Gli anni ’90 hanno rappresentato un periodo estremamente vivo e dinamico dal punto di vista culturale in tutti gli ambiti: musica, moda, cinema e letteratura. L’Inghilterra in particolare è stata al centro dell’attenzione mondiale esattamente come era avvenuto tra gli anni ’60 e ’70.

Parte di questa scena viene riportata Oasis: Supersonic, documentario del 2016 di Mat Whitecross, tornato in sala per un giorno in occasione della reunion della band, ma disponibile comunque su Prime Video.

Il film ci racconta la vita dei fratelli Gallagher e il loro rapporto con gli altri membri della band (soprattutto della formazione iniziale), Paul “Bonehead” Paul “Guigsy” McGuigan e Tony McCarroll. Con un montaggio dinamico ricco di effetti grafici le più belle canzoni del decennio accompagnano la presentazione della personalità di Liam e Noel agli esordi: se l’uno aveva un carattere sfrenato già da adolescente, amava mettersi in mostra e non si tirava mai indietro davanti ad una rissa, l’altro era invece più chiuso e riservato, con una comfort zone ben delineata dalle mura di una camera da letto con una chitarra, un quaderno su cui scrivere canzoni e dell’erba. Da quando Noel scelse di entrare nel gruppo del fratello, (all’epoca chiamato The Rain ma quasi subito rinominato Oasis) non passò molto tempo prima di attirare l’attenzione dei media e di etichette discografiche importanti. Già nel 1993 infatti a Glasgow furono notati dal proprietario di Creation Records Alan mcGee, una figura fondamentale nella loro storia che contribuì considerevolmente al loro successo.

Il britpop e l’Inghilterra degli anni ‘90

Il documentario sceglie di concentrarsi molto su determinati aspetti della storia della band, come le vicende familiari dei due fratelli, il rapporto con gli altri membri del gruppo, i momenti più importanti nei termini della formazione della personalità dei protagonisti. Tutto ciò viene spiegato  molto bene, tuttavia si avverte la mancanza di alcuni elementi che non dovrebbero essere ignorati.

Il lungometraggio infatti non accenna minimamente al contesto musicale (e culturale) in corso nella Gran Bretagna degli anni ’90, un preciso ambiente che gli Oasis avevano sicuramente contribuito a formare, ma ne erano anche stati il risultato.

Dalla fine degli anni ’80 fino circa all’inizio degli anni ‘2000 dall’Inghilterra nasce e si diffonde il movimento della Cool Britannia. Difficile da definire, per alcuni dei suoi stessi protagonisti si trattò di un’operazione strategica organizzata dal Partito Laburista con l’obiettivo di ottenere consensi, per altri era effettivamente un momento storico incredibile da vivere.

Si può intendere con Cool Britannia un confluire di energia e creatività da parte dei giovani all’interno di ogni ambito artistico. Gli anni ’90 sono il periodo dei Young British Artist, della rinascita della moda britannica, gli anni di Trainspotting e chiaramente gli anni del Britpop.

Con quest’ultima definizione è importante tenere a mente come non si vada a definire un genere musicale, ma anche in questo caso una corrente, questo perché tutti i gruppi che potevano rientrare all’interno di questo termine ombrello avevano in realtà sonorità molto diverse tra loro (basti mettere a confronto i Suede con i Blur). Ciò che li accomunava era specificatamente il sentimento di essere “estremamente inglesi”. E non in un momento casuale, ma in quel preciso periodo storico. Per alcuni la nascita del britpop risale all’11 maggio 1992 con il singolo dei Suede The Drowners mentre per altri corrisponde all’ uscita dell’album Parklife dei Blur il 25 aprile 1994; esso non era altro che una reazione alla musica americana con un sound che i nuovi musicisti britannici proprio non riuscivano ad abbracciare.

Così si sceglie di guardare indietro, agli anni d’oro della musica inglese. Ai Beatles chiaramente, ma anche ai Kinks e po’ anche a David Bowie. Si parlava quindi di un vero ritorno agli anni ’60, riassumibile nella formula “London swings again”.

Il movimento deve la sua esistenza a nuove generazioni di ragazzi spavaldi, sicuri di sé, energici, figli (delusi) del governo di Margaret Thatcher che nel gettarsi nella musica avevano controbattuto ad un contesto culturale e sociale non più in grado di farli stare bene. L’artista Michael Craig-Martin, parlando del collega Damien Hirst e dei Young British Artists aveva affermato che il classico modo “inglese” di pensare consiste nell’aspettare che qualcosa di bello ti accada, per ritrovarsi poi la maggior parte delle volte con nulla in mano. Ma loro si stavano comportando diversamente, andandosi a prendere quello che volevano. Questo concetto vale nel mondo dell’arte tanto quanto in quello della musica, ed è facile crederci osservando una personalità irruenta e determinata come quella di Liam Gallagher.

The battle of britpop

Il documentario racconta molto bene il successo dell’album (What’s the Story) Morning Glory?, purtroppo però omettendo completamente cosa fosse effettivamente avvenuto in quegli anni che avesse ampliato la notorietà del gruppo e il motivo per cui la fama immediata dell’album fosse motivo di grande soddisfazione per i suoi autori.

Gli Oasis tra il 1994 e il 1995 erano certamente famosi e stavano effettivamente scalando le classifiche, ma la band più celebre della scena musicale, nel ’95 soprattutto, erano i Blur. I due gruppi erano in una situazione di forte competitività a causa in primis del carattere violento di Liam Gallagher, che a fronte di qualsiasi premio vinto dai rivali aveva risposto con poca sportività, avanzando provocazioni abbastanza a lungo da riuscire a suscitare una reazione in Damon Albarn, il quale dopo aver inutilmente provato a mantenere un rapporto di reciproco rispetto iniziò a rispondere con i medesimi toni. Il risultato fu la decisione da parte dei Blur di rilasciare i loro singolo Country House, dall’album The Great Escape che sarebbe stato pubblicato mesi dopo, appositamente lo stesso giorno (14 agosto 1995) scelto dagli Oasis per il loro singolo Roll with it, dall’album (What’s the Story) Morning Glory?. Una mossa così audace poteva essere messa in atto solo da qualcuno convinto di vendere molto di più, e così effettivamente fu. I Blur vinsero con uno stacco notevole, anche a causa di un problema legato ai codici a barre dei CD dei concorrenti, per cui ne risultarono comprati molto meno del numero effettivo.

La battaglia (perché fu costruita dai media come una vera e propria battaglia) quindi era ormai persa, ma non sarebbe finita lì. Dopo non molto tempo gli album interi sarebbero stato rilasciati, e il trionfo di (What’s the Story) Morning Glory? è paragonabile a pochi altri dischi nella storia della musica. Con alcuni dei brani anche oggi più famosi (Wonderwall, Don’t look back in anger, Champagne supernova) il successo degli Oasis venne consacrato definitivamente.

L’ultimo punto di interesse storico del documentario è il live a Knebworth nel ’96, di cui è curioso il modo in cui viene narrato e descritto. Si trattò di un concerto estremamente importante e il fatto che gli Oasis vi partecipassero era sicuramente indice di una fama incredibile raggiunta in poco tempo. Ma nel film i due fratelli parlano chiaramente di come gli sembrasse quasi più un punto d’arrivo che un inizio, eppure la band si era formata solo sei anni prima e il primo album era stato rilasciato non più di due anni prima. Come spiegare una sensazione simile? Era sbagliato? E come arrivarono allora una produzione totale di 12 album?

In realtà l’impressione che avevano avuto era giusta, qualcosa stava finendo, la corrente britpop si sarebbe esaurita di lì a poco. In molti ritengono che la sua fine si possa decretare già nel 1997 con l’ascesa delle Spice Girls, ma è comunque importante ricordare come non ci siano dei confini precisi che delimitano i movimenti culturali, e infatti alcuni album importantissimi furono pubblicati proprio tra il ’97 e il ’99 (ricordiamo in particolare Urban Hymns dei Verve). In generale con la fine degli anni ’90 terminò anche il britpop, un fenomeno tanto breve quanto ricco.

Nonostante questi aspetti siano stati trascurati nel documentario, e certamente approfondire il contesto culturale sarebbe stato utile, Supersonic è un ritratto impeccabile dei due fratelli perché il focus è dichiaratamente su loro e sul loro rapporto. Ciò che si perde in termini di background si guadagna a livello di profondità della conoscenza delle loro persone, delineate in maniera ironica ma precisa, conferendo la giusta importanza ai momenti di svolta del gruppo e descrivendo alla perfezione lo spirito della band di Manchester.

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Gaia Fanelli,
Redattrice.