Il capolavoro di David Lynch torna al cinema restaurato in 4K dal 15 al 17 novembre 2021. Qui trovate l’elenco di tutte le sale in cui verrà proiettato.

Intervistatore“Ci ha parlato più volte dell’idea da cui nascono i suoi film. Qual è l’idea che sta alla base di Mulholland Drive?”

David Lynch“Una delle cose più belle del genere umano è che possediamo l’intuito. È una facoltà in cui il cinema non crede più. Spendiamo molto tempo a spiegare le cose, ma non ce n’è bisogno: Mulholland Drive è lì sullo schermo e può essere compreso facilmente da te, anche se potrebbe essere diverso da quello che ho capito io. Faccio sempre un esempio per spiegare questa cosa: pensiamo ai registi o agli scrittori morti; non possiamo più resuscitarli e chiedere loro cosa volessero dire. Ci resta solo il loro lavoro. E il loro lavoro è perfetto così com’è perché gli autori lo hanno creato così. Non ha bisogno che vi si sottragga o aggiunga nient’altro.”

(da David Lynch in conversazione con Mario Sesti)

Mulholland Drive (2001) di David Lynch, possiamo affermarlo senza alcun indugio, è una delle opere cinematografiche più importanti degli anni Duemila: nel 2016 un sondaggio della BBC, compiuto consultando centosettantasette critici cinematografici da trentasei paesi, lo ha addirittura posto in cima alla classifica dei migliori film del 21° secolo. Infiniti articoli, recensioni e saggi sono stati scritti a proposito di questa leggendaria pellicola, nel tentativo di analizzarla e dissezionarla, di individuarne il cuore pulsante. Eppure il suo autore rifiuta (non vuole? non sa?) di esprimersi a questo proposito: è consapevole che se la “verità” venisse rivelata il sogno che  Mulholland Drive rappresenta verrebbe meno. Si è limitato a rilasciare le celebri “dieci domande” (è possibile leggerle su Wikipedia), le cui risposte consentirebbero di comprendere la pellicola, e un’enigmatica sinossi del film: “Parte prima: lei si ritrova dentro un mistero perfetto. Parte seconda: una triste illusione. Parte terza: amore.” La trama, spiegata in maniera meno ermetica, è pressoché questa: a Los Angeles, sulla Mulholland Drive, si verifica un violento incidente d’auto, in cui sopravvive solo la bruna Rita (Laura Harring), che si rifugia nella casa della bionda Betty (Naomi Watts), una giovane aspirante attrice appena giunta nella metropoli californiana. La prima non ricorda nulla, la seconda tenta di aiutarla a ritrovare la propria identità. Le due donne diventano amiche, poi amanti, infine nemiche. Intorno a loro il regista Adam Kesher (Justin Theroux) è alle prese con la realizzazione di un film, per il quale i produttori vogliono imporre come protagonista la sconosciuta Camilla Rhodes. Intanto un killer imbranato effettua un omicidio, e una scatoletta blu e un assurdo club notturno chiamato Silencio divengono la chiave di volta dell’intero universo narrativo. 

Ma dunque, partiamo dal principio. Mulholland Drive non nacque come un film. Doveva essere l’episodio pilota di una serie televisiva per la ABC, mai realizzata. L’emittente infatti abbandonò il progetto, intimorita da una trama davvero troppo fumosa e complessa. Circa un anno dopo, il produttore francese Pierre Edelman di StudioCanal visionò il girato e si dichiarò disposto a produrre un lungometraggio. Lynch, a quel punto, si trovò obbligato a trasformare il copione del pilota in quello di un film vero e proprio. Opera già di per sé molto ardua, resa ancor più complessa dal fatto che, come afferma Lynch, “mi stavo rendendo conto che non avevo proprio nessuna idea su come concludere il film”. Infatti “un episodio pilota è una creatura particolare. Non è un lungometraggio. Anzi, va contro le regole del lungometraggio, perché fa iniziare delle cose ma non le porta a termine.” Lynch si rese conto che per Mulholland Drive egli aveva diversi filoni narrativi aperti e non autosufficienti. Serviva un’idea che potesse legarli, un trucco. Anche se a questo proposito le dichiarazioni del regista si interrompono qui, è possibile rintracciare quest’ultimo nel famoso Nastro di Möbius

Esso è, in matematica, una superficie non orientabile, e potrebbe costituire una sorta di formulazione visiva della struttura narrativa di Mulholland Drive. Il film, infatti, per i primi due terzi appare tutto sommato lineare, mentre nell’ultima parte, con il passaggio all’interno della “scatola blu”, tutto quanto viene invertito; esattamente come, ipotizzando di poter percorrere a piedi il Nastro, si finirebbe per tornare al punto di partenza, ma girati al contrario. Così facendo, non solo Lynch riesce a trovare la tanto sospirata chiusa per il suo film, ma porta a compimento la sperimentazione narrativa già iniziata con Strade perdute, dando vita ad uno dei più mirabolanti e irrisolti enigmi cinematografici

Ma Mulholland Drive non è solo questo: è un caleidoscopio in cui l’ambientazione iperrealista, la satira grottesca (una Hollywood così bizzarra, ridicola e deforme non si era mai vista) e l’inquietudine diffusa in ogni singolo fotogramma si fondono alla perfezione. Raramente, forse mai, il mondo è apparso così terrificante nella sua quotidianità. La telecamera di Lynch e del direttore della fotografia Peter Deming fluttua, in un perenne ondeggiamento, percorrendo corridoi, vialetti, o addirittura grandi boulevard losangelini, in un’estremizzazione dei moduli stilistici ed espressivi del cinema, portati alle massime conseguenze. Ogni movimento di macchina riesce a trasmettere un terrore indecifrabile. È cinema nella sua essenza, che comunica utilizzando solo ciò che gli è proprio: l’immagine e il sonoro (la colonna sonora di Angelo Badalamenti, ancora una volta, è da annali). Los Angeles è dipinta come la città del mistero, dell’opportunità e del fallimento, è guardata con profonda fascinazione e paura, osservata con il timore e l’affetto di chi ci vive. 

Ancora: Lynch dimostra la sua tipica abilità nel creare tensione attraverso il dialogo incongruente ed ermetico. Come nel Teatro dell’Assurdo, le domande che vengono poste non corrispondono, a livello logico, alle risposte che vengono fornite. Esemplare in questo senso è l’indimenticabile scena dell’incontro notturno con il Cowboy, in cui il regista-sceneggiatore riesce, annullando la colonna sonora e raffreddando le immagini, a comunicare angoscia solo attraverso un dialogo formalmente innocuo. 

Anche la musica e il canto, come in tanti film di Lynch, sono protagonisti in Mulholland Drive, e ancora una volta suscitano nei personaggi una reazione fortissima: le lacrime. Nella sequenza ambientata nel Club Silencio, che non a caso rimescola le carte della narrazione, le due protagoniste del film – all’udire la canzone Llorando, versione spagnola del brano Crying di Roy Orbison – scoppiano a piangere, come Jeffrey e Frank in Velluto blu e come Laura Palmer in Fuoco cammina con me, e forse intuiscono qualcosa, sentono che sta succedendo qualcosa, che tutto sta per cambiare. Il canto nel cinema di Lynch pare essere il segno dell’ingresso in un universo altro (non a caso i cantanti nei film del regista sono sempre posti di fronte a tende rosse, che in Twin Peaks conducono alla Loggia Nera e che in genere paiono aprire a dimensioni soprannaturali) e le lacrime rappresentano il crollo delle certezze, la definitiva assunzione di consapevolezza che il proprio mondo non è ciò che sembra.

Il canto suscita il pianto in Velluto blu (1986), Fuoco cammina con me (1992) e Mulholland Drive (2001)

Al di là di tutto ciò, però, Mulholland Drive è il racconto di una bellissima storia d’amore tra due donne opposte: una mora, l’altra bionda, una imponente, l’altra mingherlina. Per questo motivo non pare insensato affermare che il punto focale della pellicola sia una scena d’amore saffico, tra le più belle mai viste al cinema, in cui le due protagoniste si innamorano o forse semplicemente ricordano (o sognano?) quanto sia stato bello innamorarsi. Non sapremo mai infatti se questa storia d’amore sia al suo inizio o alla sua fine, ma d’altra parte, come dice Lynch: “Penso che [gli spettatori, ndr] sappiano già da soli di cosa si parla. Penso che l’intuizione – il detective che è dentro ogni essere umano – ricomponga gli elementi in modo che abbiano senso per noi. Dicono che l’intuizione renda possibile la conoscenza interiore, ma una particolarità della conoscenza interiore è che è davvero difficile da comunicare verbalmente agli altri. Non appena ci provi, ti rendi conto che ti mancano le parole, che non saresti in grado di spiegarla ad un amico. Eppure è dentro di te. […] Penso che gli spettatori sappiano che cosa significa Mulholland Drive per loro, ma non si fidano del proprio giudizio. Vogliono che glielo dica qualcun altro. A me fa piacere che lo analizzino, ma non hanno bisogno del mio aiuto. È questo il bello: trovare un senso come farebbe un investigatore. Dirglielo significherebbe privarli del piacere di pensare e di «sentire», e di giungere a una conclusione.”

Questo articolo è stato scritto da:

Jacopo Barbero, Vicedirettore