Quella che leggerete non è una vera e propria recensione, quanto piuttosto un commento a caldo sul film visto al Lido dal nostro vicedirettore Jacopo Barbero.
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“Qui rido io” di Mario Martone, in concorso a Venezia 78, racconta la vita di Eduardo Scarpetta (1853-1925), padre del teatro dialettale moderno e grande attore napoletano. Al culmine del successo, l’uomo fa la spola tra i palcoscenici e il proprio complesso nucleo familiare, composto da mogli, amanti e figli legittimi e non (tra questi ultimi: Eduardo, Peppino e Titina De Filippo, mai riconosciuti dal padre). A un certo punto Scarpetta, dopo aver assistito a una messa in scena de “La figlia di Iorio” di Gabriele D’Annunzio, decide di scriverne una parodia e per questo viene denunciato per plagio. Martone torna nella sua Napoli e si immerge nel mondo teatrale partenopeo, ricreato con grande magnificenza figurativa, per mettere in scena una riflessione sul rapporto tra riso, satira e potere. Ma “Qui rido io” è soprattutto il racconto dell’uomo Scarpetta: multiforme, barocco e debordante sul palco come nella vita, è un attore nato e un padre degenerato, che ama se stesso e il suo talento più dei suoi stessi figli, con cui vive un rapporto altalenante. Servillo gli dona anima e corpo e dà vita a un personaggio ricco di sfumature. Certo, qualche minuto in meno avrebbe giovato al film e in generale Martone fatica a trasporre la complessità intellettuale in emozione cinematografica. Ugualmente, “Qui rido io” è un film riuscito nelle sue ambizioni e rappresenta uno dei migliori risultati del Martone recente.
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