Nella sua carriera da regista, Kenneth Branagh si è occupato di tante cose, secondo uno schema abbastanza fisso che alterna grossi prodotti per il grande pubblico a progetti più intimi e ristretti. A metà anni ‘90, tra il blockbuster Frankenstein di Mary Shelley e la monumentale trasposizione integrale di Hamlet, il cineasta shakespeariano girò un piccolo film oggi poco noto, una commedia agrodolce intitolata Nel bel mezzo di un gelido inverno.
Tis bitter cold
Joe, attore depresso e disoccupato, ottiene un prestito per realizzare un’impresa professionalmente audace e sconsigliatissima dalla sua agente: radunare un gruppo di “affamati di teatro” per mettere in scena uno spettacolo radicale. La location sarà una chiesa sconsacrata in un villaggio sperduto della campagna inglese, la data la vigilia di Natale. Nella compagnia teatrale che si viene a creare sono tutti chi più chi meno attori disadattati e disoccupati, ma nel progressivo formularsi dello spettacolo teatrale ciascuno ritroverà la propria strada, a fronte delle difficoltà economiche e a discapito delle adulatorie ambizioni hollywoodiane.
Altalenando tra retorica sul mondo del teatro, mai stucchevole, esistenzialismo, dramma e commedia, il film è il racconto del work in progress di un prodotto teatrale, per definizione tanto ispirato quanto poco remunerativo. Ci sono scene divertenti e momenti pensosi, con protagonista la scalcinata troupe: un attore-impresario squattrinato, un vecchio trombone, una drag allontanata dalla famiglia, un ubriacone insicuro, una ragazza vedova e fragile, quello che se la crede, e una scenografa bislacca con i capezzoli particolarmente sensibili.
Nelle loro singolarità, i protagonisti (nessun attore famoso) sono un catalogo di umanità alla ricerca del senso della vita. «Why the show must go on?» domanda una canzoncina che intercala le sequenze: il teatro è la vita e la vita è il teatro, secondo la filosofia del film. Allora perché raccontarlo al cinema? Perché i suoi codici espressivi, montaggio e fotografia, sono in grado di esaltare il messaggio portato, e perché Kenneth Branagh è l’intermediario tra i due mondi.
This above all: to thine own self be true
Il protagonista Joe non è probabilmente un alter ego di Branagh, eppure eredita inevitabilmente dal suo demiurgo pensieri, movenze e carattere. È perciò nobile, da parte del regista-autore, la decisione di mettersi da parte: per la primissima volta nella sua carriera, Sir Ken non recitò in un film da lui diretto. Così imprime la sua visione dall’esterno, attraverso un montaggio serrato e sempre più rapido, inquadrature inafferrabili, e uno splendido bianco e nero che enfatizza l’intimità del film.
Quell’aspetto monocromatico racconta la storia di un altrove, un fascinoso silverscreen della memoria personale (vedi Belfast), della costruzione sentimentale ancor prima che narrativa. Il titolo originale In the Bleak Midwinter proviene da una vecchia pastorale inglese sul Natale, e infatti alla vigilia viene rappresentato il famigerato allestimento in una chiesa sconsacrata, dove Joe si fa confessore laico delle più disparate e divertenti miserie umane.
Lo spettacolo in scena non può essere un’opera qualunque, ma è proprio Amleto, il più difficile e spaventoso tra i testi del repertorio teatrale inglese. “Deadly” lo chiamerebbe Peter Brook (regista e eminente autore di critica shakespeariana), ossia morto e mortalmente noioso, se inscenato secondo gli schemi della tradizione, sinonimo di finzione ostentata. Ecco perché la fame di teatro e la ricerca del sentimento individuale professata da Joe saranno la ricetta per il successo dello spettacolo e per la rivincita personale di ciascuno degli interpreti.
That is the question
Amleto rappresenta tutto: umanità, dubbio, lutto, amore sfiorito, conflitto padre-figlio, proposito slegato dall’azione, indugiare, teatro nel teatro, battaglia, scontro interiore. A Natale sarebbe stata meglio una commedia: così rimproverano Joe i suoi colleghi. Ma non poteva che essere Amleto, proprio perché è il racconto teatrale universale e la sfida massima di ciascun attore. E di ciascun regista.
Branagh, dal canto suo, resta fuori dalle scene per poter lavorare da regista su quello spazio vuoto, la scenografia non fatta dalla scenografa al centro di una chiesa sconsacrata. Lì nel vuoto dell’empty space il regista induce gli attori ad agire per animare il testo, rendere vivo il palcoscenico, instaurare una relazione generativa tra scena e spettatori. E infatti è ciò che avviene nel finale, quando si stabiliscono e ristabiliscono legami perduti grazie alla potenza del teatro.
Amleto è il veicolo di un racconto personale ma condiviso da chiunque abbia conosciuto un poco di teatro: le insicurezze dell’attore, l’impresa senza soldi, uno spettacolo di Natale atipico, il panico prima della prima. La compagnia che partiva tanto svantaggiata riesce nell’impresa, Joe e tutti gli altri si riscattano: avere successo nel teatro per loro è riuscire nella vita. Ecco perché the show must go on: è mandare avanti la vita comunque vada. Quello che manifesta è esattamente quello che è: con le parole di Shakespeare, «The play is the thing».
Nel bel mezzo di un gelido inverno è disponibile su YouTube in italiano: https://youtu.be/s_gEEA5EFRQ.

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