Uscito per la prima volta nelle sale il 7 marzo 1975, Profondo Rosso torna il 10 luglio 2023 nei cinema italiani in una nuova edizione restaurata in 4K. Il capolavoro di Dario Argento ha saputo rinnovare l’horror italiano inaugurando una nuova stagione per il genere: dagli effetti speciali gore, ai quali collaborò Carlo Rambaldi, alla colonna sonora firmata dal gruppo rock progressivo Goblin, Profondo Rosso ha lasciato un forte segno nell’immaginario collettivo. 

Per celebrare il nuovo restauro e stimolare la visione del film sul grande schermo, rievochiamo i tratti salienti di Profondo Rosso – senza svelare, naturalmente, l’identità del folle assassino.

Dal thriller all’horror

Dario Argento, regista romano classe 1940, esordisce dietro la macchina da presa con L’uccello dalle piume di cristallo (1970), un thriller intricato caratterizzato da una regia innovativa e una sceneggiatura pregna di suspense. Sin dal suo primo film, il cineasta mostra il suo interesse come regista verso i canoni stilistici di Alfred Hitchcock e di Mario Bava – in particolare, per quanto concerne gli elementi orrorifici. Tuttavia, nei suoi primi lungometraggi, Argento è narratore di storie dal taglio thriller e giallo, come risulta ben evidente nei successivi film, ossia Il gatto a nove code (1971) e 4 mosche di velluto grigio (1971).

Verso il termine delle riprese de Le cinque giornate (1973) – un atipico esperimento storico per il regista romano – Dario Argento inizia a pensare a un nuovo film, ritornando sulla linea dei tre lungometraggi precedentemente realizzati. Con Profondo Rosso, tuttavia, il cineasta non rientra, semplicemente, nei canoni del thriller all’italiana: egli compie un’evoluzione nella sua carriera cinematografica, effettuando una commistione tra il genere thriller – Profondo Rosso è, a tutti gli effetti, un’indagine volta a scoprire l’autore di un efferato omicidio – e l’horror – molteplici sono le scene dal taglio gore ricolme di sangue e violenza. Ed è il genere dell’orrore che andrà caratterizzando il proseguo della sua carriera registica: basti pensare che il film successivo è Suspiria, capolavoro del genere che ha ispirato, nel 2018, il remake firmato da Luca Guadagnino. 

Diversi sono gli elementi che caratterizzano l’evidente dialogo tra i due generi: in primo luogo, la figura della sensitiva Helga (Macha Méril), all’inizio del film, la quale intuisce la presenza di una “mente perversa” nel pubblico accorso a udire la sua testimonianza come medium; questo elemento, seppur marginale nella trama, contribuisce a infondere quell’aura mistica che sarà successivamente declinata entro la raffigurazione della stregoneria in Suspiria. Al contempo, l’indagine da parte del jazzista Marc Daly (David Hemmings) risulta assolutamente coerente al filone thriller e allo stile registico del primo Argento. Ma accanto all’investigazione del protagonista, condotta insieme alla reporter Gianna Brezzi (Daria Nicolodi), si palesano sullo schermo scene in cui la suspense esplode in scene di violenza orrorifiche: basti pensare alla bambola meccanica dai caratteri demoniaci che assale uno dei personaggi del film. Tutti questi elementi concorrono a palesare quella dinamica di vasi comunicanti tra i due generi, i quali risultano assolutamente in equilibrio nel corso della narrazione.

Personaggi atipici

Marc Daly è un pianista jazz – e no, non come il Sebastian di La La Land (Chazelle, 2016) – introverso e schivo: il suo unico amico è Carlo (Gabriele Lavia), un giovane musicista tediato da una severa dipendenza da alcolici. Supertestimone oculare che assiste al brutale omicidio della sensitiva, Marc è intenzionato a risolvere il caso, pur con i limitati mezzi di chi non padroneggia gli strumenti del mestiere. All’estremo opposto, c’è l’intraprendente Gianna Brezzi, una giornalista che accorre sulla scena del delitto grazie ai suoi ignoti informatori. Il contrasto fra i due non produce solo le scene più comiche del film, ma rende evidente il ruolo fondamentale di Gianna nella narrazione: interpretata da una Nicolodi iconica e indimenticabile, la giornalista è un personaggio femminile atipico nel panorama cinematografico italiano dell’epoca; la sua intraprendenza, sia nelle parentesi intime con Marc sia durante l’indagine, fa di lei una vera e propria eroina del film. Il protagonista maschile, interpretato da David Hemmings – già noto nel circuito produttivo italiano grazie al suo esordio artistico in Blow-up (Antonioni, 1966) – è anch’egli atipico: lo spettatore non si trova dinnanzi a un investigatore con distintivo, o a una figura professionale affine, bensì a un pianista inglese che si ritrova casualmente al centro dell’efferato delitto della sensitiva

Il carattere atipico dei protagonisti di Profondo Rosso si estende anche agli altri interpreti principali: Carlo è un alcolizzato che non cela la propria “non eterosessualità”, perennemente turbato da un trauma psicologico non meglio precisato; la madre di Carlo (Clara Calamai) è una ex-attrice cinematografica affetta da demenza che vive circondata dai propri ritratti della sua “epoca d’oro”. Queste caratterizzazioni, insolite per l’epoca, incanalano lo spettatore in una messinscena ambigua, caratterizzata da luci e ombre, in cui la chiave interpretativa sembra a volte prossima, a volte lontanissima. Eppure, è proprio nelle relazioni tra i personaggi atipici di Profondo Rosso che s’insinua l’ordinarietà dell’orrore di Dario Argento non priva di echi provenienti dai romanzi di Stephen King – di cui il regista è da sempre un fervido lettore. 

Una Torino immaginaria 

Dario Argento non ha mai nascosto il suo profondo amore per il capoluogo piemontese: teatro di molti dei suoi lungometraggi, Torino rappresenta lo sfondo ideale per le sue storie thriller-horror, soprattutto per l’aura mistica che caratterizza da tempi antichissimi la città. Tuttavia, Profondo Rosso non è ambientato a Torino: Argento gira ivi molte scene – soprattutto esterni – e compone una città immaginaria, un puzzle di ambienti catturati tra Roma e Perugia. Tuttavia, i luoghi più celebri della pellicola sono quelli torinesi: basti pensare alla Piazza C.L.N. in cui discutono Marc e Carlo e dove ha luogo l’efferato omicidio della sensitiva; la tanto lugubre quanto celebre “Villa del bambino urlante”, luogo chiave dell’intera indagine, è sita nel quartiere torinese di Borgo Po. Il Blue Bar, altro luogo iconico di Profondo Rosso, è invece concepito ex-novo da Argento e dallo scenografo Giuseppe Bassan, ed è un chiaro omaggio al dipinto I nottambuli di Edward Hopper del 1942. 

La città immaginaria del film è dunque frutto di un collage articolato e caratterizzato da una moltitudine di rimandi artistici: l’urbe, in questo senso, è anch’essa un personaggio all’interno della narrazione, soggetto entro cui si incontrano e si scontrano protagonisti e comprimari che agiscono sia nelle zone di luce che di ombra. Questa importanza data agli ambienti sarà ricorrente nella successiva produzione di Dario Argento, e già nel successivo e già citato Suspiria.

Un breve accenno al ruolo dei Goblin

Nel 1973 i pubblici di tutto il mondo restavano pietrificati durante la visione del celeberrimo L’esorcista di William Friedkin: il tema principale, Tubular Bells di Mike Oldfield, aveva sconvolto per il suo carattere reiterativo al contempo delicato e inquietante, in quanto associato alla possessione demoniaca della piccola Regan. A seguito dell’ascolto, da parte di Dario Argento, della demo Cherry Five dei Goblin, il regista scelse di ingaggiare l’allora poco noto gruppo romano per la composizione della colonna sonora del film. È innegabile che l’apporto dei Goblin è stato fondamentale per rendere Profondo Rosso il cult che è ad oggi considerato: l’inquietudine del tema principale, unitamente alla nenia infantile che accompagna gli omicidi del killer, è rimasta negli annali della storia del cinema e della musica, al pari di temi musicali realizzati per altrettanto celebri capolavori horror, come il già citato L’esorcista o Halloween (Carpenter, 1978).

L’ordinario nell’orrore

Con Profondo Rosso, Dario Argento ha saputo lasciare un – profondo – segno nell’immaginario cinematografico nazionale e internazionale, gettando le basi per un genere nuovo, in cui il thriller italiano risulta essere in sintonia con l’horror allo stato puro. 

Pur con alcune sbavature – i dialoghi, nella fattispecie, risultano al pubblico d’oggi non del tutto eccellenti – è innegabile che il lungometraggio del cineasta romano risulti essere un capolavoro del suo genere: mai prevedibile, assolutamente spaventoso nonostante lo scorrere dei decenni, Profondo Rosso è di nuovo nelle sale cinematografiche in una nuova versione restaurata. Perché non lasciarsi trasportare, allora, nelle profondità dell’orrore più oscuro?

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Shannon Magri,
Redattrice.