La prima generazione di «cineasti cinefili nella storia del cinema» – André Bazin.

Gli anni Cinquanta non furono un periodo sereno per la Francia, segnata da una profonda crisi sociale inasprita dalla guerra fredda e, soprattutto, dalla guerra d’Algeria. 

Da un punto di vista prettamente cinematografico, nonostante l’affluenza alle sale fosse in costante declino, il governo continuava ad incoraggiare produttori e registi ad assumere maggiori rischi. Per fare alcuni esempi: nel 1953 il Centre National du Cinéma aveva introdotto un premio di qualità che permetteva di realizzare nuovi cortometraggi; nel 1959 una legge, tramite il sistema dell’anticipo sulle ricevute, si impegnava a finanziare le opere prime dei giovani registi sulla base delle sceneggiature. Grazie a questi (ed altri) incentivi, tra il 1958 e il 1961 dozzine di registi realizzarono i loro lungometraggi. È in questo contesto che una nuova generazione di artisti si affacciò sul mondo della Settima Arte, con l’intenzione di rifondare la morale nazionale e i valori della società. 

Le due tendenze principali di quegli anni così prolifici furono la Nouvelle Vague e la Rive Gauche. Mentre quest’ultima era formata da autori più anziani e conservatori, gli autori della Nouvelle Vague erano, al contrario, pronti a film meno tradizionali e, in un certo senso, rivoluzionari

André Bazin

LA NOUVELLE VAGUE

L’espressione “Nouvelle Vague” apparve per la prima volta sul settimanale francese L’Express il 3 ottobre 1957 in riferimento alle proteste giovanili contro la politica di colonizzazione algerina. Venne solo successivamente utilizzata per indicare questa corrente del cinema francese di quegli anni.

I principali esponenti del movimento furono un gruppo di amici con alle spalle ore e ore di film visti, dibattiti affrontati alla Cinémathèque Française e articoli stesi per i “Cahiers du cinéma”. 

Proprio all’interno dei Cahiers si possono trovare delle citazioni che riassumono alla perfezione la concezione di questa nuova generazione, come ad esempio “la bellezza è lo splendore del vero”; o ancora “il cinema è uno sguardo ad ogni istante talmente nuovo sulle cose, da trafiggerle”

Così come i più giovani critici dei Cahiers forzavano l’idea di auteur fino alla provocazione, esaltando i registi che scrivevano le proprie sceneggiature per poi metterle in scena, tutti gli artisti che decisero di unirsi a questa corrente ritenevano che il cinema fosse, principalmente, un’opportunità per il regista di esprimere la propria visione del mondo. Il movimento si impose con quattro film usciti tra il 1958 e il 1960: Le beau Serge (1958) e I cugini (1958) di Claude Chabrol, I quattrocento colpi (1959) di François Truffaut  e Fino all’ultimo respiro (1960) di Jean-Luc Godard.

Le opere di questi giovani registi entrarono in contrapposizione con il cinema americano ricco di stereotipi tanto nei personaggi quanto nelle storie portate in scena, e seguirono l’esempio rivoluzionario del Quarto Potere di Orson Welles. 

«Appartengo a quella generazione di cineasti che hanno deciso di fare film dopo aver visto Quarto Potere.» – François Truffaut

Molti film della Nouvelle Vague, in risposta alle limitazioni finanziarie degli artisti, erano girati in ambienti reali e con attrezzature leggere, attori poco noti e con un budget minore rispetto alla media delle produzioni francesi classiche. 

Le tematiche più ricorrenti erano la diffidenza verso l’autorità, l’impegno politico e la presenza di una femme fatale. Le trame proponevano eventi apparentemente privi di rigida consequenzialità logica e finali spesso aperti (un esempio su tutti: l’ultima scena de I quattrocento colpi).

Gli esponenti della “Nouvelle Vague” furono i primi registi a riutilizzare i film del passato come un patrimonio culturale da studiare e riadattare alle nuove esigenze: se in Fino all’ultimo respiro (Godard, 1960) la protagonista sembra provenire da Buongiorno tristezza (Otto Preminger, 1958), ne I quattrocento colpi (Truffaut, 1959) il ragazzo ruba una foto di scena di Monica e il desiderio (Ingmar Bergman, 1952). Le citazioni in queste opere si sprecano, e spesso si riferivano anche ai colleghi dei “Cahiers du cinéma”: è il caso de I cugini (Chabrol, 1958) in cui un cliente trova un libro su Hitchcock scritto da Éric Rohmer e Claude Chabrol stesso. La coscienza del debito nei confronti del cinema del passato condurrà al cinema riflessivo degli anni Sessanta. 

Dal momento che i Cahiers, come detto, promuovevano un cinema personale come pura espressione della visione che il regista aveva del mondo, appare naturale che il movimento non si sia schematizzato in uno stile compatto e coerente

I PRINCIPALI ESPONENTI

Jean-Luc Godard e François Truffaut furono i due estremi opposti della Nouvelle Vague, ma anche i suoi principali esponenti. La differenza stilistica corrispondeva ad una differente visione della realtà e a un diverso ruolo socio-politico affidato al cinema.

François Truffaut fu segnato da un’infanzia travagliata: il padre biologico non lo riconobbe e il rapporto con la madre, così come quello con l’istituzione scolastica, fu complicato. Grazie alla nonna venne a contatto con l’arte ed in particolare con la letteratura, una passione che accompagnerà quella per il cinema per tutta la sua vita. La svolta nella sua carriera arrivò quando il famoso critico cinematografico André Bazin lo assunse come critico per una neonata rivista: i “Cahiers du cinéma”.

Definito da molti come “il becchino del cinema contemporaneo” per l’atteggiamento fortemente critico nei confronti della produzione cinematografica di allora, diede vita ad un cinema autobiografico in cui poter sfogare le proprie critiche nei confronti della società e del mondo che lo circondava. Nelle sue opere descriveva spesso il percorso esistenziale di un personaggio. Esemplare è il suo esordio I quattrocento colpi, film in cui racconta l’infanzia travagliata di un ragazzino che vorrebbe raggiungere un’infinità libertà (opera in cui le vicende autobiografiche del regista si uniscono alla finzione filmica).

L’obiettivo del suo cinema non era quello di stravolgere la produzione, ma di arricchire e rinnovare il cinema commerciale, attraverso una maggiore espressione personale.

Esattamente sul versante opposto troviamo Jean-Luc Godard. Anche lui si formò da autodidatta, attraverso la visione di molti film che gli permisero di conoscere le potenzialità del mezzo e di sperimentare con la macchina da presa. Si tratta dell’esponente più provocatorio della Nouvelle Vague, in quanto colui che aprì una insanabile spaccatura con il cinema tradizionale. Se i suoi primi film seguono trame piuttosto lineari, i successivi presentano una struttura sempre più frammentata. Da un punto di vista stilistico, utilizza spesso stacchi bruschi, riprese effettuate con la macchina a mano, fino a riprese con i soggetti decentrati e in cui la macchina da presa sembra muoversi da sola. Una delle sue innovazioni più imitate è l’impiego di inquadrature piatte, prive di profondità. Tutte queste caratteristiche sono presenti, ad esempio, in Fino all’ultimo respiro, considerato il film manifesto del movimento. 

Il cinema viene quindi considerato un mezzo per scrutare l’animo umano, ma anche per rappresentare la realtà quotidiana, una realtà fatta di dettagli ed eventi apparentemente insignificanti che spesso si trasformano in qualcosa di più, alimentando le angosce dell’essere umano. Il fine è quello di far riflettere gli spettatori, immergendoli in un mondo simile al proprio e mai idealizzato o distorto. Certamente, date le loro diverse visioni, il rapporto tra questi due grandi registi si incrinò fino a trasformarli, quasi, in nemici giurati. Ma questa è un’altra storia. A noi restano le loro opere meravigliose e i loro insegnamenti sul cinema e l’arte in generale, insegnamenti per i quali non possiamo che ringraziarli.

«Chiedo che un film esprima la gioia di fare cinema o l’angoscia di fare cinema, e mi disinteresso di tutto ciò che sta nel mezzo.» – Francois Truffaut

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Alessia Agosta, Redattrice