Negli anni Cinquanta il nostro Paese stava affrontando i gravi problemi lasciati in eredità dalla Seconda guerra mondiale, era economicamente distrutto e colmo di tensioni politiche.
Fu proprio in questi anni, tra il 1945 e il 1954, che prese vita il Neorealismo. Si trattava di un movimento non molto compatto e che non apprezzava il cinema di finzione: i suoi maggiori esponenti erano infatti convinti che il cinema dovesse mostrare e far conoscere la realtà che li circondava.
Durante il declino del regime fascista il cinema volle definitivamente rompere con il passato, ed fu così che nei primi anni Quaranta nacquero i primi film che mostravano delle tendenze realiste: 4 passi tra le nuvole (Alessandro Blasetti, 1942), Ossessione (Luchino Visconti, 1943), I bambini ci guardano (Vittorio De Sica, 1944).
NOVITÀ STILISTICHE
Al tempo cinema italiano si distingueva in Europa grazie alle sue grandiose scenografie ricostruite a Cinecittà, ma nel dopoguerra gli studi avevano subito grandi danni e si erano trasformati in rifugio per gli sfollati. Pertanto, non erano più in grado di ospitare grandi produzioni e i registi furono costretti a spostarsi nelle strade.
Il nuovo movimento neorealista non proponeva un manifesto, ma solamente la propensione verso un maggiore realismo e un’enfasi sulle vicende contemporanee.
L’attenzione era rivolta in particolare alle classi operaie, con l’obiettivo di raccontare le loro vicende quotidiane con la massima fedeltà. Interessanti furono le innovazioni tecniche che il movimento introdusse: la maggior parte delle riprese veniva girata all’esterno e spesso con degli attori non professionisti, e le inquadrature erano volutamente sporche. In realtà le pellicole che rispettano tutti questi principi sono poche, poiché alcuni film facevano uso del doppiaggio (per esempio la voce del protagonista di Ladri di biciclette era di un altro attore), e altri venivano girati in set ricostruiti in studio (come in Roma città aperta, le cui scene all’interno vennero improvvisate in un vecchio teatro). Infine, piuttosto che utilizzare solo attori non protagonisti, si preferiva utilizzare ciò che André Bazin definì “la tecnica dell’amalgama”: mescolare attori non professionisti ai grandi divi dell’epoca, quali Anna Magnani e Aldo Fabrizi.
Ladri di biciclette (1948)
Dal punto di vista narrativo, la novità era proprio l’analisi della storia contemporanea allo spettatore, in particolare delle realtà più umili. Per imitare l’andamento della vita reale, nei film neorealisti il racconto spesso veniva mandato avanti grazie alle coincidenze e agli incontri casuali. Rifiutando i concatenamenti logici, questi film risultavano il più delle volte ellittici e non mostravano i nessi causali degli eventi. Infine, spesso, i finali erano volutamente irrisolti. Il risultato sono quindi dei film che mettono in scena il reale in ogni sua sfumatura, ma in cui tutti gli eventi hanno la stessa importanza: è compito dello spettatore distinguere le “scene madri” dai momenti ordinari.
I SUOI ESPONENTI
Il movimento vanta autorevoli cineasti come esponenti, tra cui Luchino Visconti con La terra trema (1948), Roberto Rossellini con Roma città aperta (1945), Paisà (1946) e Germania anno zero (1947), Vittorio De Sica con Ladri di biciclette (1948), Miracolo a Milano (1950) e Umberto D. (1951), e Giuseppe De Santis con Riso amaro (1949).
Tra le figure più rilevanti dell’epoca ritroviamo anche lo scrittore e giornalista Cesare Zavattini, che scrisse diverse sceneggiature proprio in quegli anni. In particolare collaborò con Vittorio De Sica in Ladri di biciclette, Umberto D. e Miracolo a Milano. Quest’ultimo film, che racconta l’Italia della ricostruzione attraverso un filtro favolistico e sembra apparentemente in contrasto con le opere neorealiste precedenti, in realtà traduce la volontà di lasciarsi le sofferenze belliche alle spalle e ricominciare a vivere.
Come già detto, il movimento Neorealista non è codificato. Infatti, sebbene i cineasti fossero uniti dalla volontà di raccontare eventi della storia recente, spesso si approcciavano al soggetto in maniera diversa. Pensiamo a Roberto Rossellini e Luchino Visconti, due registi coetanei che esordirono professionalmente durante il fascismo.
Ossessione (1943)
Il termine ‘Neorealismo’ venne utilizzato per la prima volta proprio in riferimento a Ossessione di Luchino Visconti (1943). Essendo un regista teatrale, nei suoi film includeva sfarzose scenografie e costumi, e una marcata recitazione. Visconti inoltre ricorreva spesso a riprese ricche di zoom e panoramiche.
Rossellini utilizzava invece uno stile volutamente antispettacolare. Il suo film più celebre è senza dubbio Roma città aperta (1945), considerato il manifesto Neorealista che permise al movimento di raggiungere una notorietà internazionale. Nei successivi film, Paisà (1946) e Germania anno zero (1947), utilizzò attori non professionisti che riprese semplicemente posizionando una cinepresa al centro della piazza. Gli attori utilizzano il dialetto e indossano abiti molto semplici. L’obiettivo del regista era quello di riportare all’attenzione della società, che ai suoi occhi era in disfacimento, i valori fondamentali dell’umanità: l’attenzione verso il prossimo e la conoscenza di sè stessi. Il suo stile, che si caratterizza per la commistione di toni, ellissi, narrazione episodica e finali aperti, lo condurrà verso il cinema moderno.
FINE DEL MOVIMENTO
Nel 1948 la “primavera italiana” si concluse con la sconfitta alle elezioni di sinistra, l’Italia era finalmente libera dal nazifascismo ed era impegnata nella ricostruzione. Molti film neorealisti vennero condannati dalla Chiesa cattolica e non apprezzati poiché pessimisti: il ritratto di un Paese desolato e povero contrastava infatti con la volontà di un’Italia ansiosa di dimostrare la propria ripresa. Nel 1949, la Legge Andreotti fissò i criteri necessari per fornire prestiti alle case di produzione: era necessario che una commissione statale approvasse la sceneggiatura e se un film “diffamava l’Italia” poteva essere negata la licenza di esportazione. Di conseguenza diverse pellicole, tra cui Ladri di biciclette, vennero censurate.
Il Neorealismo ‘puro’ si esaurì dopo il 1948. Il pubblico era stanco di vedere povertà e miseria, così a dominare gli schermi degli anni Cinquanta fu il Neorealismo rosa: commedie d’amore che talvolta ricorrevano ad ambientazioni autentiche e ad attori non professionisti, come in Pane, amore e fantasia (Luigi Comencini, 1953). Seguirono le commedie all’italiana di Vittorio Gassman, Vittorio De Sica, Totò, Alberto Sordi e molti altri. Iniziò ad emergere una nuova generazione di artisti, gli studi di Cinecittà furono finalmente rimessi in funzione e il cinema italiano si riaprì al mercato internazionale.
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In realtà, tendo a farmi prendere dal panico