Si può considerare il cinema come la mia religione, perché è uno dei maggiori stimoli che ho per vivere. Il cinema ha quello stesso aspetto di devozione e di idolatria: in questo senso, è interamente religioso.
Pedro Almodóvar è riconosciuto come il più celebre regista del cinema spagnolo. È anche sceneggiatore, produttore cinematografico, scrittore e musicista.
Nasce il 25 settembre 1949 a Calzada de Calatrava, nella Castiglia-La Mancia, per poi trasferirsi a Madrid negli anni Sessanta. Sin da piccolo manifesta una personalità irrequieta, interrompendo gli studi a sedici anni e mantenendosi grazie a un lavoro come impiegato presso una compagnia telefonica. Ma le sue idee erano già ben chiare: la sua ambizione era entrare nel mondo del cinema. Così inizia a girare documentari, filmati amatoriali e cortometraggi, recita in alcuni spettacoli della compagnia “Los Goliardos” e pubblica fumetti e racconti in riviste underground.
CARRIERA CINEMATOGRAFICA
Nel corso del tempo il suo modo di fare cinema si è evoluto, seguendo ed adattandosi ai cambiamenti della nostra società, rappresentata sempre con grande lucidità. Si tratta forse del cineasta europeo con la carriera più variegata. In 40 anni di carriera ha realizzato film che spaziano dalla trasgressione (Pepi, Luci, Boh e le altre ragazze del mucchio, 1980) alla riflessione autobiografica (Dolor y gloria, 2019). Il suo stile è spesso contrastato, provocatorio, impulsivo o riflessivo, caratteristiche che talvolta si ritrovano persino nello stesso film.
Gli studiosi riconducono le sue opere a quattro tappe stilistiche:
- Tappa sperimentale, ovvero gli esordi della carriera cinematografica: Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio (1980), Labirinto di passioni (1982), L’indiscreto fascino del peccato (1983) e Che ho fatto per meritare questo (1984). Il giovane Almodóvar si distingue immediatamente nel panorama cinematografico dell’epoca grazie ad uno stile provocatorio e audace, sia per i personaggi sia per le tematiche trattate, in cui trovano spazio l’uso di droghe e l’omosessualità. È negli anni Ottanta che diventa un esponente della Movida, il movimento socio-culturale spagnolo nato durante il passaggio dalla dittatura franchista all’attuale democrazia, ovvero il periodo noto come la Transizione spagnola. Erano anni in cui il Paese stava gradualmente riconquistando le sue libertà dopo anni di conformismo forzato e Almodóvar ne diventerà un portavoce di spicco grazie alle prime opere della sua carriera ambientate proprio in quel periodo, film attraverso cui abbraccia in tutto e per tutto questa improvvisa voglia di libertà. Come ha affermato il regista: “la memoria storica è una questione aperta in Spagna, il Paese ha un dovere morale con le famiglie dei desaparecidos, quelli che sono stati interrati nelle fosse. Non possiamo chiudere la nostra storia recente senza affrontare questo tema”.
- Tappa di perfezionamento stilistico (anni ’90): Donne sull’orlo di una crisi di nervi (1988), Légami! (1990), Tacchi a spillo (1991), Kika – Un corpo in prestito (1993). Con il primo film, per la prima volta propone una trama più complessa e stratificata, pur mantenendo lo scandalo e la provocazione che hanno caratterizzato le sue opere sin dalle prime produzioni.
- Tappa sociale (primi anni 2000): Tutto su mia madre (1999), Parla con lei (2002), La mala educación (2004). Con Tutto su mia madre, che valse al regista spagnolo un Oscar e il Golden Globe al miglior film straniero, Almodóvar mette in scena e costruisce personaggi dalla forte personalità, caratterizzati dall’aver vissuto storie dolorose e vicende fuori dal comune.
- Tappa introspettiva: Volver – Tornare (2006), La pelle che abito (2011), Dolor y gloria (2019). Quest’ultimo rappresenta la sua opera più autobiografica, in cui immerge il protagonista Salvador in quelle che sono state delle esperienze di vita realmente vissute.
TEMATICHE “ALMODOVARIANE”
La domanda sorge spontanea: è possibile individuare un filo conduttore all’interno di una carriera così eterogenea? Senza dubbio, ad accomunare le sue opere è il fascino per un mondo “altro”, come l’omosessualità rappresentata ne La legge del desiderio (1987) o il travestismo in Tutto su mia madre (1999). Il tutto con le tipiche tinte provocatorie e trasgressive del cinema “almodovariano”. Per il cineasta spagnolo la normalità è quasi inaccettabile, ma ciò che lo contraddistingue è la capacità di raccontare dei mondi estremamente complessi, e talvolta stigmatizzati, con estrema lucidità e intelligenza, ma soprattutto senza giudizio. Almodóvar, anche di fronte alle vite dei personaggi dolorose e complicate, riesce a stimolare la comprensione delle loro azioni e mai la compassione.
La sua indole trasgressiva è declinata anche attraverso una dimensione erotica. È il caso della libertà sessuale della popstar ninfomane Sexilia in Labirinto di passioni (1982), delle parafilie del torero Diego Montes in Matador (1986). Tuttavia, in molte occasioni in Almodóvar l’eros si unisce al pericolo e alla suspence, come in La pelle che abito (2011), film ai confini con il genere horror, in cui racconta l’ossessione del chirurgo Ledgard per la morte della moglie e della figlia che lo condurrà a sperimentare nuove tecniche chirurgiche su una giovane donna tenuta prigioniera. La pelle che abito è ispirato dal romanzo Tarantola (2011) di Thierry Jonquet, di cui Almodóvar riprende l’idea di base e aggiunge delle sottotrame tipiche del suo stile. Questo film porta l’attenzione su un altro elemento direttamente collegato all’istinto carnale: il corpo, l’oggetto del desiderio e la causa di numerose gelosie e lotte tra i personaggi.
Almodóvar durante tutta la sua carriera ha rappresentato la perversione e la follia in tutte le sue sfumature. Come affermano Chasseguet-Smirgel (1987) e Khan (1979), la follia di un perverso è anche dotata di una fantasia illimitata, la stessa che gli permette di crearsi un mondo parallelo alla realtà, in cui l’atto sessuale diventa l’unico modo di essere vicino all’altro e trovare in essa una qualche forma di equilibrio. Secondo lo psicoterapeuta A. Scuderi, i personaggi di Almodóvar mettono in scena questa assurdità perversa. Ma persino nei loro gesti violenti e perversi lo spettatore può ritrovare una particolare forma d’amore, poiché il regista rende lo spettatore consapevole che sono il frutto di anni di sofferenze.
Per molti è considerato “il regista delle donne”, per via della grande attenzione riservata alle donne all’interno dei suoi film. Il suo universo femminile è costellato di donne dalla forte personalità, che si trovano ad affrontare le difficoltà e le sofferenze della vita con grande coraggio. Una delle figure più amate dal regista è quella della madre. Paradossale ironia della sorte, quando nel 1999 si spegne la madre del regista, lui è nel pieno successo mondiale di Tutto su mia madre, film da molti considerato il capolavoro della sua carriera. Mette in scena la storia di Manuela, che all’improvviso si trova a dover fare i conti con la morte del figlio Esteban. Della maternità però Almodóvar vuole mettere in evidenza soprattutto lo spirito, che in una situazione così dolorosa non si disperde, anzi sente il bisogno di rivolgere le sue cure a qualcun altro: è il caso della giovane Rosa.
“A Bette Davis, Gena Rowlands, Romy Schneider… A tutte le attrici che hanno fatto le attrici, a tutte le donne che recitano, agli uomini che recitano e si trasformano in donne, a tutte le persone che vogliono essere madri. A mia madre” (da Tutto su mia madre)
La più recente rappresentazione della figura materna si ritrova in Dolor y gloria (2019), un’opera autobiografica in cui affida il ruolo di Pedro ad Antonio Banderas e quello della madre a Penelope Cruz, due pilastri del suo cinema. Si tratta di un film in cui elimina ogni orpello superfluo, in favore di una sceneggiatura scarna che funga da bilancio esistenziale.
CONCLUSIONE
Le opere del cinema di Almodóvar generano quindi sentimenti contrastanti: orrore da un lato attraverso storie che scandalizzano ed empatia dall’altro, poiché il suo fine non è quello di giustificare le azioni violente o le perversioni dei suoi personaggi ma di comprendere le loro motivazioni più profonde. Con i suoi film permette allo spettatore di entrare in un mondo che appare folle in prima battuta, ma che diventa ben presto un ambiente familiare, fatto di passioni e sentimenti veritieri, e con personaggi che non rappresentano se stessi, ma che sono portatori di tematiche care al regista.
Il cineasta stesso ammette di aver sempre messo una parte di sé nelle sue opere: “tutti i miei film hanno una dimensione autobiografica, ma è indiretta, attraverso i personaggi. Infatti io sono dietro ad ogni cosa che accade e che viene detta, tuttavia non parlo mai di me stesso in prima persona”.
Marisa Paredes in Tutto su mia madre dice che “la vera autenticità non sta nell’essere come si è, ma nel riuscire a somigliare il più possibile al sogno che si ha di se stessi”. Pedro Almodóvar, senza dubbi, è un uomo autentico.
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