n.d.r: Nell’analisi del film, questo articolo conterrà spoiler, vi consigliamo comunque caldamente di recuperarlo nel malaugurato caso in cui ancora non l’aveste visto
Da quando nel 1975 Qualcuno volò sul nido del cuculo uscì nelle sale – segnando la storia del cinema con un’aperta denuncia sociale e diventando uno dei pochissimi film ad aggiudicarsi, l’anno successivo, i so-called Big Five (ossia tutti e cinque i premi Oscar più importanti – miglior film, miglior regista, miglior attore, miglior attrice e migliore sceneggiatura non originale) – si sono sprecate innumerevoli parole per elogiare e analizzare un film che sarebbe riduttivo definire “dal grande impatto emotivo”.
Dalla mostruosa interpretazione di Jack Nicholson alle delicate tematiche della malattia mentale e del malfunzionamento delle strutture di cura psichiatrica; dal significato della termine “devianza” alla riflessione sul tema della libertà fisica e, ancor più, psicologica; dall’impeccabile regia di Miloš Forman, all’importanza della rappresentazione di coloro che solitamente non hanno voce: è innegabile come questa pellicola non smetta mai di suggerire spunti di riflessione sulla società – o meglio sulle macro e micro società – e sugli individui che la compongono.
Tra i tanti spunti già elencati, rilevante è sicuramente la riflessione sulla tematica del potere e sui modi in cui esso si manifesta. Questa tematica è stata oggetto, negli anni, di numerosi studi filosofici e sociologici, ed è proprio a questi studi che vorremmo collegarci per parlare, ancora una volta (ma mai abbastanza), di questo caposaldo della cinematografia.
“E adesso io sarei pazzo per loro solo perchè non sto lì come un fottuto vegetale?”
IL MANICOMIO E LA LEGITTIMAZIONE DEL POTERE
Il film è ambientato in un manicomio a metà degli anni ‘60. L’ospedale psichiatrico in cui si svolgono le vicende può essere considerato a tutti gli effetti come una piccola comunità, una società basata su regole, tempi, e ordini gerarchici fissi e molto rigidi. I pazienti del reparto sono affidati e sottoposti all’infermiera Mildred Ratched (Louise Fletcher), donna severa e ligia al dovere, e ogni regola o abitudine routinaria viene rispettata da tutti senza particolari domande o resistenze. L’infermiera Ratched, che non tollera variazioni di programma e che non si scompone di fronte ai disagi e alle necessità dei pazienti, detiene a tutti gli effetti il comando all’interno del reparto e opera, per riprendere ciò che teorizzava Max Weber già a inizio ‘900, in virtù di un potere razionale-legale che trae la sua legittimità proprio dallo scopo che si prefigge, in questo caso – in teoria – il benessere e la cura dei pazienti.
In questa microsocietà organizzata in maniera ferrea da medici e infermieri, l’arrivo di Randle Patrick McMurphy (il meraviglioso Nicholson di cui sopra) mette a repentaglio la solidità del potere. McMurphy proviene da un penitenziario e non è certo un individuo avvezzo al rispetto delle regole: Il suo personaggio, infatti, rappresenta l’elemento che spezza l’ordine della relazione comando-obbedienza normalmente e pacificamente accettata all’interno del manicomio.
Il carisma del nuovo arrivato, mandato lì dal carcere al fine di vagliare la sua sanità mentale, crea nel giro di poche settimane una nuova situazione in cui i pazienti, sempre più consci delle storture della struttura e degli ingiusti disagi psicologici che devono giornalmente subire, destituiscono poco per volta il potere di sorveglianti e infermieri. La legittimità delle pratiche utilizzate – che sì, per l’epoca partivano con le migliori intenzioni di cura del paziente ma fallivano miseramente nel riconoscere loro ogni dignità – viene meno, e così il potere perde la sua legittimità ed è costretto a ricorrere all’uso della forza per mantenere il controllo all’interno della struttura e ristabilire l’ordine di cui la società esterna lo faceva garante e protettore.
Sempre secondo Weber, sono proprio la razionalità estrema con cui viene gestita una struttura, la rigidità portata agli eccessi e l’alienante ritualismo burocratico a rendere le regole imposte eccessivamente costrittive e vincolanti per i membri della società (nel film rappresentati dai pazienti) ed essi, non appena un fattore esterno (McMurphy) irrompe nell’ordine e smaschera l’immobilismo di un controllo considerato giusto perché calato dall’alto, iniziano a manifestare bisogni, insofferenze e necessità.
LA MICROFISICA DEL POTERE: DAL CONTROLLO AL DISCIPLINAMENTO
Come si è già detto, nella struttura ospedaliera in cui si svolgono le vicende il tempo è scandito rigidamente da una certa ritualità, nella quale le giornate si svolgono secondo schemi precisi e fissi (orario delle medicine, orario della terapia di gruppo, orario della ricreazione all’aria aperta, giorni di uscita…). Anche lo spazio è rigidamente controllato: inferriate, recinzioni e addirittura filo spinato delimitano le zone in cui ai pazienti è consentito andare in determinati momenti delle giornate e persino la struttura architettonica dell’edificio esprime tutta l’autorità continuamente imposta attraverso la sorveglianza ininterrotta.
Per citare Michel Foucault – un altro studioso che, con la sua analisi del potere, ha influenzato gran parte della sociologia contemporanea – spazio e tempo diventano strumenti utili al mantenimento dell’ordine e sono studiati in maniera tale da definire con anticipo lo svolgimento di ogni giornata e attività – sempre immutabili, mai migliorabili.
Ma non solo: a queste forme di controllo più “canoniche” (id est non così sconvolgenti come quelle di cui si andrà a parlare) si aggiungono anche delle pratiche di disciplinamento fisiche che utilizzano il corpo dei pazienti come mezzo per mantenere l’ordine all’interno della struttura. E’ proprio attraverso queste pratiche di disciplinamento, dunque, che il potere si insinua in modo capillare nelle relazioni, nei corpi e nelle menti dei pazienti, tant’è che fin dall’inizio del film viene mostrato come sia accettata e normalizzata l’abitudine del legare i pazienti al letto durante la notte senza che ce ne sia effettivamente motivo o anche, in alcuni casi, l’utilizzo dell’elettroshock per placare improvvise insubordinazioni e liti all’interno del reparto. Questa microfisica del potere (che Foucault tratta nella sua produzione proprio dagli anni ‘70 a partire dal saggio Sorvegliare e punire) si manifesta nel film anche tramite meccanismi psicologici subdoli, che fanno ricorso all’umiliazione e al sentimento della vergogna.
Alla fine, l’escalation dei fatti e i disperati tentativi dell’equipe medica di ritornare alla situazione di immobilismo e di normale funzionamento della struttura (funzionamento assolutamente infruttuoso per quanto riguarda il miglioramento della salute dei paziente) non possono che portare al tragico epilogo o, se vogliamo, alla “liberazione” di quelle tre famose oche della celebre filastrocca a cui si rifà il titolo del film:
Three geese in a flock, one flew East, one flew West, one flew over the cuckoo’s nest
Uno stormo di tre oche, una volò ad est, una volò ad ovest, una volò sul nido del cuculo
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