Quella che leggerete non è una vera e propria recensione, quanto piuttosto un commento a caldo sul film visto al Lido dal nostro vicedirettore Jacopo Barbero.

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Giunti al loro terzo film, con “America Latina” i gemelli Fabio e Damiano D’Innocenzo si immergono ancora una volta nella provincia laziale per raccontare la storia del dentista Massimo (Elio Germano) che, alle prese con un’agghiacciante scoperta, vede la propria quotidianità sconvolta. Quello che ormai possiamo constatare con sicurezza è che i fratelli D’Innocenzo sono due veri autori nel panorama del cinema italiano: hanno una propria visione del mondo, un proprio stile, i propri temi. “America Latina”, infatti, è la conferma di tutto ciò, pur trattandosi del film più debole della loro filmografia. I due registi raccontano la crisi del maschio nella desolata realtà provinciale ma, dopo un inizio affascinante e visivamente ammaliante, scarnificano la narrazione a tal punto che il film resta del tutto arenato alle sue premesse. Non ci troviamo di fronte a una potente narrazione sospesa alla Antonioni, bensì a un’opera incompiuta nella sua esibita (e forzata) autorialità. È come se i D’Innocenzo celassero la semplicità (il film è tutto giocato su una singola metafora svelata a 5′ dall’inizio) del loro discorso dietro una confezione ostentatamente impegnativa e faticosa (il film dura 90′, ma la durata percepita è almeno il doppio, tra interminabili silenzi che fan tanto “cinema d’autore”). Tra Lanthimos e Haneke – senza la dirompenza e del primo e lo sguardo spietato ed entomologico del secondo -, i D’Innocenzo rischiano la maniera già al terzo film.

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Questo articolo è stato scritto da:

Jacopo Barbero, Vicedirettore