ritroviamo ora in sala, ma sarebbe riduttivo definire Abigail come una mera riproposizione della stessa pellicola soltanto con più esperienza ed un budget più sostanzioso (28 milioni contro i 6 della precedente). Giusto?
Una narrativa (non) silenziosa
A poco serve girare attorno alla natura vampiresca del villain della pellicola, soprattutto a seguito di una campagna marketing che ben poco nascondeva quest’elemento, ponendolo anzi come principale attrattiva. Consci certamente di come ciò avrebbe indubbiamente attirato pubblico in sala, la scelta risulta poco chiara soprattutto a fronte di una narrazione che cerca di nascondere il tutto per l’intero primo atto.
Ad aprire il tutto è infatti il rapimento della giovane ballerina di danza classica Abigail da parte di un bizzarro team di criminali che, dopo aver ricevuto il compito di sorvegliarla per ventiquattro ore in attesa del riscatto, si ritrovano presto vittima di un carnefice decisamente sanguigno. Presentato il cast di personaggi, tutti incasellati senza troppi margini di espansione in ruoli ben precisi (l’ex poliziotto burbero, la giovane hacker, l’autista amante delle droghe, il “grande gigante gentile”, il militare, la ladra dal cuore tenero) che tutto sommato riescono ad incontrare, chi più chi meno, fin da subito l’interesse dello spettatore, risulta chiaro come gli sceneggiatori Guy Busick (ormai storico collaboratore del duo) e Stephen Shields abbiano cercato di infarcire la storia di informazioni che andassero ad inspessire la lore dei personaggi, finendo però per relegare ad alcune sequenze dei meri monologhi o scambi di battute sul passato dei personaggi che portano inevitabilmente ad uno stordimento per lo spettatore, non avendoli mai visti prima; opposta invece l’esposizione sul passato della vampira antagonista, che avviene banalmente con alcuni vecchi quadri o statue posizionati in diverse stanze della magione dove sarebbe risultato apprezzabile un arricchimento anche per donare ulteriore carattere al villain. Dopotutto, non amiamo così tanto Leatherface specialmente dopo la sequenza con tutta la famiglia riunita a tavola?
“I need blood!”
Lasciato da parte l’elemento di certo più debole del prodotto, bisogna comunque affermare come il tutto riesca a sollevarsi – e non poco – soprattutto grazie al lavoro dei due registi. Affiancati da Aaron Morton – già direttore della fotografia per pellicole horror come il soft-reboot del 2013 Evil Dead e del recente Omen – L’origine del presagio – riescono infatti a riempire i 109 minuti di durata con sequenze che mescolano sapientemente tutto ciò che rende un momento davvero inquietante con elementi puramente comici, creando quello che da diversi anni nell’ambiente è conosciuto con il termine di “fun horror” che si pone come obiettivo primario quello di intrattenere inserendo però elementi appartenenti al genere horror (soprattutto sulla quantità di violenza e sangue a schermo). È quindi così che la vampira Abigail insegue i protagonisti eseguendo passi di danza, sbeffeggiandoli e deridendoli – prendendo in questo una chiara ispirazione dalla saga de La Casa – mentre questi ultimi scappano urlando imprecazione armati di bastoni intagliati, retine di aglio e crocifissi, accompagnando il tutto con un design del mostro davvero ispirato che sfrutta in primis la grande flessibilità della giovane Alisha Weir a cui accorrono in aiuto un comparto make-up e costumi davvero di alto livello.
Se, come anticipato sopra, i personaggi faticano ad elevarsi oltre le mere silhouette dei cliché cinematografici a livello di scrittura, sono le interpretazioni del cast a donare vero e proprio carisma. Su tutti spiccano ovviamente Melissa Barrera, ormai feticcio dei Radio Silence sempre più a suo agio in ruoli che la ricoprono di sangue dalla testa ai piedi, e un Dan Stevens – attualmente onnipresente in sala tra questa pellicola, Godzilla X Kong e Cuckoo – particolarmente in parte e capace di gestire ottimamente il cambio sul finale, ma lo stesso si può dire anche di Kevin Durand – a sua volta attualmente al cinema anche con Il regno del pianeta delle scimmie -, fantastico gigante tutto muscoli e poco cervello, una Kathryn Newton qui dannatamente e perfettamente scream queen ed Angus Cloud, qui alla sua ultima apparizione breve ma decisamente intensa. Apprezzabili anche i brevi ruoli di Giancarlo Esposito e Matthew Goode, mentre a brillare poco è infine l’interpretazione di William Catlett, unico dei protagonisti con cui risulta effettivamente difficile entrare in empatia.
Piccolo kudos finale alla colonna sonora curata da Brian Tyler, capace di spaziare sapientemente da componimenti di musica classica (anche riarrangiati per alcune occasioni) a sonorità invece più moderne e pop, risultando in un match perfetto con l’atmosfera che la pellicola vuole trasmettere.
Conclusioni
Quello che la coppia Gillet/Bettinelli-Olpin porta in sala è una pellicola che mostra soprattutto il fianco a causa di una sceneggiatura zoppicante, che cerca di approfondire senza ammorbare finendo però per non riuscire davvero bene in nessuno dei suoi intenti. Una pellicola che si può dire salvata da un’ottima messa in scena, che intrattiene e diverte senza dimenticare i momenti più inquietanti ma soprattutto il sangue, aiutata da un’ottima colonna sonora, make-up e costumi eccezionali ed un cast decisamente in parte, capace di donare vita a personaggi altrimenti facilmente dimenticabili.
Viene però spontaneo chiedersi: per il genere horror il futuro è quindi questo? Un fun horror, capace soprattutto di divertire prima che di spaventare, in cui allo spettatore si chiede soltanto di spegnere il cervello e di godersi corpi sbudellati, battute e violenza senza limiti? Un horror da pigiama party con gli amici, ma è davvero solo questo che, ad oggi, l’horror può offrire?
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