Il cinema orientale è riuscito negli ultimi anni ad assumere sempre più notorietà in occidente, grazie soprattutto a grandi registi come Bong Joon-ho, Kim Ki-duk o Wong Kar-wai. Tra questi grande rilevanza viene attribuita a Park Chan-wook, regista e sceneggiatore sudcoreano che ottenne un successo mondiale con la famosissima trilogia della vendetta composta da Mr. Vendetta (2002), Oldboy (2003) e Lady Vendetta (2005).

Dopo questo successo il regista ha continuato a dirigere film meravigliosi come Thirst o Mademoiselle facendo parlare di sé per svariati motivi, fino ad arrivare alla sua ultima fatica, Decision To Leave che gli è valsa la vittoria del Prix de la mise en scène durante il 75º Festival di Cannes. Nonostante i vari successi, soprattutto di critica, le opere di Park Chan-wook vengono spesso trascurate dall’ombra della trilogia della vendetta nonostante siano importanti per la filmografia del regista. Per questo motivo oggi vogliamo consigliarvi 3 film di Park Chan-wook che vengono troppo spesso dimenticati e che meriterebbero più attenzione.

Joint Security Area (2000)

Due soldati nordcoreani vengono ritrovati morti nella zona demilitarizzata tra le due Coree. Per evitare un’escalation di una situazione già a dir poco tesa, viene chiamata l’investigatrice neutrale Sophie Jean che cercherà di ricostruire l’accaduto.

Il primo film è forse quello che ha lanciato il regista nei festival di tutto il mondo e che gli ha poi permesso di dedicarsi allo sviluppo di Mr. Vendetta. Si parla, come si evince dal titolo, di Joint Security Area, adattamento cinematografico del romanzo DMZ di Park Sang-yun.

La pellicola presenta una sceneggiatura che risulta interessante già dalle prime scene e che riesce, con il passare del tempo, ad aumentare il ritmo e a immergere completamente lo spettatore nella storia con l’alternarsi di scene che passano dalla spensieratezza e il divertimento ad una tensione altissima, fino ad arrivare al finale magnifico e spiazzante. Un film politico che utilizza la divisione di due popoli in conflitto, separati al confine da una linea, per parlare di unione ma attraverso il terrificante realismo della guerra. Un’opera apparentemente semplice ma che si mostra complessa proprio nella creazione di una certa tensione e nel racconto di personaggi scritti in modo magistrale. Una pellicola immensa che viene considerata tra i migliori film degli ultimi trent’anni anche da registi come Quentin Tarantino.

I’m a Cyborg, But That’s OK (2006)

Una giovane ragazza mentalmente squilibrata e ricoverata in un istituto psichiatrico crede fermamente di essere un cyborg, rifiutando di mangiare come un essere umano. Un altro paziente che attira l’attenzione della ragazza diventa presto un suo caro amico e si trova ora di fronte al compito più grande: curare il problema mentale della ragazza e farle mangiare cibo vero.

In questo caso si vuole parlare del primo film dopo la trilogia della vendetta presentato in concorso al Festival di Berlino, ovvero I’m a Cyborg, But That’s OK.

Con questa pellicola Park Chan-wook si discosta totalmente dalle tematiche trattate nelle sue opere precedenti, raccontando una storia d’amore ambientata in un ospedale psichiatrico e riuscendo ad aggiudicarsi un riconoscimento per l’opera più innovativa del Festival.

Con questo film il regista riesce a raccontare una storia folle che parla di una certa solitudine, connettendo il surreale e il bizzarro al resto del mondo attraverso l’avvicinamento tra due persone che finiscono per completarsi a vicenda. Ad una storia surreale si mescola una messa in scena altrettanto folle segnata soprattutto da una fotografia piena di colori, a cui si contrappone un bianco che riveste i protagonisti e che quasi li separa dalla realtà, riuscendo a conquistare completamente lo spettatore. A tutto ciò si aggiunge una musica che accompagna perfettamente la narrazione e la messa in scena rendendo il film un vero gioiello della filmografia del regista sudcoreano che trova qui forse la sua più impegnata sperimentazione. A rendere ancora più unica la pellicola vi è il fatto che in Italia fu distribuito solo in home video ben sedici anni dopo l’uscita nel paese d’origine.

Stoker (2013)

Dopo la morte del padre di India Stoker, suo zio Charlie, di cui non aveva mai saputo l’esistenza, va a vivere con lei e la sua madre instabile. Arriva a sospettare che quest’uomo misterioso e affascinante abbia secondi fini con la madre e dopo vari avvenimenti, diventa sempre più infatuata di lui risvegliando il lato più oscuro del suo animo.

Come ultimo film si vuole parlare di Stoker che rappresenta il primo film in lingua inglese del regista sudcoreano, basato su una sceneggiatura di Wentworth Miller (Prison Break) e prodotto da Ridley Scott.

Qui Park Chan-wook presenta una messa in scena che riprende e omaggia il maestro dell’horror Alfred Hitchcock attraverso una peculiare creazione della tensione, riuscendo a creare uno stile personale ed unico. Un thriller psicologico che racconta il passaggio all’età adulta della protagonista e una sorta di dramma familiare a tratti depravato che si libera nell’orrorifico finale. In questa pellicola il regista dimostra ancora una volta la sua incredibile capacità di messa in scena, riuscendo a prendere ispirazione da varie opere senza mai risultare una copia ma anzi riuscendo a piegare al suo volere tutti i vari suggerimenti, rendendo la pellicola ancora più personale e dimostrando anche una grande conoscenza della settima arte.

Questi erano 3 film di Park Chan-wook troppo spesso dimenticati, fateci sapere se ne avete visto almeno uno e diteci la vostra lasciando un commento qui sotto!