Quella che leggerete non è una vera e propria recensione, quanto piuttosto un commento a caldo sul film visto al Lido dal nostro vicedirettore Jacopo Barbero.

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“Last Night in Soho” è il nuovo, attesissimo film del genietto inglese Edgar Wright, presentato fuori concorso a Venezia 78. Senza entrare nei dettagli della trama che, come si evince dal trailer, si snoda tra la Londra contemporanea e la Swinging London degli anni ’60, possiamo dire che il regista si conferma un abile alchimista di generi cinematografici, fondendo efficacemente l’horror con il melò e il musical. Visivamente curatissimo (la sublime fotografia è del coreano Chung Chung-hoon, storico collaboratore di Park Chan-wook; il montaggio – sempre fondamentale in Wright – è del fedele Paul Machliss), nei primi quaranta minuti lascia letteralmente a bocca aperta per l’atmosfera evocata e la ricchezza di invenzioni visive e almeno un paio di scene in cui la musica è protagonista sono da applausi a scena aperta: immersive e coinvolgenti come di rado accade. Peccato che in seguito, per quanto il film rimanga godibile, la sceneggiatura mostri le sue debolezze e si sviluppi in maniera piuttosto prevedibile, per di più sfruttando meno la commistione tra generi e abbandonandosi a situazioni già viste, tra l’altro con palesi riferimenti alle idee promosse dal movimento #metoo. Anche il cast appare tutto sommato poco sfruttato nelle sue potenzialità, se si fa eccezione per l’eccellente Thomasin McKenzie, che regge il film sulle proprie spalle. Ad ogni modo “Last Night in Soho” resta una gran bella esperienza cinematografica da vivere rigorosamente in sala per apprezzarne lo splendore formale, benché nel complesso non si possa non rimanere un po’ delusi da una sceneggiatura non sempre all’altezza di alcune precedenti opere del grande Edgar Wright.

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Questo articolo è stato scritto da:

Jacopo Barbero, Vicedirettore