Siamo giunti alla fine di un percorso durato circa un anno, in cui abbiamo esplorato diverse professioni del settore cinematografico, le cosiddette maestranze, dalle più note alle meno note. In chiusura, ultima ma non per importanza, non poteva mancare quella dello sceneggiatore cinematografico.
CORNICE STORICA
Facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire la storia degli sceneggiatori, l’eredità che ci hanno lasciato e le lunghe battaglie che hanno condotto per vedere finalmente riconosciuto il loro operato nel cinema. In principio come molti di voi sapranno, non vi era distinzione tra operatori e autori, il prodotto cinematografico veniva consumato nelle piazze o nei teatri di posa: al pubblico interessava poco di chi vi fosse dietro alla creazione del prodotto e a malapena si conosceva il nome della casa di produzione e gli imprenditori.
Inizialmente i film duravano giusto qualche minuto e si basavano su “vedute” (riprese panoramiche di luoghi prevalentemente europei), sketch comici con gag fisiche ed esilaranti o, in alternativa, su testi sacri e dunque sulle “passioni” (film di carattere religioso). Quest’ultime detenevano uno stile narrativo più articolato, nonostante non si trattasse comunque di contenuti originali ma interpretazioni dei testi religiosi, poiché raccontavano effettivamente qualcosa rispetto alle altre categorie di film e permettevano allo spettatore di visionare un prodotto con una narrazione lineare, con un inizio e una fine. Le passioni furono dunque la base di sviluppo delle primissime sceneggiature: si capì infatti che erano necessarie una grande empatia e un coinvolgimento emotivo da parte dello spettatore per poter realizzare un cinema “narrativo”.
Negli anni ‘20 in Europa si svilupparono diversi movimenti cinematografici e scuole di pensiero che avevano una visione del cinema come mezzo di espressione artistica e personale, cosa che andava controcorrente rispetto al cinema statunitense e al cinema britannico, che cercavano il più possibile di raccontare storie che entusiasmassero e coinvolgessero lo spettatore, ricche di azione, dramma e romanticismo. Si parla di sistema narrativo o narrazione forte: in essa assume grande importanza l’azione come fonte primaria di trasformazione di situazioni fortemente collegate in senso causale. Fu proprio negli anni ‘20 che alcune case di produzioni americane si stabilirono nel sobborgo di Hollywood, a Los Angeles, in California. Da quel momento, il luogo dove avvennero la maggior parte delle produzioni di fama e successo internazionale divenne celebre: stava nascendo la terra del cinema classico Hollywoodiano e della golden age.
Per quanto bella e splendida fu la cosiddetta “età dell’oro” del cinema statunitense, in quel periodo la carriera degli sceneggiatori non fu sicuramente felice e spensierata, in quanto spesso erano soggetti a rigidi contratti con le case di produzione, non sempre generose nei pagamenti, soprattutto per chi fosse esordiente o alle prime armi. Ma il vero problema non era solo la paga, quanto più le condizioni in cui gli sceneggiatori si trovavano spesso a dover lavorare. Innanzitutto vi erano diversi reparti e lavoratori: i soggettisti si occupavano di dar vita alle idee, che dopo essere state partorite sarebbero passate al reparto sceneggiatura, che ne avrebbe sviluppato un intero copione a seconda delle esigenze produttive. La produzione e il produttore in particolar modo avevano diritto all’ultima parola sugli elaborati, determinavano la tipologia di prodotto da realizzare, censuravano e tagliavano intere parti di copione che potevano risultare “scomode” per la cultura e la tradizione americana o inadeguate per il target a cui si riferivano. Queste grandi limitazioni non permisero a molti sceneggiatori di spiccare e di veder riconosciuta la propria ingegnosità, passando in secondo piano rispetto alla figura del regista, considerato dal pubblico generalista e dalla critica, il vero autore delle pellicole.
Robert Riskin
Per darvi un’idea della diatriba che all’epoca si veniva a creare tra sceneggiatori e registi rispetto alla paternità del film, basti pensare che un giorno Robert Riskin (premio Oscar per la miglior sceneggiatura non originale nel ‘35), stanco di sentire parlare del famoso Capra’s touch, inviò a Capra 120 pagine bianche con scritto: “Metti il tuo famoso tocco su questo! (Put the Capra touch on that!)”. Infatti, è risaputo che registi di numerosi film campioni di incassi, come Capra o Alfred Hitchcock, si avvalessero di una lunga e produttiva collaborazione con alcuni sceneggiatori, non mettendo quasi mai mano al copione. Dunque, chi è l’autore del film? Domanda da un milione di dollari o forse, da pochi spiccioli, perché effettivamente una verità assoluta non c’è. La risposta può essere solo di carattere soggettivo e personale e ognuno può darne un’interpretazione diversa. Possiamo però affermare che per lo stato e la legge italiana che disciplina l’audiovisivo vengono considerati autori: soggettisti, sceneggiatori, compositori originali delle musiche, registi e produttori. Per avere un’idea di come vivessero questi professionisti durante la golden age, vi invitiamo a visionare Sunset Boulevard (1950) di Billy Wilder e la miniserie Hollywood su Netflix.
Durante l’epoca d’oro di Hollywood lo sceneggiatore stava dunque dietro le quinte, un po’ come accade oggi in alcuni casi, con la differenza che al tempo egli doveva sottostare a un contratto strettamente vincolante sul piano economico e professionale, mentre oggi lo sceneggiatore è il più delle volte un freelancer con una paga media molto più alta, con contratti su commissione per singola produzione, e che è libero di lavorare contemporaneamente a più progetti e con più produttori diversi. Ma andando oltre il quadro storico ed evolutivo della figura dello sceneggiatore, andiamo a vedere di che cosa si occupa e quali sono le fasi di elaborazione e sviluppo di una sceneggiatura.
LA PROFESSIONE E LE MICRO-FASI
Le sceneggiature possono nascere da idee originali o essere tratte da opere letterarie o testi teatrali già esistenti; da qui la necessità di due apposite categorie agli Academy Awards per distinguere le due tipologie di scrittura creativa per il cinema: la categoria per la Miglior sceneggiatura originale e quella per la Miglior sceneggiatura non originale. A prescindere dall’origine dell’opera, la sceneggiatura non è la prima fase da attraversare nel processo ideativo e creativo, bensì l’ultima. La prima fase è quella dell’ideazione e dunque del soggetto: da un’idea iniziale nasce lo spunto per un prodotto seriale o cinematografico e soltanto in seguito si decide di scriverne la sinossi e di svilupparne gradualmente la storia in poche pagine; il soggetto è, infatti, un’esposizione in forma breve.
Segue la fase del trattamento, ovvero una narrazione più ampia che si avvicina – ma non è da confondere – al racconto letterario. Essa, diversamente dal racconto letterario, presenta infatti descrizioni di luoghi, motivazioni psicologiche dei personaggi e qualche indicazione di dialogo. Penultima fase, fondamentale e spesso sottovalutata, la scaletta: la sequenza “tecnica” delle scene, con una brevissima descrizione di quanto accade in ognuna di esse. La scaletta è molto utile per tenere a mente il rapporto tra fabula e intreccio e per evitare di compiere errori in fase di sceneggiatura. La fase successiva è quella in cui effettivamente, avendo tutti i dati e gli elementi necessari, si può procedere a scrivere, scena dopo scena, battuta dopo battuta, azione dopo azione. Senza soggetto, scaletta e trattamento, c’è il forte rischio che la sceneggiatura appaia incompiuta, colma di buchi, incongruenze e problemi di logicità.
Il consiglio che molti maestri dell’arte creativa danno, è quello di seguire passo dopo passo ogni fase e di non avere fretta, ma lasciarsi trasportare dalla corrente dell’ispirazione. Alcuni sceneggiatori, per dare delle indicazioni precise sulle scene, realizzano o fanno realizzare da un disegnatore uno storyboard che serve al regista e alla produzione per lavorare meglio sul set, preparando solo quello che effettivamente verrà inquadrato e dando indicazioni fondamentali alla troupe, che si troverà così più preparata ad agire senza ulteriori giri di parole e perdite di tempo. Ma quali sono i formati di una sceneggiatura? Ci sono delle regole ben precise da rispettare (caratteri, font, ecc…).
FORMATI E REGOLE
Non molti sanno che esistono diversi formati di sceneggiature, nonostante oramai quello maggiormente utilizzato sia quello all’americana, anche in Europa. Il modello internazionale e più diffuso prevede che sia le didascalie che i dialoghi siano disposti nella parte centrale del foglio: le prime occupano tutta la larghezza, i secondi sono disposti al centro e incorporati in un margine ridotto. Il modello all’italiana, usato molti anni fa, prevede che il testo sia diviso in due parti disposte longitudinalmente: a sinistra la parte descrittiva, ovvero le didascalie, a destra i dialoghi dei personaggi; la pagina risulta sostanzialmente divisa in due colonne. Infine, il modello alla francese si colloca in una via di mezzo tra gli altri due, disponendo in alto al centro una parte descrittiva e in basso a destra la parte coi dialoghi. Per quanto riguarda i caratteri e i font, lo standard americano prevede il courier 12 e il formato della carta Us-letter; in Europa sono utilizzati caratteri diversi a seconda del paese di produzione, ciò che conta sapere è che viene utilizzato un formato di carta A4. In ogni caso è preferibile utilizzare programmi e applicazioni specifiche come Celtx, piuttosto che Word o simili, la macchina da scrivere non è più usata per comodità e rapidità, in quanto il formato digitale può circolare più rapidamente e ovviamente può essere stampato.
CONCLUSIONI
Concludiamo questo articolo ricordandovi alcune delle scuole di cinema presenti in Italia presso le quali è possibile studiare e formarsi come sceneggiatori professionisti: tra le più rinomate il Centro sperimentale di cinematografia e la Scuola d’arte cinematografica Gian Maria Volontè.
Scrivere è un’arte tanto bella quanto complessa, è necessario avere molta immaginazione, ma soprattutto qualcosa da raccontare e da dire, così come questa rubrica, nata con lo scopo di divulgare informazioni e approfondimenti sulle professioni del cinema rendendo giustizia a quelle meno conosciute, ma non per questo meno importanti.
La rubrica è giunta alla sua conclusione ma sarà sempre disponibile sul sito, con la speranza che possa appassionare, incuriosire o ispirare i nostri lettori. Per leggere tutti gli articoli di questa rubrica clicca qui.
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