Oggi, nel nuovo numero dedicato alle professioni del cinema, ci occupiamo di una figura professionale che, a differenze delle altre viste fino ad ora, è più conosciuta, ma il cui lavoro è apprezzato in maniera diversa a seconda dello spettatore, motivo per cui mi soffermerò maggiormente sull’evoluzione storica e tecnologica del montaggio.
Quello del montaggio è un lavoro fondamentale per il risultato finale della pellicola in quanto, smontando il film e rimontandolo, riesce a dare una forma e alle volte anche un’anima alla pellicola stessa.
Nel corso della storia del cinema ci sono state molteplici scuole di pensiero legate allo stacco di montaggio, tra chi preferiva nasconderlo e renderlo “invisibile” e chi preferiva mostrarlo, esibirlo secondo un’ideologia opposta, abbracciando un principio di discontinuità.
Secondo alcuni teorici del montaggio, come Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, questo strumento è il principale portatore di significato del film e di tutti gli altri elementi che lo compongono. La cosiddetta scuola di montaggio sovietica ne eleva la centralità rendendolo una caratteristica ancor più importante della regia stessa, facendo sì che dallo scontro tra due immagini se ne generi un terzo significato e che lo spettatore arrivi ad una conclusione di tipo concettuale e simbolica, spesso influenzandone inevitabilmente il pensiero.
Altri invece, come André Bazin, critico fondatore dei Cahiers du cinéma credevano più in un approccio realistico, ovvero restando fedeli alla ricostruzione della realtà. Per fare ciò è necessario cogliere l’ambiguità immanente del reale, ovvero l’indeterminazione degli eventi, il principio di causalità con cui si manifestano: da un fattore scatenante seguono degli eventi non predeterminati come nella vita reale, i quali portano a conclusioni differenti. Questo concetto, per sembrare il più veritiero possibile, deve manifestarsi con un montaggio “trasparente” in cui non si percepisce la discontinuità o lo stacco tra le inquadrature e in cui si rispettano tutte le regole dei raccordi (posizione, direzione, direzione dello sguardo, movimento) seguiti in primis dall’industria classica hollywoodiana.
L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA
Questo excursus storico ci permette di capire come il montaggio sia una tecnica che di certo non preveda una sola scuola di pensiero ma molteplici. Non esiste, quindi, il metodo corretto, bensì quello più adeguato per ogni situazione e per le esigenze del film, senza contare quanto nel corso degli anni siano cambiate e continuino a cambiare sempre le possibilità tecnologiche offerte dalla modernità.
Ricordiamo che il montaggio in principio era di tipo manuale ovvero necessitava di forbici, raschietto, coltello, acetone e ci si sporcava letteralmente le mani per giuntare le inquadrature; con l’invenzione della moviola, brevettata dall’olandese Iwan Serrurier negli anni 20’, nasce la possibilità di visionare la pellicola a rallentatore e di rendere gli stacchi più precisi ma soprattutto di ridurre radicalmente i tempi, aprendo la fase del montaggio analogico.
Dagli anni 80 in poi si comincia a lavorare con dei sistemi misti, effettuando effetti speciali particolarmente suggestivi, ma è soprattutto negli anni 2000 che si passerà concretamente al montaggio digitale, o anche detto non lineare, poiché ci si può occupare tanto di immagini, quanto di video e di suoni, all’interno di un medesimo software di Desktop Editing.
LA PROFESSIONE TOUT COURT
Il mestiere attualmente prevede di eseguire in primo luogo l’ingest, ovvero il trasferimento dei dati sul dispositivo in cui si deve lavorare, ad esempio tramite hard-disk o simili.
Successivamente alla fase di acquisizione del materiale, segue quella di organizzazione dello stesso, distribuendo i file in apposite cartelle o in un archivio in base a come si decide di operare.
Dopo di ché ne segue l’elaborazione ovvero il montaggio vero e proprio, prima seguendo la sceneggiatura, effettuando gli stacchi per ogni cambio di location, di personaggi e le eventuali indicazioni riportate, (si parla in questo caso di macrostruttura), poi costruendo la scena con i singoli stacchi di montaggio, determinando la lunghezza e la durata di un’inquadratura, il modo più o meno brusco in cui avviene ciò, ovvero la microstruttura.
Il montatore o la montatrice può occuparsi di curare la parte di editing ma anche quella di compositing legata alla cura degli effetti speciali o ritocchi dell’immagine come il painting, la color correction, il motion effects ecc… oppure nel caso in cui sia interessato al suono, effettuare il mixaggio del film, occuparsi tanto della parte visiva tanto di quella sonora, molti professionisti sono montatori/trici audio e video, come ad esempio il tre volte premio oscar Walter Murch.
È sicuramente una professione molto pratica, minuziosa, che prevede una grande propensione per la cura dei dettagli e per la vigilanza, in quanto l’errore si trova sempre dietro l’angolo per un montatore, occorre dunque visionare il materiale un numero considerevole di volte prima di eseguire la fase di composizione e finalizzazione, ovvero costituire la copia master del film, ed esportarla per distribuirla in sala.
Il consiglio che si può dare ai giovani che vogliono intraprendere tale mestiere è quello di mettersi in gioco e alla prova sin da subito, per nostra fortuna ad oggi quasi tutti abbiamo un computer che ci permette tramite dei software appositi di effettuare montaggio, sebbene in maniera amatoriale è pur sempre un’ottima forma di esercizio che vale la pena eseguire.
Esistono sicuramente tante valide opportunità all’interno di scuole e accademie di cinema per addentrarsi nella professione, occorre informarsi a dovere e cominciare a “tagliare e cucire”.
Questo articolo è stato scritto da:
Scrivi un commento