Il cinema di Hou Hsiao-hsien
Presentato in concorso al Festival di Cannes 2001, Millennium Mambo (Qianxi Manbo) è probabilmente il film più celebre di Hou Hsiao-hsien (1947-), protagonista indiscusso della Nouvelle Vague taiwanese insieme al compianto Edward Yang. Nel corso della sua lunga carriera, Hou è stato tra i più lucidi cantori della storia di Taiwan, che ha spesso posto sullo sfondo di racconti dal tono autobiografico (A Time to Live, A Time to Die, 1985) e grandi saghe famigliari (Città dolente, 1989, Leone d’Oro a Venezia). Millennium Mambo, differentemente da molti film precedenti di Hou, si ambienta nel presente, ma non rinuncia a riflettere sulle condizioni di Taiwan e dell’intera Asia orientale all’alba del nuovo millennio, pur facendolo in maniera completamente implicita: se in passato i riferimenti alla storia nei film di Hou erano espliciti, qui sono piuttosto le emozioni e i sentimenti a evocare paralleli storici. I personaggi e le loro relazioni paiono divenire correlativi oggettivi dello spirito del tempo e di ciò che esso porta con sé.
Un mambo di inizio millennio
Millennium Mambo narra la vicenda di Vicky (interpretata da Shu Qi, alla sua prima collaborazione con il regista: avrebbero poi lavorato insieme anche in Three Times, 2005, e The Assassin, 2015), la cui voce narrante ci racconta dal 2011 della sua giovinezza burrascosa a Taiwan nel 2001. Tra serate in discoteca, alcol, droghe e sigarette, la ragazza conosce Hao-Hao, un ragazzo con ben poca voglia di lavorare, con cui intraprende una relazione passionale, che sfocia spesso in gelosie, scontri e litigi. Vicky inizia poi a lavorare come accompagnatrice in un locale notturno e lì conosce Jack, un uomo maturo proprietario di un café, da cui finisce per rifugiarsi dopo le crisi con Hao-Hao. In definitiva però nessuno dei due uomini riuscirà a riempire di vita le giornate di Vicky, afflitte dal tedio e dall’incertezza circa il proprio destino.
Hou si affida per la sceneggiatura alla fida Chu Tien-wen, tra le maggiori scrittrici taiwanesi, e realizza un film rarefatto, in cui il dialogo è quasi assente e ci si muove di scena in scena cullati dalle luci al neon (splendida la fotografia di Mark Lee Ping-bing) e dalle musiche techno pressoché incessanti: Millennium Mambo è un film-flusso-di-coscienza che ha il ritmo di una danza moderna, a cui la giovane protagonista pare abbandonarsi, lasciandosi trasportare dal proprio spleen in un momento di forte incertezza per il proprio destino e per la direzione da intraprendere nella propria vita. Quello di Vicky è un corpo mosso dalle onde del tempo e dagli stimoli del sentimento, che pare aver definitivamente abbandonato qualsiasi appiglio con la razionalità. Hou coglie così “il disorientamento e la paradossale bellezza del presente” (P. Mereghetti), in cui la sinuosità e avvenenza dei giovani corpi – esaltate dai fluidi piani sequenza realizzati dal regista, quasi alienanti per imprevedibilità e lentezza – si scontrano con il senso di smarrimento che pare incombere su ogni personaggio.
Ansie e malinconia di fine millennio
L’incertezza e il disorientamento di Vicky non possono che riflettere il senso di angoscia che regnava nel mondo e in Asia orientale in particolare alla fine del millennio. I film che riflettono sull’angoscia di fine millennio sono tanti (si pensi a Strange Days di Kathryn Bigelow, 1995), come se la profezia medievale “mille e non più mille” avesse trovato una concretizzazione cinematografica, ma in Oriente le angosce di fine Novecento erano più politiche che apocalittiche e finirono per trovare rappresentazione in molti dei migliori film asiatici dell’epoca, in particolare a Hong Kong, nazione dalla lunga tradizione cinematografica, che nel 1997 venne ceduta dal Regno Unito, di cui era stata una colonia per lungo tempo, alla Repubblica Popolare Cinese (lo stesso destino toccò, nel 1999, alla colonia portoghese Macao). Negli studi sulla storia di Hong Kong si parla esplicitamente di handover anxiety, l’ansia per l’imminente riconsegna alla Cina (e per le conseguenze che, si temeva, ne sarebbero seguite, in termini di libertà e qualità della vita) che si diffuse nel paese fin dagli anni Ottanta. L’handover anxiety è rappresentata alla perfezione in numerosi film di grandi registi di Hong Kong, come Wong Kar-wai e John Woo. Hou Hsiao-hsien, dalla prospettiva taiwanese, pare riflettere nel personaggio di Vicky l’ansia di un tempo in cui, probabilmente, si temeva che anche Taiwan (stato indipendente de facto, ma sostanzialmente non riconosciuto nel mondo e da sempre reclamato dalle autorità di Pechino come una propria provincia) avrebbe potuto seguire un destino simile, proprio in anni in cui invece nel paese si stava consolidando una tradizione democratica. Dopo affreschi storici e film espressamente politici, Hou adotta dunque un taglio completamente intimista, ma non rinuncia a caricare il proprio giovane personaggio principale del peso del suo tempo. Eppure la voce narrante al passato della protagonista, pur con tono distaccato, rivela una forte malinconia per quel 2001 di mestizia e smarrimento, in cui però la giovinezza apriva alla speranza, al desiderio e al piacere. Del 2011 da cui Vicky racconta, in terza persona, la storia sua, di Hao-Hao e di Jack lo spettatore non vede nulla. Forse solo la prima splendida e misteriosa sequenza del film, in cui Vicky, fuori dal tempo e dallo spazio, attraversa un ponte pervaso da luci al neon e ci rivela, chissà, di trovarsi in un luogo di passaggio e di stare ancora camminando, in cerca della propria via per il futuro.
Questo articolo è stato scritto da:
Scrivi un commento