Risale all’8 Aprile 1991 la messa in onda della prima puntata di Twin Peaks, pietra miliare delle serie tv che portò il già famoso David Lynch dal grande schermo direttamente dentro ai televisori a tubo catodico presenti in ogni abitazione. Il cadavere di Laura Palmer ed il mistero del suo omicidio, l’indagine dell’agente dell’FBI Dale Cooper e la scoperta, episodio dopo episodio, di personaggi sfaccettati e dei segreti che ognuno di loro cercava di nascondere, ebbe l’effetto di un fulmine a ciel sereno: era nato un nuovo modo di fare televisione. Non avremmo avuto X Files, Lost, Fargo, True Detective, I Soprano, Breaking Bad, Gravity Falls – e la lista potrebbe andare avanti ancora a lungo – se questa serie non avesse avuto il coraggio di mescolare assieme le atmosfere tipiche del cinema dell’orrore con una pletora di personaggi bizzarri e quasi grotteschi inserendoli in una struttura narrativa non più autoconclusiva, bensì dilatata di episodio in episodio – quella che sarebbe poi stata denominata in futuro come trama orizzontale – ed inserendo inoltre numerosi plot twist e colpi di scena.
Tre anni dopo – il 19 Settembre 1994 – avvenne invece la messa in onda di E.R. – Medici in prima linea, che rappresentò un altro fondamentale tassello della storia delle produzioni televisive. È infatti con la serie nata dall’idea dello scrittore Michael Crichton che si sdogana un genere caratterizzato da una precisa terminologia medica, casi clinici particolarmente articolati e un team di medici e dottori a cui lo spettatore non può non affezionarsi, genere che sarebbe poi rimasto costantemente in vita anche dopo la fine della serie grazie a produzioni come Dr. House – Medical Division, Scrubs, Grey’s Anatomy, The Good Doctor – ed anche qui la lista sarebbe ancora molto lunga – con alcuni di queste produzioni che ancora oggi vanno in onda sulle varie reti televisive.
Sono passati 31 anni da Twin Peaks e 28 da E.R. e si può decisamente affermare senza alcun dubbio di come narrare una storia dilatandola attraverso diversi episodi sia stata decisamente una mossa apprezzata e di successo, tanto da ritrovarci, ai giorni nostri, quasi quotidianamente con un nuovo prodotto originale da guardare o con l’episodio settimanale di una serie già iniziata da recuperare. Possiamo inoltre affermare che tra il miasma di prodotti televisivi si trovano diversi nomi (oltre i due già citati) che “hanno fatto la storia delle serie tv”: prodotti di ottima fattura, usciti nel momento perfetto e che furono capaci di mostrare al pubblico proprio ciò di cui esso aveva bisogno. Tra questi nomi dovrebbe senza dubbio spiccare Mr. Robot, la serie creata da Sam Esmail e incettatrice di premi tra cui Emmy, Golden Globe, Satellite Award, Screen Actors Guild Award e Critics’ Choice Television Award. Se girovagando sul web o parlando con amici vi dovesse capitare di parlare di Breaking Bad o di Game of Thrones c’è una probabilità molto alta che (quasi) tutti l’abbiano vista, diversamente invece da quando si nomina Mr. Robot finendo per ritrovarsi davanti ad una risposta generalmente assimilabile con “la conosco, ce l’ho in lista ma non so quando la guarderò”. Ecco quindi lo scopo di questo articolo: cercare, argomentando il discorso in quattro punti, di convincervi a scorrere nella vostra lista fino alla copertina di questa serie per poterla finalmente cominciare.
REGIA.MOV
Campi lunghi, lunghissimi a volte, susseguiti da primi piani estremamente ravvicinati ai volti di attori che non si trovano però mai al centro dell’inquadratura ma che occupano soltanto la parte destra lasciando un enorme spazio a sinistra o viceversa. Il tutto ripreso da una macchina da presa immobile, fissa, quasi statuaria e che sarà solo con il lento avanzare delle vicende che troverà la forza per muoversi prima a piccoli passi e poi correndo senza più fermarsi, arrivando addirittura allo strabiliante episodio 5 della terza stagione girato in un unico piano sequenza al cardiopalma. Una scelta artistica ed un processo creativo e di crescita continua che dimostra la bravura del regista Sam Esmail nel raccontare una storia – di cui è anche sceneggiatore – prima di tutto per immagini, con uno stile decisamente unico ed atipico che non può non essere amato dallo spettatore, che si ritroverà senz’altro a riconoscere ovunque qualunque frame di qualsiasi episodio della serie proprio grazie all’unicità che li contraddistingue.
Nella prima stagione Esmail è stato affiancato anche da diversi altri registi, tra cui Niels Arden Oplev – già regista di Uomini che odiano le donne (2009) – che si è occupato della realizzazione del pilot e Deborah Chow, famosa nell’ultimo periodo per aver lavorato a diverse produzioni Disney+ in ambito Star Wars, che però finiscono per lasciare quasi subito il progetto già dalla seconda stagione. Assieme alla regia, non si può poi non nominare la fotografia che, ad esclusione del primo episodio in cui è a cura di Tim Ives il quale mette in scena una struttura più classica, vede in Tod Campbell il principale fautore di un complesso stravolgimento delle regole, con una gestione di linea dello sguardo, aria sopra i personaggi e regola dei terzi al di fuori dell’ordinario.
INTRECCIO_NARRATIVO.DOC
Se “inusuale” è il termine che si potrebbe usare per descrivere il “come” ci viene mostrato il tutto, decisamente più complicato risulterebbe racchiudere in una sola parola il “cosa” di cui la serie vuole parlarci. Il protagonista delle vicende è Elliot Alderson (Rami Malek), giovane affetto da problemi psicologici e dipendente dalla morfina, lavoratore di giorno come tecnico informatico presso l’azienda di sicurezza informatica Allsafe Security ed hacker vigilante di notte. Elliot si ritroverà però ben presto invischiato in una pericolosa missione, collaborando con il misterioso gruppo di hacker denominato fsociety capitanato dal losco Mr. Robot (Christian Slater), il cui scopo è quello di portare a termine una vera rivoluzione che permetterà di distruggere la multinazionale E Corp, liberando il popolo dai debiti contratti.
Oltre alla palese somiglianza di cognome tra il protagonista della serie e il Thomas Anderson di Keanu Reeves protagonista del cult Matrix (1999, Sorelle Wachowski) risulta fin da subito chiaro come nessun nome sia lasciato al caso, con la malvagia corporazione da subito rinominata da Elliot come “Evil Corp” (“azienda malvagia”) mentre la fsociety può essere facilmente traducibile con un “Fu*k the society” (“fan*ulo la società”), concetti alla base semplici che verranno poi sviscerati con il procedere delle vicende permettendo così a numerosi personaggi di entrare nel vivo del racconto, come l’ambizioso e presuntuoso dirigente della E Corp Tyrell Wellick (Martin Wallström), la giovane hacker Darlene (Carly Chaikin), l’amica d’infanzia di Elliot Angela Moss (Portia Doubleday) fino ai ben più criptici ed inquietanti Whiterose (BD Wong), Fernando Vera (Elliot Villar) o Irving (Bobby Cannavale)..
Nel complesso questo prodotto segue un modello riconducibile proprio al capostipite della serialità televisiva Twin Peaks, con una narrazione che permette di avvicinare sempre più lo spettatore ai personaggi – grazie ad una scrittura di ottima fattura – ed immergendolo a pieno in vicende ricche di segreti ed intrecci che vengono lentamente svelati minuto per minuto. Risulta difficile proseguire con ulteriori approfondimenti senza rischiare di incappare in qualche spoiler, anche minore, che finirebbe inevitabilmente per minare l’esperienza dello spettatore nei confronti di una serie che fa dei twist e dei colpi di scena un elemento fondamentale del racconto, fattori che Sam Esmail ed il suo team di sceneggiatori sono riusciti ad inserire in maniera sempre intelligente, mai scontata ma soprattutto senza mai inciampare nella creazione di errori di continuità o forzature di trama, come spesso invece si è visto poi accadere in altre grandi produzioni.
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Come per il punto sopra, trattare questo argomento senza andare troppo a fondo risulta complicato ma al tempo stesso doveroso in quanto le tematiche sociali trattate dalla serie sono proprio ciò che eleva questo prodotto dall’essere semplice intrattenimento, riuscendo a trasmettere episodio dopo episodio forti emozioni e portando così lo spettatore a riflessioni a dir poco profonde. Nell’ambito della società più in generale la discussione politica si prende senz’altro un posto centrale del racconto, con riflessioni sullo sfruttamento personale e lavorativo, sulle classi sociali e sulle rivoluzioni, per poi allargarsi su tematiche legate ovviamente alla tecnologia, all’iperconnessione tra gli individui e alla volontà di digitalizzare quante più cose possibili (con una riflessione sulle criptovalute presentata in anticipo di qualche anno rispetto alla loro effettiva esplosione nel mondo reale) ma senza comunque dimenticare ciò che invece riguarda l’uomo in quanto tale ed il suo relazionarsi con gli altri, con episodi interi che ruotano attorno a temi come razzismo, stress post traumatico, depressione, tossicodipendenza, disturbo d’ansia sociale passando poi ad un interessante modo di mostrare i rapporti omosessuali e gli orientamenti sessuali di alcuni personaggi fino alla riflessione sulle conseguenze di comportamenti violenti sulle persone ed in particolare sui minori. Tutti elementi che, come detto sopra, rendono senz’altro la serie doverosa di essere visionata, soprattutto contestualizzandola in un periodo d’uscita che va dal 2015 al 2019, di certo non così lontano da noi ma che la pone comunque come uno dei prodotti più visionari della nostra epoca.
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L’ultimo punto di questa rassegna -non certo per importanza- riguarda la scelta di casting della serie che, senza troppi giri di parole, risulta una delle migliori viste in un prodotto seriale negli ultimi anni. Rami Malek, nei panni del protagonista, porta sul piccolo schermo una delle interpretazioni migliori nella sua -ancora breve- carriera – che infatti gli vale nel 2016 la vittoria di ben due statuette ed altrettante candidature come miglior attore protagonista – riuscendo nel tutt’altro che semplice ruolo di portare in scena un personaggio distrutto, spezzato, pieno di problemi – e che poteva perciò facilmente scadere nella banalità – in maniera invece sempre brillante ed azzeccata, equilibrata e mai eccessiva, accompagnato nel difficile compito dal compagno di avventure Christian Slater, perfetto per il ruolo di comprimario/mentore Mr. Robot e che si dimostra capace di dare vita ad un personaggio ricco di sfumature, abile a spiccare ma senza mai rubare la scena al vero fulcro del racconto. Passando poi ai personaggi femminili, Carly Chaikin, Portia Doubleday, Grace Gummer e Stephanie Corneliussen mettono in scena un quartetto di donne decisamente diverse tra loro, con caratteri, stili di vita, comportamenti e obiettivi anche molto diversi ma che nel complesso riescono a creare un quadro completo della figura femminile in tutte le sue sfumature, con un plauso particolare alla Chaikin che con la sua Darlene – ignobilmente snobbata da qualsiasi candidatura – riesce a tenere testa alla bravura di Malek, giocandosi il ruolo di miglior personaggio principale della serie.
Si potrebbe poi andare avanti ancora a lungo poiché ogni nome nella lunga lista del cast presenta un’interpretazione di altissimo livello ma, onde evitare di ammorbare eccessivamente la lettura con un’infinita sequela di nomi ed elogi, ci limitiamo a nominarne soltanto un altro: BD Wong, interprete del misterioso Whiterose. Il suo personaggio passa dall’essere una comparsa agli inizi della serie per poi diventare sempre più centrale, permettendo così all’attore di origini cinesi di mettersi in gioco in un ruolo tutt’altro che convenzionale, dimostrando la sua immensa bravura valsagli anche una candidatura come migliore guest star in una serie drammatica ai Critic’s Choice Television Award. In conclusione, risulta poi doveroso spendere qualche parola lodando l’operato di Beth Bowling, Kim Miscia, Michael Rios e Susie Farris ovvero gli addetti al casting e senza i quali non avremmo mai avuto il piacere di godere di queste spettacolari interpretazioni.
CONCLUSIONI.DAT
Molto altro si potrebbe aggiungere, con una quantità di materiale presente nella serie tale da scrivere una serie di corposi saggi, ma speriamo che quanto detto in questo articolo – per quanto superficiale e limitato – sia stato abbastanza per convincervi ad iniziare una serie che merita decisamente più attenzione di quanta ne conti al momento, trattandosi a tutti gli effetti di uno dei prodotti seriali migliori degli ultimi anni e che finirà senz’altro per lasciarvi molto, togliendovi solo il peso di qualche lacrima di commozione.
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