“Everything old is new again” recita l’insegna al neon simbolo di uno dei mercatini vintage più famosi di Milano e probabilmente non esiste modo migliore per cercare di descrivere e riassumere la corrente Neo-Western contemporanea che da qualche anno – ormai – sta incontrando un successo di critica e pubblico non indifferente. 

Facendo un passo indietro, con la definizione di Neo-Western si intende tutto quel filone cinematografico che si propone di portare nella contemporaneità i canoni, le tematiche e gli stilemi del genere classico per eccellenza, molto spesso ibridando il tutto con influenze provenienti da altri contesti cinematografici, prevalentemente noir, thriller e crime. 

É sufficiente pensare, infatti, al capostipite di questo movimento, ovvero Non è un Paese per Vecchi dei Fratelli Coen del 2007 (del quale trovate una nostra analisi in compagnia del grandissimo Adriano della Starza QUI),  per comprendere quanto ad oggi il Neo-Western sia uno dei sottogeneri più importanti e stilisticamente riconoscibili del panorama cinematografico contemporaneo, e di quanto si sia reso quindi appetibile per autori di prima fascia – come appunto i Coen – che trovano qui territorio fertile per affrontare tematiche mai banali, reinterpretando stilemi che arrivano direttamente dal classicismo delle grandi narrazioni del passato.

Proprio quest’ultima operazione è riscontrabile in film come Animali Notturni di Tom Ford (2016), il quale gioca sapientemente con l’alternanza tra la freddezza dell’algidissimo racconto principale – ovvero quello in cui il personaggio di Amy Adams legge il manoscritto dell’ex marito – e la messa in scena del romanzo stesso, che prende forma in un caldissimo e soffocante scenario Western di ambientazione Texana. 

Il regista, però, non si limita a riproporre un contesto visivo che rimandi alle origini, con grandi distese desertiche, strade polverose che si perdono nel nulla e cieli immensi che rubano lo sguardo, ma decide di portare alcune delle tematiche classiche del genere al centro della sua narrazione. Nella revenge story che viene messa in scena nel romanzo di Animali Notturni, infatti, affiora con prepotenza uno dei conflitti fondamentali del racconto Western, ovvero lo scontro infinito tra giustizia e vendetta personale: il personaggio di Jake Gyllenhaal, appunto, è un uomo alla ricerca degli assassini della moglie e della figlia, corroso dal senso di colpa per non essere stato abbastanza forte da proteggerle, il quale dopo aver constatato l’inefficienza della procedura istituzionale, si affida a uno sceriffo solitario (un Michael Shannon veramente troppo bravo per non essere citato)  per uccidere personalmente i criminali e trovare così la propria giustizia personale. 

Se questo tipo di discorso non è sicuramente originale, basti pensare al capolavoro di John Ford L’Uomo che uccise Liberty Valance in cui lo scontro tra individualismo e istituzione viene largamente approfondito, è altrettanto vero però che la scatola narrativa costruita da Tom Ford (con tanto di simpatica coincidenza di cognomi) riesce a mettere al centro questo conflitto concettuale in maniera molto efficace, mai sbandierata, trovando l’equilibrio perfetto tra narrazione thriller – in primo piano – e riflessione di stampo western a fare da contesto fondamentale nel quale si sviluppa l’intera pellicola. 

Laddove, però, autori come Tom Ford rielaborano in chiave contemporanea sia elementi tematici, che stilemi visivi, è altrettanto vero che il Neo Western si presta a reinterpretazioni che si distaccano maggiormente dall’immaginario iconografico del genere, per mantenere comunque al centro topoi classici fondamentali.

Basti pensare a film come Drive di N.W. Refn (2011) che si muove in un ambiente di stampo decisamente Neo-Noir, ma che sviluppa il proprio racconto attraverso espedienti narrativi e tematici tipicamente Western: la pellicola, ad esempio, si apre con una rapina in banca e con la conseguente fuga a rotta di collo in macchina – metamorfosi moderna del cavallo – guidata da un Ryan Gosling impassibile e glaciale, costantemente con lo stuzzicadenti in bocca, a cui manca veramente solo il cappello a falda larga per apparire come un cowboy moderno. 

Proprio il protagonista è rappresentazione di un altro elemento marcatamente western – in particolar modo quello all’italiana di Sergio Leone – ovvero il pistolero solitario, misterioso, che viene dal nulla. L’arco narrativo di Gosling si ispira chiaramente a quelli dei grandi caratteri classici: il suo personaggio si muove in un mondo estremamente violento ed è quindi costretto a essere altrettanto violento con il mondo; l’unico barlume di umanità e di speranza è rappresentato nell’amore, mai veramente concretizzato (Sentieri Selvaggi?) se non in quella bellissima scena del bacio in ascensore, che però egli non potrà mai veramente raggiungere perché trascinato nuovamente e irrimediabilmente nel vortice di violenza al quale, in fondo, appartiene. 

Pienamente consapevole dell’impossibilità di cambiare il proprio destino e la propria natura, all’eroe solitario non resta che affrontare l’ultimo grande duello e tornare poi nel nulla da cui era venuto (come un moderno Clint Eastwood) cavalcando l’automobile non più verso il tramonto, ma nella notte nera: immagini che cambiano nella forma, ma che continuano a suggerire una sostanza e una narrazione che affonda le proprie radici in una matrice indiscutibilmente western. 

Forma e contenuti classici, quindi, si mischiano molto spesso con linguaggi moderni e lontani dalla tradizione, come ad esempio in The Counselor (Ridley Scott, 2013), un bellissimo – e sottovalutatissimo – esperimento in cui immaginario e ambientazione western si mettono al servizio di una narrazione e di un contenuto marcatamente noir: ne sono un esempio l’uomo avido che si infila in un affare più grande di lui o la femme fatale contrapposta alla donna angelica e innocente, per non dimenticare il ruolo mortifero del denaro sulla scia di Non è un Paese per Vecchi, elemento non casuale visto che la sceneggiatura di The Counselor è scritta da Cormac McCarthy, autore del romanzo adattato successivamente dai Coen. 

Questa tendenza all’ibridazione con altre influenze rende il Neo-Western un ambiente estremamente malleabile e stimolante, che si presta a moltissime riflessioni sulla natura umana – e dunque su problematiche più intime – sia a discussioni metacinematografiche sul genere stesso. 

Basti pensare a film come I Segreti di Brokeback Mountain di Ang Lee (2005) per capire quanto questa corrente sia in grado di approfondire e scandagliare l’animo umano e le sue contraddizioni, riuscendo contemporaneamente a dipingere un affresco sociale sfaccettato (in questo caso anche abbastanza critico) e a decostruire il linguaggio cinematografico classico. In questo film, infatti, viene preso un grande topos della narrazione western come l’omosessualità latente e mai veramente concretizzata – declinata piuttosto in una forte e profonda amicizia virile – e viene messa al centro del racconto, esplicitando l’amore passionale tra due cowboy in un contesto moderno (il film si ambienta tra gli anni ’60 e ’80), ma che rimanda inevitabilmente e si collega per sillogismo a quello delle grandi pellicole del passato. 

Mescolando sapientemente melò e Western, Ang Lee riesce a costruire un racconto profondamente intimo e umano sull’accettazione di sé stessi, ben più importante dell’accettazione sociale, che smaschera e smonta la leggenda del grande uomo virile e violento tipica del genere, riflesso di una società maschilista e ottusa (come ha fatto anche Jane Campion con il suo Il Potere del Cane), utilizzando proprio gli elementi fondanti di questo linguaggio cinematografico. 

Appare chiaro, dunque, alla fine di questa breve – e sicuramente non pienamente esaustiva – analisi, come il Neo Western sia a tutti gli effetti uno dei generi più importanti degli ultimi vent’anni, simbolo di un Cinema che spinge per reinventarsi, analizzando le proprie radici, decostruendole e riportandole in una contemporaneità ormai profondamente mutata rispetto a quella a cui i grandi capolavori classici si rivolgevano. 

Un filone sicuramente da scoprire – o da riscoprire per i meno avvezzi – capace di confrontarsi con l’intero spettro delle tematiche più alte, dalla politica all’amore, passando per la solitudine e la violenza; un cinema per tutti i palati che raramente delude lo spettatore.

Questo articolo è stato scritto da:

Alessandro Catana, Caporedattore