L’articolo contiene spoiler sulle pellicole in oggetto

Il found footage (“filmato ritrovato”) è uno degli espedienti più utilizzati nel genere horror per concedere estremo realismo alla storia che si vuole raccontare. L’idea di assistere a filmati reali che sono stati poi ritrovati e riproposti in forma di film sicuramente contribuisce non poco a suggestionare lo spettatore e, di conseguenza, a inquietarlo. Come dimenticare la geniale campagna marketing per The Blair Witch Project (1999), uno dei primi film di grande successo a utilizzare l’espediente del filmato ritrovato dando il via a un vero e proprio filone vivo e prolifico ancora oggi: i giovani protagonisti della caccia alla strega di Blair vennero presentati al pubblico come persone realmente scomparse, e solo qualche anno dopo divenne chiara la natura di finzione dell’intero progetto. The Blair Witch Project ha aperto una strada a centinaia di opere simili, alcune un po’ meno riuscite di altre, ma a detta di molti nessuno è riuscito a battere il breve ma estremamente disturbante film del ’99. O forse qualcuno ce l’ha fatta.

L’inferno in un attico a Barcellona

La saga di [REC], nata nel 2007 dalle menti di Jaume Balagueró (Mientras duermes, Fragile) e Paco Plaza (Verónica) conta tuttora quattro capitoli, ma in questa sede è opportuno tenere presente solamente i primi due film del franchise: soltanto questi, infatti, sono girati utilizzando la tecnica del mockumentary, mentre [REC]3 Génesis e [REC]4 Apocalipsis la abbandonano subito per passare a un sistema di ripresa cinematografica “tradizionale”. [REC] e [REC]2 sono inoltre strettamente legati data la continuità diretta della storia che viene raccontata al loro interno; il finale del primo film viene ripreso all’inizio del secondo, in modo da far andare avanti la narrazione nel modo più naturale possibile.

La nostra storia comincia con la reporter Angela Vidal, che insieme al collega cameraman Pablo (interpretato dal direttore della fotografia Pablo Rosso) è intenta a girare un episodio di un programma tv in cui la troupe televisiva segue vari lavoratori nei loro turni di notte, in questo caso una squadra di vigili del fuoco. Angela e Pablo esplorano la stazione dei pompieri cercando di strappare qualche veloce intervista, ma la sirena interrompe quasi subito il loro giro: c’è un’emergenza in un edificio nel centro di Barcellona ed è necessario soccorso. Angela e Pablo, in compagnia dei due pompieri Manu e Alex, raggiungono la destinazione in pochi minuti ed è subito chiaro che qualcosa non va. Tutti gli inquilini del palazzo sono nell’atrio, in preda alla confusione più totale, mentre la polizia è già arrivata per indagare su un appartamento al primo piano da cui provengono delle urla disumane. La telecamera segue gli uomini su per le scale e poi nell’appartamento alla ricerca dell’anziana proprietaria: «non smettere di registrare, Pablo, riprendi tutto» intima Angela al collega. Poco dopo appare la signora Izquierdo, ricoperta di sangue dalla testa ai piedi, che in preda a un’inspiegabile aggressività attacca uno dei poliziotti ferendolo a morsi alla gola.

Mentre tutti tornano al piano di sotto per cercare di salvare l’uomo che sta perdendo decisamente troppo sangue, ecco che la situazione precipita definitivamente: l’intero palazzo viene messo in quarantena per via di un virus sconosciuto, nessuno potrà più uscire di lì, neanche i poliziotti. Ci troviamo davanti a degli infetti simil-zombie assetati di sangue, nascosti chissà dove e dai quali non è possibile scappare. Angela e Pablo prendono così un’importante decisione, riprendere quanto più possibile di ciò che succede nell’edificio in modo che tutti possano sapere cos’è accaduto realmente. La ricerca sull’origine dell’infezione e di una possibile via di fuga costerà la vita a molti dei personaggi, finché alla fine del film Angela e Pablo si ritrovano nell’attico del palazzo, a detta degli inquilini disabitato da tempo. Dicono il contrario, tuttavia, la miriade di oggetti disseminati sui mobili e le centinaia di ritagli di giornale e fotografie attaccati alle pareti: tutti parlano o della stessa storia, una bambina portoghese di nome Tristana Medeiros che si crede essere posseduta da qualcosa di terrificante che sembra essere anche contagioso. Nessuno sa che la povera Tristana è chiusa lì dentro da anni e il suo male non è mai stato debellato.

Sarà nel sequel [REC]2 (2009) che si inizierà a esplorare ulteriormente la natura del contagio, oscillando costantemente tra la sfera del paranormale e quella scientifica. Tristana, posseduta e impossibile da controllare, venne affidata a un funzionario del vaticano incaricato di isolare la fonte psico-fisica della possessione: si tratta a tutti gli effetti di un curioso mescolamento tra scienza e religione nella forma di una “possessione contagiosa”. Qui la videocamera di Pablo è fuori uso, ma ora nel palazzo abbiamo una squadra di forze speciali armate di bodycam: anche loro non hanno intenzione di smettere di registrare, qualunque cosa accada nell’edificio. Insieme a loro c’è Owen, medico/prete incaricato di localizzare Tristana e recuperare un campione del suo sangue per poter sintetizzare una cura. È proprio nella ricerca del “paziente zero”, che la squadra si imbatte in Angela, sopravvissuta senza troppi problemi all’incubo che l’ha travolta. O così pare.

Uno dei must-see per chi ama il genere

La saga di [REC] è stata per lungo tempo sottovalutata dai cinefili: non è facile per un horror in lingua spagnola affermarsi nel mondo in competizione con tutti i prodotti che sforna Hollywood ogni anno. Certo, c’è da dire che il terzo e il quarto capitolo della saga sono di gran lunga peggiori rispetto ai primi due che ancora oggi riescono a disturbare e spaventare gli spettatori pur non facendo uso di effetti visivi esagerati. Infatti, la CGI è quasi completamente assente da [REC] e [REC]2, sono gli effetti pratici e il trucco a farla da padroni e un po’ di computer grafica è stata utilizzata soltanto per le scene più complesse da realizzare come il momento in cui viene avvicinato un crocifisso al sangue di Tristana che prende immediatamente fuoco. Le sessioni di trucco per gli zombie duravano ore, anche per i bambini, e tutto il duro lavoro ha dato i suoi frutti: in [REC]2 Owen è costretto a praticare una sorta di esorcismo su un ragazzo infetto e l’attore Jonathan Mellor ha dichiarato di essere stato particolarmente disturbato dal trucco e dall’interpretazione del giovane, tanto da dover ricontrollare spesso le battute che continuava a dimenticare. Fino alle sette ore di trucco poi per realizzare il personaggio di Tristana Medeiros, interpretata da uno dei volti più noti dell’horror contemporaneo, Javier Botet.

Il realismo era l’obiettivo principale dei due registi Balagueró e Plaza, che per interpretare la protagonista Angela hanno scelto Manuela Velasco, una vera reporter e presentatrice televisiva spagnola, alla quale è stato chiesto di essere il più naturale possibile durante le riprese, come se stesse svolgendo il suo lavoro di sempre. Anche i pompieri non sono attori professionisti (ad eccezione dei due principali Manu e Alex, interpretati rispettivamente da Ferrán Terraza e David Vert), così come le ragazze del centralino che vediamo all’inizio mentre cercano di nascondersi alla telecamera, una reazione che chiunque non abituato ai riflettori potrebbe avere. Balagueró e Plaza decisero addirittura di non consegnare a tutti gli attori una vera sceneggiatura; a tutti gli effetti in pochi sapevano cosa stava per succedere o da dove sarebbe arrivato il prossimo zombie, era necessario che le reazioni dei personaggi fossero il più possibile naturali e spontanee.

Un altro problema che i registi hanno dovuto affrontare riguarda la questione del “giustificare” il found footage, dare una spiegazione al perché non si finisce mai di riprendere le scene, anche in situazioni di estremo pericolo. In [REC] è la stessa Angela a spiegarci tutto: dato che il palazzo è stato completamente sigillato in quarantena è loro dovere continuare a riprendere così che tutti all’esterno possano sapere la verità. Similmente, in [REC]2 è uno dei poliziotti protagonisti a dirci pressoché la stessa cosa: sono impegnati in una missione importante e non bisogna smettere di riprendere, a qualunque costo. Tutti questi piccoli accorgimenti concedono un realismo notevole al film, che in pochi sono riusciti a riprodurre così fedelmente negli anni a venire. La ciliegina sulla torta sono poi le scene al buio dove viene utilizzato il faretto della videocamera o la visione notturna, chiaro omaggio al terrificante finale di The Blair Witch Project.

Perché ci piace l’horror found footage?

Il mockumentary è sicuramente una delle categorie interne al genere horror che ha più successo, o per lo meno quello che attira più pubblico e dibattiti. A partire da Cannibal Holocaust (1980), il primo effettivo film in found footage della storia, l’espediente del nastro o della videocassetta ritrovata in luoghi oscuri contenente immagini ancora più spaventose continua a macinare pubblico e a sfornare prodotti sempre diversi. Alcuni sono dei piccoli capolavori, come la saga spagnola qui sopra, altri non riescono nel loro intento e finiscono per sfociare nel ridicolo, grosso rischio da evitare se si vuole impressionare lo spettatore. La suggestione è l’elemento chiave per il successo di questi film, la cui pretesa di realismo deve riuscire il meglio possibile.

Ma come mai il pubblico li ama così tanto? La questione è sempre la stessa, la loro capacità di esorcizzare le paure più profonde, che già nell’horror “classico” vengono affrontate, ma in questo caso il contatto con la realtà diventa molto più diretto. Le vicende che avvengono sullo schermo vengono presentate come reali e per quel paio d’ore di film lo spettatore arriva quasi a convincersi di ciò: basta pensare alla “psicosi” collettiva scoppiata in seguito al rilascio del film Antrum (2018), il cui mini documentario abbinato attribuisce alla pellicola una sorta di maledizione che colpisce chiunque osi guardarla. Se il film è realizzato usando i giusti accorgimenti, il pubblico si convince di star guardando realmente un filmato recuperato chissà dove da chissà chi che ha ben pensato di trasformarlo in un’opera cinematografica. Eppure, una volta arrivati ai titoli di coda, capiamo subito di essere stati ingannati e che tutto quanto era frutto di un’ottima messa in scena. Sta proprio qui l’unicità e il fascino dell’horror in found footage, l’inganno che riesce a tendere sullo spettatore in cui, pur non volendo, è impossibile non cascarci con tutte le scarpe.

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Renata Capanna,
Redattrice.