Questa settimana torna al cinema il capolavoro di animazione di Satoshi Kon (1963-2010) : PaprikaSognando un sogno (パプリカ Papurika) L’opera di science fiction è stata presentata nel 2006 alla Mostra di Venezia ed è l’ultimo lungometraggio di Kon, adattato dal romanzo omonimo di Yasutaka Tsutsui. Satoshi Kon è anche l’autore di Perfect Blue (1997) e Millennium Actress (2001)

La trama ruota attorno al Dream Research Institute, che ha sviluppato una macchina, chiamata DC Mini, che consente di entrare nei sogni delle persone per interagire con il loro subconscio. La psicologa a capo del progetto, Atsuko Chiba, inizia ad usarla per aiutare i suoi pazienti, nonostante la macchina sia ancora in fase sperimentale. In particolare,  all’inizio della storia sta cercando di aiutare un poliziotto che soffre di incubi ricorrenti, Toshimi. Quando alcuni esemplari della macchina vengono rubati, diverse persone diventano vittime di episodi di delirio: sembra che la persona che se ne è impossessata stia cercando di connettere tutti allo stesso sogno. Quando Atsuko, nei panni di Paprika, vi si immerge per indagare, trova una grottesca parata simile a un carnevale nella quale i personaggi marciano nello stesso modo in cui le persone colpite vengono viste marciare nel mondo “reale”. Scriviamo reale in questo modo perché in Paprika il confine con il mondo onirico si fa sempre più sottile, i personaggi si scambiano di posto e ciò che avviene in una versione del mondo interagisce sempre più spesso con l’altra. 

Paprika e Atsuko sono infatti due parti della stessa persona, ma delle quali solo una, la professionista, può esistere nel mondo reale mentre Paprika lavora di nascosto. Hanno un aspetto e caratteri diversi,  eppure Paprika è ugualmente vera, tanto che Atsuko non potrebbe occuparsi dei suoi pazienti senza di lei. 

Questo ci introduce a un altro grande tema che troviamo in Paprika,  oltre alla inconsistenza della realtà per come la conosciamo: una riflessione sull’atto stesso della narrazione. Toshimi all’inizio afferma di non essere mai andato al cinema, pur apprezzandolo. Non si ferma mai a pensare a come le cose possono essere raccontate, e allora il suo subconscio gli impone una narrazione attraverso gli incubi, fino a quando attraverso eventi che non riveliamo sarà costretto a diventare attore protagonista nel proprio inconscio. La capacità di comprendere la propria storia coincide con la capacità di raccontarla. Kon afferma questo con i suoi personaggi, ma poi lancia una provocazione sul modo in cui ci si può raccontare, e su quanto ciò che vediamo o percepiamo in ogni momento sia attendibile o meno. 

Paprika è una riflessione stratificata sull’inconscio sia personale che collettivo e sulla relazione tra la psiche individuale e quella sociale. L’originalità del linguaggio con cui tutto questo viene affrontato è sicuramente il punto di forza dell’opera, che infatti è stata d’ispirazione per altri, uno fra tutti Christopher Nolan nella realizzazione di Inception.

La regia di Kon è magistrale nel gestire il flusso continuo tra sogno e realtà, senza mai perdere il ritmo e mantenendo alta l’attenzione del pubblico, compito non facile, dato che la poca linearità delle sequenze avrebbe potuto rendere il film difficile da seguire. Un certo senso di smarrimento c’è infatti, ma nella misura in cui è sensato che ci sia: ci si sente trascinati insieme ai protagonisti da una versione all’altra della realtà. Questo insieme a un’animazione esteticamente ben costruita e coinvolgente rende Paprika un’esperienza visiva sicuramente meritevole. 

Federica Rossi,
Redattrice.