“I miei edifici sono stati concepiti per resistere all’erosione del tempo.”

László Tóth, The Brutalist

Nel 2024 sono usciti negli Stati Uniti due incredibili film su due architetti immaginari: Cesar Catilina in Megalopolis e László Tóth di The Brutalist. Eppure, nonostante la tematica principale in comune, i due titoli sono anche molto diversi per concept, sviluppo e ricezione.

Un cinema d’architettura

L’architettura è una tematica diffusa ma non così frequente nella storia del cinema, quasi sempre trattata come elemento collaterale alla narrazione e utile alla definizione di spazi, temi e personaggi (come nel caso di Playtime, Blade Runner, Manhattan, eccetera), ma esistono pochi film propriamente dedicati ad architetti, gli artefici per eccellenza. Il più famoso tra questi è probabilmente La fonte meravigliosa di King Vidor, drammone dalle tinte sentimentali del 1949 che mette al centro l’architetto Gary Cooper, nato dal nulla ma con un talento innato per la nuova architettura, che costruisce la sua parabola di successo in continuo contrasto con l’antico modo di pensare dei burocrati e con l’aiuto di un mecenate ricattatore; sia The Brutalist che Megalopolis devono qualcosa a questo film.

In generale non è difficile accostare l’arte cinematografica a quella architettonica: l’associazione è facilitata dall’idea comune di progettazione di mondi e ideologie, e l’architettura nel cinema è spesso caricata di valori simbolici a non finire, primo tra tutti quello di creazione di un individuo (divina, materiale, ordinatrice). Ma un film, così come un edificio, non è frutto di un’unica individualità: è un lavoro di insieme, dove tutti hanno un ruolo. È comunque corretto parlare di regista-artefice?

Megalopolis

Megalopolis è un film, o meglio una favola, di Francis Ford Coppola, che l’ha scritto, diretto e co-prodotto dopo quasi quarant’anni di lavoro sul progetto. La storia parla di un brillante architetto dal passato oscuro (Adam Driver) che vuole rivoluzionare non solo l’architettura, ma la vita terrestre, creando la sua città ideale Megalopolis in un distretto di New Rome, versione ipotetica, ibrido tra passato e futuro di New York City. Nel farlo incontra varie resistenze, tra cui quella del sindaco della città, impantanato nello status quo attuale.

Presentato in concorso a Cannes, flop di botteghino e critica e vincitore del Razzie Award al peggior regista (i Razzie sono i premi dedicati ai peggiori film in circolazione, quest’anno Megalopolis aveva 5 nomination), è un centrifugato ipertestuale e caotico di tematiche, ideali, linee narrative, suggestioni, estetiche e statement. Coppola ci ha lavorato per tanto tempo da solo da aver perso il controllo della materia, che sembra procedere in maniera scostante e autonoma, è uno di quei casi in cui un produttore intransigente avrebbe fatto bene al prodotto finito. È un film pieno di difetti, eppure è visionario e a tratti emozionante, un testamento artistico di un artefice tra i più illuminati della storia del cinema, quasi mai in linea con l’era storica in cui ha scritto e diretto i suoi film.

The Brutalist

The Brutalist è un kolossal storico di Brady Corbet, co-autore della sceneggiatura cui si è dedicato per sette anni della sua vita. La trama verte attorno a un architetto ebreo (Adrien Brody) emigrato dall’Ungheria agli Stati Uniti dopo essere stato detenuto nei lager nazisti, dagli inizi difficili nel nuovo mondo alla lunga ed estenuante costruzione di un monumentale progetto per conto di un magnate statunitense. Segnato dai traumi del suo passato, l’architetto dovrà combattere su vari fronti e fare molti sacrifici per mantenere e portare a compimento la propria intransigente visione creativa.

Vincitore del Leone d’argento alla regia a Venezia, successo di critica e vincitore di 3 premi Oscar su 10 nomination, The Brutalist è un monumentale manifesto sull’arte e sul Novecento, riflessione totale sul trauma, sull’ossessione, sui rapporti umani in una miriade di sfumature. Reso magnifico da una sontuosa fotografia e da finissime interpretazioni, il film di Brady Corbet è un kolossal d’altri tempi, della durata di tre ore, monumentale ed intransigente come il suo protagonista, un edificio che resista all’erosione del tempo. A una prima parte perfetta sotto ogni punto di vista segue una seconda metà leggermente fuori fuoco, ma non meno straordinaria per quanto riguarda l’impianto visivo e la recitazione, una parziale mancanza di controllo da parte della sceneggiatura che va di pari passo con l’assenza di compromesso che il film propone. Anche The Brutalist è un incredibile manifesto su ciò che l’arte deve ma non sempre può essere.

Megalopolis vs. The Brutalist: i punti di contatto

Alcuni punti in comune questi due film li hanno: entrambi si basano su un architetto oscuro e tormentato, che vive e guarda al futuro nel ricordo passato della moglie. Sia per Catilina che per Tóth l’opera-chimera al centro del film rappresenta una sorta di redenzione, di cesura tra una vita difficile e il luminoso avvenire. Per entrambi esiste il concetto di terra promessa, in senso ebraico (quindi antico) per The Brutalist e come città del futuro per Megalopolis.

Ciascuno mette in scena a modo suo l’inestricabile rapporto tra Europa e Stati Uniti, vecchio e nuovo mondo: Megalopolis riprendendo temi, nomi, formule e addirittura il latino dall’immaginario dell’antica Roma, The Brutalist in maniera molto più concreta raccontando la storia di una comunità che si rifà una vita nella terra delle opportunità dopo il secondo conflitto mondiale. Mentre il recupero appare superficiale nel film di Coppola, risulta molto più problematizzato in quello di Corbet, dove un industriale statunitense cerca di comprare il retaggio artistico che non gli appartiene: è un arricchito convinto di poter possedere qualunque cosa, una critica alla mentalità statunitense in contrapposizione con quella europea molto più tormentata e persino autocommiserativa.

Per entrambi il regista-artefice ci ha messo anni a realizzare il progetto, un’opera-mondo che racchiude un’intera porzione di realtà, anche se gli anni di lavoro sono stati sette e quaranta rispettivamente per Corbet e Coppola. Il paradosso è che il film del regista anziano è molto più proiettato verso il futuro, in qualche modo dedicato alle generazioni che verranno, mentre quello del regista giovane è una riflessione sul trauma passato. Queste due chiavi opposte sorreggono l’impianto dei film, rivolti verso due direzioni diverse.

Passato e futuro, verticale e orizzontale

The Brutalist ha un impianto essenzialmente verticale, che segue la storia filtrata attraverso László Tóth nel corso di quasi quarant’anni di tempo, e in questo richiama il tratto tipico dell’architetto protagonista, che vuole creare un edificio altissimo per guardare al cielo pensando alla moglie come faceva nei lager nazisti. Al contrario, Megalopolis si sviluppa in orizzontale, seguendo una miriade di personaggi che si muovono come detriti prodotti dalla gittata di un cannone, ma non hanno spessore temporale definito, è un continuo presente. Anche nel film di Coppola la direzione si rispecchia nel progetto dell’architetto protagonista: la Megalopolis di Cesar Catilina è un quartiere dov’è possibile muoversi e tutti stanno allo stesso livello, non esistono levature differenti.

L’architettura di Megalopolis è utopia, avanguardia per il futuro. Quella di The Brutalist è riflessione umana, dolorosa presa di coscienza dei rapporti di potere tra individui. L’architettura di László Tóth è rigore, intransigenza, un blocco di cemento che non può essere eroso dal tempo perché è progettato per resistervi, quella di Cesar Catilina è duttile e mutaforma come il Megalon che consente la realizzazione di qualsiasi struttura. Uno è autoanalisi sul passato, l’altro è speranza per il futuro, ed entrambi raccontano alla loro maniera il presente. Uno ha ricevuto degli Oscar, forse perché ben innestato nelle forme note del passato, l’altro ha ottenuto dei Razzie, forse perché si esprime attraverso un paradigma non ancora codificato. Che guardino all’indietro oppure in avanti, entrambi sono film che lasciano il segno, edifici contro l’erosione del tempo.

“Il mio progetto è una città che la gente può sognare.”

Cesar Catilina, Megalopolis

Enrico Borghesio
Enrico Borghesio,
Redattore.